venerdì 31 ottobre 2014

Stefano Cucchi non è morto perché era un tossico

Morte violenta di Stefano Cucchi: due nuovi testimoni accusano i carabinieri

Due nuovi testi chiamano in causa l’arma dei carabinieri tenuta fino ad ora fuori dall’inchiesta

Cinzia Gubbini
il manifesto
 18 dicembre 2009
Lo hanno visto scendere dalla macchina nel piazzale del Tribunale, la mattina del 16 ottobre intorno alle 8,30, e non si reggeva in piedi. Poi sono stati messi nella stessa cella di sicurezza, in attesa della convalida. «Che ti è successo?», gli hanno chiesto. «Mi hanno picchiato i carabinieri questa notte», «E perché non lo dici?», «Perché sennò mi fanno le carte per dieci anni». Cioè: se lo dico si inventano qualcosa per tenermi in carcere a lungo. A svelare questi nuovi particolari sul caso di Stefano Cucchi – il ragazzo morto il 22 ottobre scorso nel reparto carcerario del Pertini – sono due cittadini albanesi, fermati anch’essi dalla compagnia Casilina la sera del 15 ottobre. E compagni di cella di Stefano in tribunale. Ieri mattina i due albanesi, assistiti dall’avvocato Simonetta Galantucci, sono stati sentiti dai procuratori Vincenzo Barba e Francesca Loi. Una deposizione circostanziata, che tira in ballo le responsabilità dei carabinieri, già raccolta nelle scorse settimane dagli avvocati di parte civile Dario Piccioni e Fabio Anselmo. Ora il loro racconto è agli atti della Procura, che dovrà valutarlo alla luce di quanto finora emerso.
La sera del 15 ottobre i due cittadini albanesi vengono fermati con l’accusa di tentato furto. Stefano, invece, viene fermato con l’accusa di spaccio perché ha in tasca 20 grammi di marijuana. Tutti e tre vengono portati nella caserma di via del Calice, ma non si incontrano. La stazione Appia è una delle sei di competenza della compagnia Casilina. Una caserma piccola, che in genere chiude alle dieci di sera e che solitamente non viene usata per ospitare le persone arrestate. Qui si svolge l’interrogatorio di Stefano e quello dei due albanesi. Poi le strade si dividono: i due vengono portati in un’altra caserma per passare la notte, Cucchi viene prima portato a casa dei genitori per una perquisizione. E’ l’una di notte, sua madre lo vede e sta bene, tanto da venire tranquillizzata sia da Stefano che dai militari: «domani sarà a casa». Quindi il ragazzo ripassa a via del Calice, e poi viene trasferito nelle celle di sicurezza della stazione di Tor Sapienza. Di ciò che accade in questa stazione si sa pochissimo, se non che intorno alle 5 Stefano accusa un malore e per questo viene chiamata un’ambulanza. E iniziano le prime stranezze. A partire da quanto viene annotato nella scheda del 118 («schizofrenia», forse solo un errore materiale) fino al fatto che i due infermieri non riescono a visitare Stefano: il ragazzo è a letto, avvolto nelle coperte. Notano soltanto degli arrossamenti sotto le palpebre. Ma vista la scarsa collaborazione del ragazzo se ne vanno dopo mezz’ora. Stefano era stato picchiato? E’ quanto sostengono i due testimoni albanesi, che incontrano il ragazzo la mattina dopo, giorno della convalida in tribunale. Tutti e tre sono scortati da carabinieri della compagnia Casilina, ma sono su due macchine diverse: Stefano viaggia su quella dietro la loro. Quando arrivano nel piazzale del tribunale, vedono Stefano scendere dalla macchina e notano che «non si regge in piedi». E’ dolorante e fa fatica a camminare. Ne rimangono impressionati, fumano insieme una sigaretta ma non si parlano: davanti a loro ci sono i carabinieri. Poco dopo vengono messi nella stessa cella. Stefano sta talmente male, raccontano i due testi, che devono aiutarlo a sedersi. Finalmente gli chiedono che cosa è accaduto: «Mi hanno picchiato i carabinieri, ma non questi qua», dice il ragazzo riferendosi alla sua scorta. La convalida dei due albanesi si svolge prima di quella di Stefano. A loro va bene: non viene convalidato il fermo. Per Stefano, invece, l’incubo prosegue. Non solo gli vengono negati gli arresti domiciliari (e agli atti viene scritto che è un «senza fissa dimora»), ma secondo quanto riferito da due testimoni ascoltati in incidente probatorio Stefano subisce un pestaggio anche nei sotterranei del tribunale. Per questo sono stati indagati tre agenti della polizia penitenziaria con l’accusa di omicidio preterintenzionale. Stefano, di certo, esce dal Tribunale con delle lesioni. Per questo finirà nel reparto penitenziario dell’ospedale Pertini, sulla cui negligenza la Procura sembra non avere dubbi visto che nel registro degli indagati sono finiti altri tre medici (oltre ai tre già indagati insieme agli agenti penitenziari) con l’accusa di omicidio colposo. Finora nessuna ombra è emersa sul comportamento dei carabinieri. Ma la testimonianza di ieri cambia le carte in tavola.
Non ho simpatia per chi si droga e nutro un profondo rispetto per l'Arma dei Carabinieri.
Dunque se pubblico questo articolo uscito sul "Manifesto" alla fine del 2009 non è perché sono dalla parte di coloro che l'hanno sempre e comunque con le forze dell'ordine. Le testimonianze vanno verificate e i due processi l'avranno fatto, ma l'immediata riflessione che viene da fare è, come al solito, come è possibile che prove e testimonianze vengano valutate in modo così differente da due collegi giudicanti?
Questa giustizia fa paura. Non dà garanzie di alcun tipo di avere vera Giustizia. 
Chi ha lavorato nei Pronto Soccorsi degli ospedali  mi dice che i drogati in crisi di astinenza sono estremamente sgradevoli da trattare: spesso sono violenti, compiono atti di autolesionismo, aggrediscono i sanitari e sfasciano tutto.
Ma non è detto che Cucchi l'abbia fatto e l'autopsia è un esame principe della Medicina Legale in quanto il corpo "parla".
Come è possibile che il giovane avesse "quelle" lesioni?
Certo non gliele hanno procurate i medici e dunque la prima sentenza che scagionava chi avrebbe potuto averlo picchiato ma condannava i medici per omicidio colposo è semplicemente folle!
I medici possono essere condannati per altro reato: per non aver refertato subito i segni di percosse come era loro compito, prendendo le distanze da chi poteva esserne stato l'autore e rimettendo il tutto alla Procura. Poi se il giovane debilitato non mangiava e non beveva ogni medico sa come alimentarlo ed idratarlo per endovena, prassi che tiene in vita tutti i traumatizzati che non possono alimentarsi.
Quindi il loro reato non è omicidio colposo, ma omissione di denuncia e di adeguate cure, dunque tuttalpiù può esserci un concorso alle cause della morte.
Ma chi l'ha picchiato è invece imputabile di omicidio colposo, perché le percosse probabilmente non erano finalizzate all'omicidio, con l'aggravante che il soggetto era affidato alla loro custodia.
Le indagini, evidentemente, sono state lacunose e la conseguenza sono due processi con esiti assurdi.
Non si è voluto accertare il momento in cui da una situazione "normale" il giovane è passato ad una situazione di persona traumatizzata: ricostruito quel passaggio non dovrebbe essere difficile capire chi lo ha pestato.
Chiunque sia stato non è degno di portare la divisa. Qualche strattone si può anche capire, ma che bisogno c'era di menarlo così come appare nelle pietose foto dell'autopsia?

Trattativa Stato Mafia

Da: International Business Times

(non riceve alcun finanziamento pubblico)


1992, da Lima a via d'Amelio: inizia la 'prima trattativa'

Di Claudio Forleo | 02.05.2013 09:16 CEST

Il 1992 è l'ultimo anno della Prima Repubblica, o se preferite l'annozero della Seconda. Sul fronte politico i partiti che hanno governato fino al 17 febbraio (giorno dell'arresto di Mario Chiesa) vengono spazzati via dall'inchiesta Mani Pulite. Appena 3 settimane prima la sentenza della Cassazione, che ha reso definitive le condanne del maxiprocesso, ha segnato anche la fine dell'impunibilità di Cosa Nostra.
Guarda immagine interaL'OMICIDIO LIMA. BRUSCA: "COLPIRE POLITICAMENTE ANDREOTTI"
Le promesse arrivate dagli 'amici' politici che, ancora una volta giudici compiacenti e manovre di Palazzo avrebbero salvato la Cupola, vengono disattese. La reazione dei Corleonesi è immediata, nello 'stile' sanguinario che li ha resi famosi. Il 12 marzo 1992 viene ucciso Salvo Lima, mammasantissima della Dc in Sicilia fin dagli anni Sessanta. Lima è un 'chiacchierato' da almeno vent'anni, prima nella corrente 'fanfaniana' del partito, poi in quella andreottiana (Primavera) assieme ad un certo Vito Ciancimino.
Chi fosse Lima nel 1992 (e a chi fosse legato) era chiaro. Pio La Torre (assassinato nel 1982) lo tira in ballo svariate volte in una relazione di minoranza della Commissione Parlamentare Antimafia del 1976. Quando nel 1974 il ministro del Bilancio Giulio Andreotti lo nomina sottosegretario, l'economista Paolo Sylos Labini si dimette dal comitato scientifico del dicastero. Di Lima si parlerà durante il processo Andreotti, come legato a doppio filo con il costruttore Francesco Vassallo, che il Centro di Documentazione Giuseppe Impastato descrive come il modello di mafioso-imprenditore degli anni '50 e '60, quelli del sacco di Palermo, la grande speculazione edilizia che ha deturpato il volto della città. Secondo quanto recentemente dichiarato dal pentito Giovanni Brusca (colui che azionò il dispositivo di Capaci) Lima venne ucciso per 'colpire politicamente Andreotti', anche in vista delle Elezioni Politiche dell' aprile 1992.
16 MARZO 1992, LA NOTA DEL CAPO DELLA POLIZIA: "IN ARRIVO CAMPAGNA TERRORISTICA"
Quando viene assassinato Lima, la politica non ci mette molto a fare uno più uno. Anche perchè, appena quattro giorni dopo l'agguato (il 16 marzo 1992), il capo della Polizia Vincenzo Parisi invia un documento al Ministero dell'Interno, girato a prefetti, questori, al direttore della Dia e ai numeri uno dei servizi segreti civile e militare. "Nel periodo marzo luglio corrente anno, campagna terroristica con omicidi esponenti Dc, Psi et Pds, nonchè sequestro et omicidio futuro presidente della Repubblica. Quadro strategia comprendente anche episodi stragisti".
Vengono fatti i nomi di alcuni esponenti politici nel mirino di Cosa Nostra: tra questi Calogero Mannino, Carlo Vizzini e il "futuro Presidente" Giulio Andreotti. Due ministri e il simbolo della prima Repubblica. Cosa hanno in comune con Lima? Saranno tutti accusati e/o processati per i loro rapporti con Cosa Nostra. Andreotti prescitto ma colpevole fino alla primavera del 1980, Mannino (oggi imputato nell'ambito del processo sulla Trattativa, ha chiesto il rito abbreviato) è stato assolto in Cassazione dopo una condanna in Appello per l'accusa di concorso esterno. Vizzini (prescritto durante Tangentopoli, processo Enimont) viene tirato in ballo da Massimo Ciancimino (figlio di don Vito) come destinatario di una tangente e iscritto nel registro degli indagati.
LA 'PRIMA TRATTATIVA' E LA STRAGE DI CAPACI
96 ore dopo l'omicidio Lima scatta l'allarme e il capo della Polizia parla già di strategia stragista, due mesi prima dell'attentato in stile colombiano di Capaci. Impressiona anche la precisione del periodo di riferimento: marzo-luglio. Che cosa succede dall'invio di quel documento a tutti i prefetti d'Italia fino alla strage di Capaci? Secondo la Procura di Palermo inizia la 'prima trattativa', quella in cui i politici finiti nel mirino provano a 'salvarsi la vita'. L'input, secondo le accuse, arriverebbe da Calogero Mannino, uno degli obiettivi sulla lista di Cosa Nostra.
Tra marzo e maggio nessun politico verrà preso di mira. L'attenzione di Riina e soci si sposta sul simbolo del maxiprocesso, Giovanni Falcone. Il 22 maggio 1992 il magistrato è ormai certo di essere il primo 'capo' della Procura Nazionale Antimafia, una 'sua creatura'. Il giorno dopo rientra in Sicilia da Roma assieme alla moglie Francesca Morvillo e agli uomini della scorta. Alle 17.58 all'altezza dello svincolo di Capaci, sulla strada che lo porta da Punta Raisi a Palermo, 500 chili di tritolo uccidono lui, la moglie e tre agenti della scorta:Rocco Dicillo, Antonio Montinaro e Vito Schifani.
E' un attentato volutamente spettacolare, che sconvolge l'intero Paese: una strage che puzza di terrorismo. Nel libro Cose di Cosa Nostra scritto con Marcelle Padovani, Falcone utilizza parole che lette alla luce di quanto accadrà pochi mesi dopo, suonano profetiche:"Si muore generalmente perchè si è soli o perchè si è entrati in un gioco troppo grande. Si muore spesso perchè non si dispone delle necessarie alleanze, perchè si è privi di sostegno. In Sicilia la mafia colpisce i servitori dello Stato che lo Stato non è riuscito a proteggere".
Due giorni dopo Capaci il Parlamento elegge Oscar Luigi Scalfaro alla Presidenza della Repubblica. Giulio Andreotti rinuncia al sogno di sempre: prima Lima, poi Capaci vengono interpretati come un messaggio diretto al Divo, che sa leggere tra le righe.
PAOLO BORSELLINO: "HO VISTO LA MAFIA IN DIRETTA". IL ROS INCONTRA VITO CIANCIMINO
Nel dicembre del 1991 Paolo Borsellino era tornato in servizio a Palermo come procuratore aggiunto, dopo cinque anni trascorsi a Marsala. Nei 57 giorni successivi alla strage di Capaci, lavorerà come un forsennato per capire chi e perchè l'aveva resa possibile. Ed è in quei 57 giorni che viene a conoscenza di qualcosa che decreta la sua condanna a morte.
Il 29 maggio su un volo Palermo-Roma il capitano del Ros dei Carabinieri Giuseppe De Donno ha un primo contatto con Massimo Ciancimino. Ha ricevuto un compito dal colonnello Mario Mori (entrambi imputati nel processo sulla trattativa), che nella versione ufficiale è quello di 'cercare contatti all'interno di Cosa Nostra per mettere le forze dell'ordine sulle tracce di Riina e Provenzano'. De Donno chiede a Ciancimino un incontro con il padre Vito.
Vito Ciancimino è un mafioso doc, legato all'ala dei Corleonesi, protagonista indiscusso del sacco di Palermo (come sindaco e assessore ai Lavori Pubblici), già nella corrente andreottiana della Dc, vicino a Salvo Lima e uomo di fiducia di Bernardo Provenzano, di cui apprezza la strategia di 'basso profilo' (quella che Cosa Nostra adotterà dal 1994 in poi) rispetto al sangue fatto scorrere dall'impulsivo Totò RiinaL'incontro Ciancimino - De Donno (secondo quanto riferito ai magistrati dal figlio Massimo) avviene la prima settimana di giugno a Roma, nei pressi di piazza di Spagna. Due settimane dopo don Vito incontra, sempre nella Capitale, anche il generale Mario Mori.
Il 23 giugno (secondo quanto riferito nel 2009 da Claudio Martelli, all'epoca dei fatti ministro della Giustizia), Giuseppe De Donno incontra Liliana Ferraro, alla guida degli Affari Penali del dicastero di via Arenula e già collaboratrice di Falcone nel periodo in cui era lui a dirigere quell'ufficio. De Donno riferisce alla Ferraro che Ciancimino vuole 'collaborare' in cambio di garanzie. Secondo Martelli la Ferraro mette al corrente Paolo Borsellino delle manovre del Ros.
Due giorni dopo (il 25 giugno) Borsellino vede Mori e De Donno in una caserma dei Carabinieri a Palermo. Quella stessa sera in un incontro organizzato da MicroMega nella bibloteca del capoluogo siciliano,Borsellino dichiara di attendere una convocazione da Caltanissetta (deputata a indagare su Capaci), allo scopo di fornire agli inquirenti "tutti gli elementi" di cui è a conoscenza sulla strage. Convocazione che non arriverà mai.
Secondo quanto dichiarato da Massimo Ciancimino, è in quei giorni che don Vito consegna al Ros il papello (ne parleremo più approfonditamente in uno dei prossimi articoli), le richieste di Cosa Nostra per porre fine alla strategia terroristico-mafiosa.
Il 1° luglio 1992 Borsellino sta interrogando il nuovo pentito Gaspare Mutolo, che gli racconta delle coperture istituzionali di Cosa Nostra.
L'interrogatorio viene interrotto: Borsellino viene convocato per un incontro con il neo-ministro dell'Interno Nicola Mancino (imputato per falsa testimonianza nel processo sulla trattativa, indicato da Brusca come il referente istituzionale della stessa). Quando torna da Mutolo, il pentito descriverà il magistrato come molto nervoso, intento a fumare "due sigarette alla volta". Da Mancino Borsellino avrebbe incrociato anche Bruno Contrada, numero 2 del Sisde (che verrà condannato a dieci anni per concorso esterno in associazione mafiosa), a cui Mutolo aveva fatto riferimento poco prima durante l'interrogatorio.
Borsellino annota l'incontro con  Mancino sulla sua 'agenda grigia', ma il futuro vicepresidente del Csm si ostina a negarlo per oltre 15 anni. Interrogato dalla Procura di Palermo ha poi cambiato versione, arrivando a sostenere di non ricordare un incontro con quello che nel 1992 era il magistrato più famoso d'Italia.
Il 15 luglio, secondo quanto riferito dalla moglie Agnese ai magistrati di Caltanissetta, Paolo Borsellino le confida: "Ho visto la mafia in diretta. Ho saputo che Antonio Subranni (numero uno del Ros, ndr) è punciuto (affiliato a Cosa Nostra, ndr)".
Nello stesso periodo Luciano Violante, al tempo presidente della Commissione Parlamentare Antimafia, viene informato da Mori che Vito Ciancimino vuole parlare con lui. Violante rifiuta tre volte l'incontro, sostenendo che (se vuole) Ciancimino può chiedere un'audizione in Commissione: racconterà la vicenda ai magistrati solo nel 2009.
Il 19 luglio Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta (Emanuela Loi, Walter Eddie Cosina, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli e Claudio Traina) vengono uccisi in via Mariano D'Amelio a Palermo. La bomba era stata caricata su una Fiat 126, parcheggiata davanti casa della madre del magistrato. Per settimane la scorta aveva chiesto che in quella strada, ritenuta estremamente pericolosa, venisse installata una zona rimozione.
Due mesi dopo Capaci tocca a Borsellino. Ma lo Stato tramite il Ros aveva già rispolverato un canale di comunicazione con la Cupola, perchè allora un nuovo eccidio? Forse perchè Borsellino, venuto a conoscenza dell'iniziativa portata avanti da Mori e De Donno (per conto di chi?) aveva lasciato intendere di non volere accettare compromessi, trattative o affini con chi si era reso responsabile di Capaci?
"Credo che la morte di Borsellino, ancora oggi, sia qualcosa di inconfessabile" ha dichiarato il gup Morosini al Fatto Quotidiano, due giorni dopo aver decretato il rinvio a giudizio dei dieci imputati nel processo sulla trattativa che inizierà il 27 maggio.
Il processo su Via D'Amelio vedrà mettere in piedi un depistaggio, con falsi pentiti che si autoaccuseranno dell'eccidio. Solo con le rivelazioni di Gaspare Spatuzza è stato possibile aprire un nuovo procedimento, attualmente in corso a Caltanissetta.
(Sui dettagli dei 57 giorni intercorsi tra Capaci e via d'Ameliorimandiamo al prossimo articolo, in uscita il 4 maggio)
International Business Times non riceve alcun finanziamento pubblico.

Read more: http://it.ibtimes.com/articles/47608/20130502/trattativa-stato-mafia-1992-lima-capaci-falcone-via-d-amelio-borsellino-ciancimino-ros.htm#ixzz3HWn4xKHI


Read more: http://it.ibtimes.com/articles/47608/20130502/trattativa-stato-mafia-1992-lima-capaci-falcone-via-d-amelio-borsellino-ciancimino-ros.htm#ixzz3HWmpQFNI


Come può una Nazione, uno Stato dover scendere a patti con una organizzazione criminale?
Come può essere possibile che uno Stato, una Nazione non abbia i mezzi per combattere una organizzazione criminale?
Può tale organizzazione avere più mezzi di uno Stato, di una Nazione che ha un Esercito, Aeronautica Militare, il Corpo Militare dei Carabinieri, Guardia di Finanza, Corpo Forestale, Pubblica Sicurezza?
Può uno Stato, una Nazione dire al Popolo, attraverso la voce delle sue Istituzioni, che trattare con la Mafia era necessario per evitare che mettessero bombe uccidendo anche bambini come è accaduto?
No, non è possibile né ammissibile perché lo Stato ha mezzi potenti che la Mafia, pur avendo ricchezza per corrompere e comprare, non ha: basti pensare al Servizio Segreto.
Dunque la conclusione di questa riflessione è inevitabile: può se elementi di detto Stato, di detta Nazione, sono collusi con essa.

Grande, grandissimo Eduardo

Ho tutto il Teatro di Eduardo De Filippo, come ho quello di Pirandello, ma anche di Ibsen e il Teatro Greco...
Molte di queste ed altre Opere sono regali di mio marito che conosce le mie passioni e sa che per far quadrare il bilancio i primi risparmi li faccio su me stessa.
Queste belle Opere costano un poco di più di un libro in edizione economica, (che non mi faccio mai mancare), e sono una fonte inesauribile di piacere della lettura.

Amavo il teatro fin da piccola. Il mio sogno era avere un teatrino su cui muovere le marionette delle mie storie. Le inclinazioni si mostrano già dalla più tenera infanzia. Grandicella potei avere un teatrino di seconda mano: con le quinte, il sipario... Le marionette le creavo io con il cartone disegnandole: il disegno era l'altra mia passione.
Ci vuole coraggio per portare avanti le proprie inclinazioni ed io non l'ho avuto. Mio padre avrebbe dissentito se avessi voluto intraprendere studi di recitazione.. ed io conoscendolo ci rinunciai in partenza.
Probabilmente questa è la differenza fra la grandezza e la mediocrità.
I grandi rischiano sempre.

Eduardo De Filippo ha scritto cose che è bello vedere recitate da chi le anima, come sanno fare gli attori, ma sono molto belle anche da leggere.
Leggendo la sua Opera mi sono sempre chiesta come mai non gli abbiano dato il Premio Nobel per la Letteratura. Mi risposi che forse era perché non aveva scritto in lingua italiana ma in dialetto napoletano. 
Con mia grande sorpresa scoprii che non poteva essere per questo quando l'hanno dato a Dario Fo che ha scritto in un dialetto addirittura inventato: il gramlot.

Dunque non so perché la Grandezza dell'Opera di Eduardo non è stata insignita del Nobel.

Comunque mi sembra che questo prestigioso riconoscimento dell'Opera Umana ha altre "dimenticanze", ad esempio nel campo della Scienza, e qualche sopravvalutazione...


O è follia o il motivo c'è: mobbing

ADNKRONOS

Roma: Farinetti, aggressore bravo dipendente, volevo assumerlo

Un bravo dipendente, che "si è sempre comportato benissimo". Così Oscar Farinetti, patron di Eataly, parlando con l'Adnkronos, definisce il ragazzo afghano di 25 anni che questo pomeriggio ha accoltellato uno chef, ferendo anche un addetto alla sicurezza intervenuto per bloccarlo, nei locali del negozio a Roma.
Farinetti parla di "un gesto inspiegabile", avvenuto apparentemente senza motivi e "senza nessun litigio". "La cosa incredibile è che questo ragazzo si è sempre dimostrato molto bravo sul lavoro, era serio, non si è mai assentato. Il suo contratto sarebbe scaduto a dicembre ma sarebbe stato confermato a tempo indeterminato - spiega Farinetti - Inspiegabilmente però si è dimesso il 24 ottobre, senza specificare i motivi, e fino al 2 novembre sarebbe rimasto in servizio".

Cameriere accoltella cuoco a Eataly a Roma, "mi umiliava"

09:05 31 OTT 2014
(AGI) - Roma, 31 ott. - Lite con accoltellamento nel ristorante-rosticceria al secondo piano del palazzetto di Eataly, nel quartiere Ostiense di Roma. Ieri pomeriggio un cameriere afghano di 25 anni, nel corso di una lite con lo chef, lo ha accoltellato sotto il braccio sinistro. Anche un addetto alla sicurezza e' stato a sua volta ferito al braccio destro. Sul posto sono intervenuti gli agenti del commissariato Colombo. Il cameriere avrebbe agito per motivi personali: "mi umiliava", avrebbe dichiarato.

Se vieni da un Paese come l'Afghanistan di traumi te ne porti dietro parecchi e umilmente cerchi di costruirti una vita in un Paese che dovrebbe essere civile.
Ma civili non sono tutti gli individui e c'è tanta gente dall'animo miserabile che cerca di infliggere umiliazioni meschine immotivate e continue alla vittima di turno.
Sono quei soggetti che dal basso del proprio nulla cercano di emergere abbassando gli altri ghettizzandoli. Se non c'è nulla a cui appigliarsi non esitano a servirsi della calunnia per poi denigrare e, purtroppo, trovano facili proseliti.
Cosa c'è di meglio di uno che già ha il timbro del diverso? E' un profugo afghano? Umiliamolo, divertiamoci. Se reagisce è matto.
Il lavoratore afghano aveva preferito dare le dimissioni (accade anche ad italiani soggetti a mobbing) nonostante avesse la possibilità di lavorare fino a dicembre e, come dice il datore di lavoro, avrebbe potuto avere un contratto a tempo indeterminato. Probabilmente chi lo tormentava ha continuato a farlo anche negli ultimi giorni di lavoro che gli erano rimasti ed è scattata la reazione in chi dalla vita deve averne già sopportate tante.
Il mobbing è stata la solita scoperta che viene da fuori, come la parola inglese dimostra.
Ma è sempre esistito nell'agire della natura umana più miserabile e ha un nome italiano: PERSECUZIONE.    

RAI: poca cultura

Quello che rimane della vocazione culturale della terza rete della RAI dai tempi di Guglielmi è molto poco.
Recentemente mi è capitato di apprezzare Il Tempo e la Storia di Massimo Bernardini e
Pane quotidiano di martedì 28 ottobre alle 12.45 su Rai3 condotto dalla bella, garbata ed intelligente Concita De Gregorio.
Aveva ospite Corrado Augias, apprezzabile per molte cose, meno per alcune che però qui non ricordiamo volendo occuparci del suo libro sulle donne e la psicoanalisi.
Quello che mi ha colpito della conversazione fra Concita e Augias è la considerazione che Sigmund Freud sulla sua paziente Dora si era sbagliato, fuorviato dalla "mentalità di un uomo del suo tempo". 
Lessi "Casi clinici" di Sigmund Freud che avevo 19 anni, non capii tutto, trovando faticoso comprendere l'analisi dei sogni. In età più matura l'ho riletto capendo di più, ma sempre mi aveva stupito l'interpretazione che Freud dava della reazione di ripulsa di Dora alla avance di un maturo amico di famiglia, sposato, giudicandola "sintomo isterico".
Pur con il dovuto rispetto per la Scienza del padre della psicoanalisi non mi trovavo d'accordo, sembrandomi più che naturale una reazione di disgusto da parte di un'adolescente di fronte ad un assalto di natura sessuale di un uomo amico di suo padre.
Ricordo che pensai: "Ma per non essere ritenute isteriche allora bisogna essere animali assetati di sesso, da chiunque offerto? Senza tener conto della propria formazione morale e culturale?"  Mi sembrava una interpretazione della psicologia legata alla sessualità non condivisibile sul piano etico. Per Freud una ragazzina, che non si eccitava per essere stata abbracciata da un uomo che poteva essere suo padre per età, era anormale: isterica.
Ho ritrovato dunque nelle considerazioni fatte da Concita De Gregorio e nel giudizio concordante di Augias la conferma che avevo ragione.
Questa è cultura: scambio, riflessione, scoperta.
Sigmund Freud con sua figlia Anna