giovedì 25 aprile 2013

Stranita umanità


Da: la Raccolta di novelle "Le Verità nascoste, racconti comici ma non troppo..."


Stranita umanità

La donna dalla voce di gatta sfiatata appena lo vide lo agganciò e dopo poco già si davano del tu come fossero vecchi amici. Invece non sapevano assolutamente nulla l’uno dell’altra.
Maria giocava con il suo nipotino in giardino: lui, cinque anni, voleva che lei facesse canestro per lui. Ma lei non ci riusciva. Non era mai stata un tipo sportivo e non riusciva ad infilare la palla in quel canestro che qualcuno dei suoi figli aveva inchiodato in alto, sul tronco di un superbo pino.
“Dai, dai!” Incitava il bambino.
“Non ci riesco Enrico – rise la nonna – è troppo alto per te ma anche per me!”
Allora ci riprovò lui, ma la palla ricadde dopo essere passata sotto il canestro. 
“E dai nonna, fallo tu!”
Lei rise divertita da quel gioco: “Vuoi che io lo faccia per te, sono il tuo alter ego!” Non faceva niente se il bimbo non conosceva quell’espressione, Maria pensava che parlando con ricchezza di vocaboli  i piccoli imparavano più parole e concetti.
Dietro la siepe c’era il nuovo vicino con qualcuno, forse il fratello che, sentendo quelle voci chiese: “Chi è? La signora?”
“Sì”
“E com’è?
“Scema.”
Maria sentì perché quel “Scema” era stato detto con voce alta e sicura.
Se si potesse disegnare il pensiero come nei fumetti, sopra la testa della donna sarebbe comparso un punto interrogativo.
“Sarà per l’alter ego?” Si chiese. Ma le sembrava esagerato, ed un giudizio così sicuro sulla sua intelligenza le sembrava affrettato data la loro scarsa conoscenza che, per il momento, si era limitata ad un saluto.
Pensò ad una malevola presentazione da parte della precedente proprietaria che era stata, fra l’altro, sua amica. Un’amicizia mediata da una ospite fissa di quella donna, una sua amica dai tempi del liceo, di ben altra fatta, che ancora la gratificava della sua stima ed amicizia. La precedente proprietaria a Maria non piaceva perché, pur avendo avuto un bimbo non riconosciuto dal padre, aveva continuato, come prima di averlo, a far entrare ed uscire uomini dalla sua vita e, con molta superficialità, aveva detto che teneva il conto ed ormai era  arrivata a settanta e passa, quasi ottanta: sotto gli occhi smarriti di quel povero bambino che vedeva sempre facce nuove chiudersi in camera con sua madre. L’amica ospite era diversa e tramite lei Maria aveva accettato anche quella insulsa sciagurata. Finché, avendo fissa dimora altrove, non aveva cominciato ad affittare la casa, e sempre a gente losca. Uno di questi, appresero dal maresciallo che comandava la locale stazione dei carabinieri, era un piccolo truffatorello, con precedenti penali di gioventù, quando abitava a Torpignattara, di furto di autoradio: pare fosse la sua specialità. Ora temevano che avesse fatto il salto di qualità nel campo degli stupefacenti. D’accordo con il suo equivoco inquilino la scomoda vicina ed amica denunciò ai vigili lo spostamento, peraltro preannunciatole, di un box che il marito di Maria stava effettuando da un lato ad un altro del giardino. Dovettero smontarlo. Al telefono la sciagurata si faceva negare a Maria, che voleva chiederle spiegazioni di quel comportamento insensato ed ostile. La scomoda amicizia finì e l’amica comune che aveva fatto da legante tentò di giustificarla dicendo: “E’ impazzita. Lei è fatta così, ogni tanto impazzisce.”
“Figuriamoci se una così può dare della scema a me!! “ Pensò la donna, addebitando il lapidario giudizio del nuovo vicino alla ex proprietaria .
Ma si  sbagliava Maria, e lo capì quando il giorno dopo sentì la voce da gatta sfiatata di Milva che chiamava per nome il nuovo vicino, come se lo conoscesse da una vita: “Francooooo! Sono andata per te per il gas….” Non sentì altro, ma le bastò. Capì da chi veniva quel giudizio insultante perché conosceva le stranezze e l’ostilità di quella donna nevrotica, abbandonata dal marito ormai stufo della sua nevrosi, che provava astio verso di lei che aveva dimostrato di saper vivere serenamente e semplicemente. Milva voleva darsi arie, si atteggiava a persona importante, anche se non era buona a nulla, e si riteneva più su di Maria. 
Poi vide che la modesta Maria lavorava, aveva una bella famiglia unita e, senza spendere tanti soldi, sapeva anche essere sempre a posto, sempre sobriamente elegante. Quando il marito non tornò più a casa la sua frustrazione, di fronte alla vicina che voleva ritenere inferiore a lei, scoppiò. Quando la incrociava non la salutava e diceva a tutti che era scema e matta. Intanto continuava ad imbottirsi di psicofarmaci.
“Ma questo Franco deve essere un cretino patentato, - pensava la semplice Maria – per sposare un giudizio altrui al punto tale da farlo proprio, senza conoscere la persona che etichetta in questo modo. Io i miei giudizi sugli altri me li formo con l’esperienza. Come si fa a spingersi a spararli così, con sicurezza, quando non sa nemmeno chi è Milva: una povera nevrotica che vive di ansiolitici e sonniferi!” 
Il cretino in questione aveva detto di essere un ispettore di una polizia specializzata nei problemi di immigrazione. Cominciò subito a darsi grandi arie girando per il suo giardino urlando telefonate importanti sul suo cellulare, o almeno lui le riteneva tali da essere di curiosità ed interesse per i vicini. Aveva dato il suo biglietto da visita con lo stemma della Polizia di Stato a Maria, girava in camicia in modo che si vedesse l’imbracatura con la pistola. Tutte cose che rafforzarono l’idea in Maria e la sua famiglia che fosse proprio un cretino.
Un giorno le parlò con aria importante di Milva chiamandola: “La signora della famiglia Beccaccini.”
“Forse intende la famiglia Fiorentini…” Lo corresse con ironica pietà, che lui non notò, Maria. 
“Non lo so, io la conosco come Beccaccini…”
“E’ il suo cognome da ragazza, ma se lei parla della famiglia, allora deve dire Fiorentini, così si chiama il marito e così si chiamano i figli.” 
“Questo stupido non sa nemmeno come si chiamano perché la nevrotica, visto che il marito se ne è andato da poco, gli avrà detto il suo nome da ragazza: prima però si pavoneggiava chiamandosi in terza persona “la signora Fiorentini”, come se suo marito fosse Frà Cavolo da Velletri e non soltanto un Dirigente mazzettaro, come ha confessato lui stesso, durante una cena, ai loro vicini e “amici”, i Sigg.ri Bruni, i quali  si sono subito premurati di ridircelo appena ci hanno conosciuti. Però questo cretino nuovo nuovo beve e fa suoi i giudizi di Milva, di cui, come sta dimostrando, non sa nulla …” Pensava la donna mentre lo guardava.

Uscendo Maria incrociò il poliziotto che indossava un’imbracatura da rocciatore e stava parlando con suo marito fuori dai cancelli delle rispettive abitazioni. Ne dedusse che la usava per arrampicarsi sugli alberi per potarli e gettò un’occhiata all’interno del suo giardino dove, in effetti, giacevano alcuni rami di pino in terra; vide anche una donna bionda ed un bambino altrettanto biondo e, per essere gentile e far vedere che si interessava a lui, nonostante il non lusinghiero giudizio sulla sua intelligenza, chiese: “E’ il suo bambino? Quanti anni ha?”
“Sì è mio figlio: Giacinta gli vuole bene come fosse suo. Io sono divorziato.”
Da questo fu chiaro che la donna, anche se aveva in comune con il bimbo il colore dei capelli, non era sua madre.

Il bimbo poi sparì ed anche la donna, anche se lei veniva ogni tanto. 
“Mio figlio vive in Colombia con la madre che è di lì.” Disse Franco un’altra volta.

Poi la bionda Giacinta venne a vivere lì. 

Uscendo un giorno Maria sentì la voce del vicino che parlava con tono altissimo al telefono, tanto da sentirsi fuori dal cancello. Si voltò e vide che teneva la finestra spalancata, girava a torso nudo con un telefono fisso in mano, trascinando un lungo filo e parlando diceva: “Ma non è vero che non mi facevo trovare, non è così….”
Maria infilò l’automobile e se ne andò prima possibile. Non voleva essere coinvolta in altre pazzie dei suoi vicini: aveva già fatto altre esperienze ed ormai riconosceva subito le stranezze.

Qualche tempo dopo, sempre uscendo, (purtroppo doveva passare per forza da lì, non avendo comode uscite sul retro che consentissero di eclissarsi alla chetichella), vide la bionda che (da un po’ di tempo non si vedeva più, pur abitando con Franco) stava fuori dal suo cancello chiuso guardando i cani che si sollevavano sulle zampe dall’interno, scodinzolando ed abbaiando.
Maria non capì cosa stesse facendo lì fuori, guardando i cani così intenta e con le braccia conserte, ma non poté non darle il saluto, cercando nel contempo di risalire in auto dopo aver chiuso il proprio cancello.
Quella sembrò non aspettare altro e, indicando con aria desolata i cani, disse con sufficienza: “Sono venuta a dar da mangiare a queste povere bestie.” Come se Maria dovesse essere edotta che lei non abitava più lì.
Di matti che fanno casini e che pensano che il mondo ruoti intorno a loro e che gli altri non abbiano altro da fare che interessarsene, Maria aveva già le tasche piene. Fece finta di niente pensando: “Questa crede che è così importante che le cose sue sono uscite sul giornale? Per me abitava qui e se non parla chiaro non sarò io di certo a farle domande.”  Le chiese con tono salottiero: “A quando le ferie?” Ed avuta una risposta qualsiasi con un sorriso si eclissò.
“Che si pagassero lo psicanalista se hanno dei problemi. Ma che razza di comportamenti! Vivono in modo disordinato e ti parlano come se tu dovessi essere informata di tutti i cazzi loro! Quando di te non sanno niente ma ti definiscono “scema”, senza ragione alcuna, o “pazza” come ho sentito con le mie orecchie dire proprio da questa pazza vera, visto come vive…”  Pensava con sincera e schietta cattiveria guidando.

Un giorno il suo convivente era venuto a chiedere qualcosa a loro, era d’estate e lei in casa portava una maglietta di filo che faceva intravedere il seno che Maria, nonostante avesse cinquant’anni, aveva bello sodo e dritto… Forse l’uomo era rimasto turbato, fatto è che, nel rientrare in casa l’aveva detto alla sua convivente e Maria, che l’aveva riaccompagnato per pura cortesia fino al cancello e stava percorrendo il suo vialetto per rientrare in casa, lo sentì ed udì anche il commento di Giacinta:”Se è pazza…” 
Di nuovo il punto interrogativo insieme ad uno esclamativo comparve nel pensiero della donna: 
“Ma pazza sarà lei e quello scemo con cui vive!! Ma cosa vogliono questi? Si presenta in casa mia per chiedere una cortesia a mio marito e che debbo fare io, mi nascondo o mi cambio di abito?” 
Raccontò a suo marito quello che aveva sentito e lui sorrise e le disse: “In casa tua tu stai come ti pare. Se lui si turba perché hai i capezzoli a punta peggio per lui: con quello che si vede per la strada poi…”
“Non ne parliamo: reggiseni che spuntano come vuole la moda, abiti che sono come le sottovesti di una volta, vanno in giro a tutte le età come se stessero al mare… per la città però. Io vesto in modo classico, ma a casa mia con il caldo voglio stare comoda.”
“Poi non è che aspettassimo visite, – concluse il marito con indifferenza – fregatene.”

Poi la bionda tornò.

Franco e Giacinta ebbero una bambina e Maria portò loro un pensierino, anche perché la bionda carinamente aveva regalato un pagliaccetto al suo secondo nipotino quando era nato.
Un giorno vennero tutti e tre a far loro visita e la bionda raccontò che le avevano trovato un tumore all’utero quando la bimba era nata, disse che “aveva rischiato”, ma il medico, prontamente, lo aveva tolto. Maria le fece tanti auguri di buona salute. 

Una domenica che stavano tutti a vedere una importante partita di calcio e Maria, non interessata, stava stendendo i panni sul balcone, Franco suonò al loro cancello, lei chiese di cosa avesse bisogno e quello, pallido e con l’aria tirata, disse: “Mi può chiamare suo marito?” Lei non gli aveva mai concesso il “tu” che Milva gli aveva dato “espresso”.
Suo malgrado andò a disturbare gli “sportivi” incollati sul televisore a seguire la palla:
“Scusate – esordì – ma c’è il vicino, Franco, che vuole uno di voi, anzi vuole te.” Disse rivolta a suo marito.
“Ma che cazz… vuole questo, proprio mo’…” Rispose il marito senza staccare gli occhi dal televisore.
“Non lo so, ma aveva un’aria…”
“Un’aria del cazzo! Ma proprio adesso? Ma questo non li segue gli Europei?!
“Ma io che ne so.” Concluse Maria.
Suo marito si alzò e lo seguì anche suo figlio che, pur non vivendo con loro, era venuto a vedere la partita con il padre.
Andarono al cancello e Maria tornò sul balcone a continuare la sua faccenda domestica.
Da lì sentì la seguente discussione:
Franco, il poliziotto, tremante di rabbia, pallidissimo: “Avete lasciato la macchina davanti al cancello ed i miei ospiti hanno faticato ad entrare in casa mia!”
Il figlio di Maria: “Ma è davanti al nostro cancello, non davanti al suo… Peraltro è uno spazio definito nel rogito notarile di proprietà privata.”
“Sì, ma c’è scritto anche che, pur essendo di proprietà privata, deve lasciare spazio per la manovra agli altri..."
“Ma l’ha lasciato, – a questo punto il marito, superscocciato dal dover star lì mentre la partita si svolgeva, imbufalito perse la sua solita formale cortesia – se i suoi ospiti sono imbranati che è colpa nostra? Ci passa un carroarmato, ci passa!”
“Ma mi sembra che, comunque, sono entrati.” Osservò il figlio, che aveva visto un po’ di gente e di auto all’interno del giardino di Franco.
Il marito di Maria girò le spalle allo scocciatore facendo un gesto verso l’alto con il braccio e si precipitò a vedere se nel frattempo avevano fatto gol…. Lasciando il figlio a discutere con l’uomo che continuava a tremare pallido e furente.
“Sono entrati ma faticando nel fare la manovra!” Stava dicendo.
“Mi dispiace, – disse il giovane a questo punto – ma sono arrivato all’ultimo minuto e la partita stava per cominciare, altrimenti l’avrei messa dentro. Comunque lo spazio per la manovra c’era…”
“Oggi io mi sono sposato con Giacinta… Capisce?!”
“Auguri!” Disse il giovane e corse dentro con lo stesso spirito del padre: sperando che non ci fossero stati gol.
“Auguri! – Disse Maria dal balcone. – Non lo sapevamo. Auguri ancora.”

A partita finita i commenti si sprecarono.
Il giudizio migliore del marito fu: “Solo uno stronzo viene a rompere i coglioni mentre la gente sta seguendo gli Europei. Anche se lui non segue il calcio è un evento che si sente anche dalle case vicine. Ma non li sente gli urli?”
“Ma si sposano adesso?” Chiese il figlio. “Ma non avevano già una bambina? Lui era divorziato mi pare, no? Però in un giorno del genere uno è allegro, felice, e passa sopra a scemenze tipo la macchina del vicino che dà fastidio alla manovra. Io ero così felice il giorno del mio matrimonio che ero ben disposto verso il mondo intero… Lui era pallido, tremava… E’ incredibile.”
La pensierosa Maria disse: “Per me non si voleva sposare. Lei l’ha indotto con quella storia del tumore che poi era una cosa benigna… E quello non stava tanto felice per questo.”
“Ma sti’ cazzi! E viene a sfogarsi qui sto’ pazzo?!” Concluse il marito.

Quando la bionda sparì definitivamente con la bambina, gli incarogniti vicini si guardarono bene dal fare domande, anche se, abbassata l’arroganza, Franco provò timidamente a far loro un po’ pena. Ma i vicini avevano alzato un muro di distacco.
Eventi precedenti, che avevano vissuto con il vicinato, li avevano portati a quel punto.

Ad esempio la precedente proprietaria con la storia del box, dopo che le avevano dato la loro amicizia e sopportato infinite follie. Come quella volta che l'avevano invitata con il suo bambino per il giorno di S. Stefano, sapendoli soli, e dopo una telefonata in cui diceva che stava arrivando da Roma, era sparita. Il marito di Maria l’era andata a cercare lungo la strada temendo in un guasto dell’auto. Non c’erano ancora i cellulari ma molti telefoni a gettone e lei, per una ruota mezza sgonfia, aveva deciso di tornare nella casa romana dove, finalmente, Maria riuscì a contattarla. In realtà rispose il figlio che disse la ragione del rientro. “Ma non potevate telefonare?” Chiese allibita Maria. “Sono le tre e noi non abbiamo mangiato per aspettarvi, il pranzo della festa si è raffreddato e mio marito è per strada a cercarvi.” 
O quella volta che, non si sa come, era caduta dal vialetto della sua villetta, adiacente alla loro, nella sottostante rampa delle auto, e Maria l’aveva caricata in auto e portata in ospedale, rimanendo con lei e riaccompagnandola  poi a casa.

Amici della sciagurata, che lei aveva loro presentati, entrambi separati con figli, erano venuti a vivere lì vicino e suonavano al loro cancello in ogni ora, anche quelle del riposo, per chiedere ogni tipo di aiuto e di favore. La loro convivenza era durata solo due anni ed avevano cercato anche di coinvolgerli nelle loro diatribe.
Prima di unirsi in questa rapida ed infelice convivenza, questa coppia di separati, veniva nella villetta della sciagurata che dava loro le chiavi per usarla come garçonnière.
Non era l’unica coppia a cui le dava e nella casa c’era un certo via vai…
A Maria ed alla sua famiglia aveva chiesto la cortesia di tenere un mazzo di chiavi per la sua comodità: “Se deve venire un operaio per fare qualche intervento basta che gli telefono da Roma e voi gli aprite, così non sono costretta a venire su.”  Aveva motivato la sua richiesta ringraziandoli per il disturbo. Ma aveva dimenticato di dire che altre chiavi le dava ai suoi amici, spostati come lei, per altri usi.
Le prime volte, allarmati, avevano temuto che fossero entrati i ladri. Poi, guardando preoccupati dalla loro casa, si erano resi conto che l’intrusione era di altra natura.
Erano già molto seccati con la loro vicina per aver dato loro quell’incomodo delle chiavi, senza avvertirli degli altri usi a cui adibiva la casa, quando, una sera che stavano cenando con dei loro parenti, la sciagurata suonò al loro campanello.
“Chi sarà a quest’ora?” Si chiesero un po’ tutti.
Andò ad aprire Maria e, visto che era la scomoda vicina a cui, grazie alla sua ex compagna di scuola che veniva spesso come sua ospite, avevano dato la loro amicizia, sia pure con una certa riserva, la fece accomodare in ingresso. Quella, senza scusarsi per l’ora ed il disturbo, disse che doveva parlare loro di una cosa che era accaduta, ma che voleva che ci fosse anche suo marito.
Doveva essere qualcosa di molto grave per  costringere delle persone ad interrompere la cena, con l’aggravante che avevano degli ospiti.
Maria scese in taverna e chiese a suo marito di salire in ingresso, mentre i loro parenti chiedevano: “Ma che è successo?”
I due attoniti vicini si sentirono fare il seguente racconto:
“Oggi arrivando ho trovato delle feci nel bagno e dei peli nel bidet. Dato che voi avete le chiavi volevo sapere se ne sapete qualcosa.” Era seria e per nulla in imbarazzo per aver interrotto la cena ai due e per essere piombata in casa loro a quell’ora.
I due la guardavano basiti. Pensavano che fosse successo qualcosa di grave e mai, neppure con la più sfrenata fantasia, avrebbero pensato di sentirsi proporre un simile problema!
Certo l’educazione li inibì al punto tale da non farli reagire come molti avrebbero fatto e, forse, sarebbe stato giusto fare e, nel loro intimo, pensarono di fare ma non fecero, cioè dirle: 
“Ma, brutta matta, ti presenti qui mentre stiamo cenando, nemmeno ti scusi, ci fai mangiare freddo e lasciare i nostri parenti da soli per dirci questo?!! Ma che cavolo ne sappiamo noi di quello che succede dentro quella specie di bordello che è casa tua? Noi abbiamo le chiavi? Ma riprenditele subito, per noi sono un peso, un fastidio ed una responsabilità, visto il via vai che c’è in quella casa. Ma vallo a chiedere a quegli zozzoni a cui dai le chiavi per far loro favori! Noi te lo facciamo il favore e qui non si è visto mai un operaio, perciò riprendetele e vai affanc……!”
Invece i poveretti risposero educatamente che non ne sapevano nulla, che in quella casa ovviamente non erano mai entrati, avendo due bagni a casa loro….
Quando ridiscesero, mangiando la cena ormai gelata, i loro sbalorditi parenti dissero loro:
“Ma ridatele le chiavi. Questa è una pazza totale che proietta sugli altri il suo mondo sudicio, fatto di incontri furtivi… Avrà pensato che ci siete andati voi con qualcuno…”
“Allora è da camicia di forza! – Esclamò Maria indignata. – Come si fa a pensare che avendo mio marito qui io vada là con qualcuno o viceversa?!”
“Ognuno vede il mondo attraverso gli occhiali che porta sul naso, mia cara!” Concluse saggiamente suo marito.
Ma Maria non stette zitta e appena ebbe modo di incontrare l’unica amica saggia che quella sua dissennata vicina aveva e che era stata il tramite fra di loro, le raccontò tutto.
Forse per l’antica amicizia che la legava alla sua ex compagna di liceo, la saggia amica tentò una giustificazione all’assurdo: “Ma lei ve lo ha solo chiesto.” Come fosse normale.
“Mi stupisco proprio di questo, - insistette Maria – che senso aveva chiederlo a noi? Che noi andiamo ad usare i suoi bagni? O facciamo entrare persone che lei non ha autorizzato ad usarli?”
L’insensatezza del comportamento di quella folle si poteva spiegare solo con il dubbio di un uso improprio delle chiavi da parte loro. Ma qui Maria registrò nella comune amica una mancanza di censura dell’agire della sua antica compagna di scuola, cosa che fece pensare poi a lei ed a suo marito che, se erano così intime da tanto tempo, qualcosa in comune dovevano avere, anche se la saggia sembrava diversa. Questa, insieme a suo marito, anche lui ospite frequente della ex compagna di scuola di sua moglie, tentò una spiegazione minimale e banale del fatto che aveva provocato l’incongruo e grottesco comportamento della padrona di casa: “La domenica precedente eravamo venuti tutti insieme, sai, quando si è in tanti… Può darsi che qualcuno aveva già chiuso l’acqua e qualcun altro ha avuto bisogno all’ultimo minuto del bagno… Magari uno dei bambini…”
Maria non disse più niente, ma non poté fare a meno di pensare che i bambini non hanno peli del pube da lasciare nel bidet.

Insomma, l’elenco delle follie che avevano dovuto subire era lungo, ormai quei fatti ed altri li avevano cambiati ed avevano capito che non valeva la pena aiutare la gente la quale, lungi dall’esserti grata, dopo averti creato problemi, parla anche male di te.

Franco, frustrato dall’indifferenza di quei due vicini, aveva legato con un tale Carlo che aveva preso in affitto una casa di campagna, costruita totalmente abusiva, per viverci con la sua convivente, la bambina che avevano messo al mondo, il figlio di lei e la figlia di lui, nati dalle precedenti unioni. 
Franco ammirava Carlo perché addestrava cani all’attacco. Amici e conoscenti gli affidavano i cani per farli diventare aggressivi, scopo: la guardia.
Ne teneva dai cinque ai sei alla volta e, chiusi in gabbia o lasciati liberi, abbaiavano ferocemente per gran parte del tempo.
Inutile chiudere le finestre nell’andare a dormire: si sentivano ugualmente. In giardino era impossibile anche parlarsi, perché i latrati superavano le voci. A Franco questo non dava fastidio, anzi, apprezzava Carlo e, guardando oltre la testa di Maria che si lamentava del fatto che non si riusciva più a leggere un libro in giardino, né a sentire il piacevole canto degli uccellini, disse con alterigia: “Lui è Presidente dell’Associazione degli addestratori di cani”. Come se avesse detto “lui è Presidente dell’Associazione degli Ingegneri o dell’Associazione dei Medici Internisti"...
Inutile dire che Maria riferì a suo marito che commentò: “Hai capito?!!! E chi “cacchio” sarebbe? Chiunque può fondare un’Associazione, che so: “Associazione amatori del fringuello maschio!” Poi si autoelegge Presidente e trova sempre quattro scemi che si iscrivono per dare un senso alla propria inutile vita, al proprio vuoto mentale!”

Un giorno uno di questi cani morsicò Franco ad una mano. Lui cercò di non farlo arrivare agli antipatici vicini, i quali se ne accorsero lo stesso, e disse a Carlo di stare un po’ più attento con quei cani.
Un altro giorno si sentì un ospite di Carlo gridare perché uno dei cani l’aveva attaccato.
“Ride, questo ride (evidentemente si riferiva  al “Presidente dell’Associazione degli addestratori di cani”), ma sei scemo! Tu sei tutto matto! Questo non si rende conto… Sei pericoloso.. Tu non ti rendi conto!!”
Ma Franco trovava tutto questo normale. Quando uno dei figli di Maria si trovò a studiare nella casa dei genitori per avere un poco di tranquillità, (fino ad allora ce ne era stata), adirato inveì contro quel latrare continuo e Carlo gli rispose a parolacce. Chi era presente sentì il seguente scambio di battute:
Il figlio di Maria: “Ma basta! Non si riesce a fare niente con questo casino!”
Carlo: “Sono cani, hanno il diritto di abbaiare!”
“Ma cosa dice! Ma che è normale l’abbaiare furioso di cinque cani tutti insieme?!”
Carlo: “Ma non stare a rompere il cazzo!”
“A stronzo! Io non riesco a concentrarmi ed a studiare da dentro casa mia e sono io che rompo?”
Carlo: “Ecco così mi piaci! Se me dici stronzo me poi pure piacé!” Questo è il linguaggio che capisco! Potemo pure diventà amici!”
“Ma che razza di incivile è lei?! Come cavolo ragiona?!”
“Incivile a me?!! Ma io t’ammazzo!!”

Maria ed il marito erano in vacanza a Capri. Al ritorno, appreso l’episodio dal figlio, si recarono dai Carabinieri e sporsero denuncia per insulti e minacce nei riguardi del loro figlio ed esposero i fatti: questo Carlo addestrava cani all’attacco.
I Carabinieri fecero un sopralluogo. 
La convivente di Carlo, beffeggiando i denuncianti, raccontò ad amici, vicini e conoscenti che “persino i Carabinieri ridevano”. 
Nei giorni successivi suo figlio si esercitò in una fitta sassaiola diretta al giardino degli insofferenti ai latrati. Il marito di Maria trovò le piante del suo piccolo orto piene di sassi. Maria furibonda disse: “Se c’era qualcuno gli spaccava la testa questo incivile teppista!” I sassi arrivavano infatti superando il muro e la siepe, quindi il teppista di circa dodici, tredici anni, non poteva vedere chi c’era dalla parte opposta.
I Carabinieri dissero a Maria ed a suo marito che l’addestratore, convocato, era stato ammonito perché non aveva alcuna licenza per fare quello che stava facendo: cioè addestrare cani all'attacco dentro un terreno non autorizzato. Venne convocato anche il proprietario del terreno e della casa che Carlo aveva in affitto e quello disse che non ne sapeva nulla di questa attività che il suo affittuario aveva improntato nella sua casa e si indignò moltissimo.
Da quel momento Carlo, per ritorsione, non gli pagò più il mensile e parecchio tempo dopo se ne andò inseguito da citazioni per morosità da parte del locatore e da diffide dell’Autorità Giudiziaria per attività non autorizzata, maltrattamenti di animali e quant’altro.
Con incredibile superficialità Franco disse che Carlo se ne era andato perché era moroso. 
“Fortuna che “l’uomo di legge” lo ammirava, chissà se lo ammira pure ora!” Commentò acidamente Maria.

Durante quel contenzioso erano accadute molte cose.
Il figlio di Maria, indispettito per quel latrare continuo, aveva sparato in giardino alcuni mortaretti avanzati dal Capodanno nell’intento di spaventare i cani.
Carlo li aveva controdenunciati, scrivendo che aveva sentito degli spari e accusava il marito di Maria. Il quale, però, quel giorno era a Capri e non lo querelò perché lo riteneva non degno di altra attenzione ma, il suo amico poliziotto fece qualcosa  per cui avrebbe potuto essere denunciato per abuso di potere. Fece una ricerca usando i mezzi del suo ufficio per vedere se i vicini avevano un’arma e si presentò dai Carabinieri offrendosi come paciere fra le parti.
Maria ed il marito lo seppero dal Maresciallo dei Carabinieri, che lo riferì con un lieve sorriso di compatimento: aveva capito pure lui di avere a che fare con un cretino.
Immerso nel suo ruolo tipo “Ispettore Clouseau”, Franco si presentò dai vicini che avevano denunciato il suo amico Carlo i quali, nonostante i fastidi e gli indebiti commenti  denigratori su di loro, lo fecero accomodare nella loro graziosa veranda.
Franco: “ Sono stato dai Carabinieri ed ho parlato con Carlo: se potete ritirare la denuncia è meglio per tutti.”
Il marito di Maria, diffidente ed incazzato:” E perché? Noi non possiamo più godere del nostro giardino, non riusciamo neppure a parlarci se ci sediamo sui dondolini per prendere un po’ di sole in tranquillità…. Il suo caro amico ha minacciato mio figlio dicendo: “Io t’ammazzo!”. Mi sembra abbastanza.”
Franco: “Ma se voi ritirate la denuncia la ritira pure lui…”
L’altro: “Che fondamento ha la denuncia di questo signore? Lo potrei querelare perché ha scritto il falso: qui c’era mio figlio ed ha denunciato me che dai registri di un albergo risulto a Capri quel giorno! E’ ridicolo e grottesco e non voglio perdere tempo per i tribunali con un simile soggetto, altrimenti ho tutti gli elementi per fargliela pagare. Questa storia dei cani è vergognosa. Per dispetto ha divelto la rete e li ha fatti entrare per due volte nel mio giardino: ci hanno rotto due vasi, oltre tutto!”
Con un sorriso, che voleva essere furbo e conciliante insieme, Franco giocò quella che credeva essere una carta investigativa: ”Voi avete un fucile.”
A questo punto intervenne Maria: “Certo, era di mio padre ed è regolarmente denunciato. Lo ha lasciato al primo nipote maschio che non è cacciatore, dunque lo detengo io per ragioni affettive. Sta, smontato, nell’armadio. E allora?”
“Bèh, - il sorrisetto ora era proprio  alla “Clouseau” – potreste aver sparato con il fucile.”
Maria non si arrabbiò neppure, perché quell’uomo stava dimostrando, in modo penoso, di essere proprio un perfetto idiota. Le faceva quasi pena. “Ma chi ce le darebbe le cartucce secondo lei?”
“Se lo detiene regolarmente le può comprare….”
Maria cominciò a parlargli come si fa con i bambini quando non capiscono: “Lei è un poliziotto e, dunque, dovrebbe sapere meglio di me che per acquistare le munizioni di un’arma bisogna avere il porto d’armi, che nessuno di noi ha. Lei ha fatto un’indagine su di noi, anche se non poteva farlo, dunque ha visto che l’arma è detenuta senza porto d’armi, per sole ragioni affettive, avendola ricevuta in eredità.”
“Bèh, ma si può lo stesso…” Replicò incerto “l’uomo di legge”.
“Ma cosa dice?! – Si meravigliò la donna. – Nessuna armeria dà niente senza porto d’armi!”
A questo punto l’emulo dell’Ispettore Clouseau cominciò a rendersi conto di aver detto qualche sciocchezza e tentò di spiegare: “Sa…Io mi occupo di un altro settore…”
“Ma se lo so pure io che non sto in Polizia!! – Disse implacabile la donna. – E poi come si fa a confondere lo scoppio di mortaretti con il rumore di uno sparo di una carabina?!” Stava per aggiungere: “Ma mi faccia il piacere!” Ma soprassedette.
Poi, scherzando con suo marito per alleggerire l’atmosfera, disse una battuta citando il titolo di una nota commedia di Goldoni: “Noi siamo un po’ burberi, come “I quattro rusteghi”.”
L’epigono di Clouseau fece un sorrisetto e con aria beota chiese: “Lei è veneta signora?”
La donna rispose di no e pensò che oltre che scemo quel tipo era pure ignorante.

Alla festa che un tizio teneva ogni anno per il suo compleanno, raccattando invitati un po’ dovunque in giro, ed a cui la famiglia di Maria, dopo le prime noiosissime volte, si sottraeva con mille scuse, fino a quando, offeso, il tizio non li invitò più, andò Franco, invitato per la prima volta, Carlo con la convivente e la mista figliolanza, una coppia che Maria aveva allontanato per le stranezze del loro comportamento e per certe notizie poco edificanti che le erano giunte su di loro, e tanta altra gente che, evidentemente, non aveva di meglio da fare.
L’argomento, per loro esilarante, fu il fastidio dei cani. Tutti, accomunati dall’ostilità verso la famiglia di Maria, sia pure per motivazioni diverse, risero del fatto che il marito di Maria si affacciasse alla finestra gridando: “Bastaaaa!” Quando il coro dei latrati durava per ore ed ore. La donna della coppia che Maria evitava per il loro ménage poco edificante, disse che a lei i cani non davano alcun fastidio e che lei dormiva benissimo, omettendo di dire che per farlo prendeva i sonniferi. Definì Maria una povera matta ed anche suo marito. Il padrone di casa, pur sapendolo, evitò di rivelare che la donna girava vantando lauree mai conseguite, un tumore cerebrale che, qualora veramente esistente, l’avrebbe portata in breve a morte certa ed altre follie inventate la cui lista sarebbe lunga da descrivere, perché preferiva che passasse per matta Maria, che si rifiutava di andare alla sua festa, tanto importante per lui. Così Carlo si sentì confortato e nel giusto e Franco con lui. 
Purtroppo le leggi non erano d’accordo con quella stranita umanità e non consentivano di addestrare cani senza le dovute licenze ed autorizzazioni, né la legge riteneva giusto che cani incattiviti dalle pratiche dell’uomo sconfinassero in giardini altrui, così Carlo dovette smettere la sua attività e migrò altrove con la sua tribù, compreso il “tirasassi” naturalmente.

Le verità nascoste, negate e seppellite, aleggiano nell’aria come ectoplasmi e, quasi ci fossero leggi fisiche che le regolano, a volte si concretizzano in improbabili incontri, fu così che Maria, girando per una città con milioni di abitanti, essendosi persa in un quartiere che non conosceva, si fermò a chiedere un’informazione ad alcune donne in attesa alla fermata dell’autobus. Una di queste, piccolina, bruna di capelli, vestita con sobrietà, si chinò gentilmente al suo finestrino e le rispose indicandole la strada. Maria cercò di memorizzare le svolte a sinistra, poi a destra, poi ancora… E provò a ripeterle per vedere se aveva capito. La donna pazientemente le ripeté, poi disse che lei abitava proprio nella direzione in cui doveva recarsi Maria e, se voleva darle un passaggio, poteva condurla proprio dove lei doveva andare. Maria realizzò che la donna aveva l’aspetto rassicurante di una brava persona che stava tornando a casa dal lavoro e che le due esigenze si potevano sposare. Era una zona all’estrema periferia dell’immensa città e le indicazioni della donnina le furono molto utili. Il percorso durò un buon quarto d’ora e mentre guidava Maria fece dei commenti sul traffico prepotente e disordinato. La donnina si trovò d’accordo e disse che lei viveva a Roma solo da diciotto anni, essendo di un piccolo paese della Puglia, aveva sposato un romano, e certo nei piccoli centri si viveva molto meglio, a lei mancava il mare del suo paese. Maria chiese che paese era e la donna disse il nome. Maria schivò uno scellerato che la superò a destra e, ripreso il pensiero sul nome di quel paese, ricordò che Franco le aveva detto di essere proprio di quel piccolo centro pugliese sul mare. “Ho un vicino di casa che è di B.: si chiama Carrieri. E’ un poliziotto.”
“Ah! Lo conosco. Conosco tutta la famiglia. Ma loro non sono della “marina”, sono dell’interno di B..”
Maria sorrise: “Io conosco solo il fratello.”
“Eh! Lo conosco.”
“E’ un tipo strano.” Volle dire Maria, ripensando a quando, nonostante lo “Scema” sentito dalla bocca di Franco, salutava con un sorriso educato quando lo incrociava nella comune strada e, se con lui c’era il fratello in visita, questi non salutava e non sorrideva neppure per un gesto di normale educazione.
A questo punto il tono timido ed educato della sua passeggera salì in una esclamazione: “Eh! Io non volevo dirlo! Ma vedo che lo pensa anche lei! E’ proprio così.”
Sorpresa e divertita la guidatrice aggiunse:” Comunque anche lui, il poliziotto, lo è! E’ un tipo pesante da sopportare. Anzi, le dirò, è proprio un matto.”
“Ma è tutta la famiglia che lo è. Li conosco: è tutta la famiglia.” E questo lo disse col tono tranquillo di chi esprime qualcosa risaputa da sempre. “Ecco, signora, io sono arrivata, accosti pure dove può… Grazie infinite.”
“Sono io che la ringrazio, ci siamo fatte un favore a vicenda.”
“Lei prosegua fino alla rotonda, poi prende a destra ed è arrivata. Grazie ancora. Arrivederci.”
Maria la guardò attraversare la strada stretta nel suo sobrio soprabito beige e pensò: “Come è piccolo il mondo e come sono strani i casi della vita.”

Visioni di realtà...


Dalla Raccolta "Le verità nascoste"
Visioni di realtà...

L'allegra  tavolata, costituita tutta da giovani medici tranne i genitori di uno di loro, sedeva nel cortile della villetta godendo del profumo delle trote che cuocevano sul barbecue.
La padrona di casa e madre di uno di loro rise alle loro facezie rovesciando il capo all'indietro e, nel farlo, vide al di là del muro di cinta una figura di donna che si stagliava scura nel quadrato luminoso della finestra di quella villa al di là del confine e, mentre la sua risata si spegneva nella constatazione che erano spiati, sentì nitida una risatella nervosa provenire dalla sagoma scura e un inusitato commento: "E' matta!" 

Non disse nulla agli altri che non si erano accorti di quella inquietante presenza che, proprio perché folle, definiva lei matta perché rideva in lieta compagnia.
Sapeva da tempo che quella donna squilibrata li spiava.
Un giorno che stava facendo colazione a quello stesso tavolo dove ora si svolgeva la cena a base di pesce, sentì la voce strozzata della figlia laureata di quella donna che la chiamava sordamente: "Mamma!" Il suono era imperioso e strano e, istintivamente, Marella alzò il capo dalla lettura del giornale del giorno prima, che non aveva avuto il tempo di finire di leggere, e vide la sua vicina correre accovacciata con rapidi passetti avvicinandosi al confine e così sbirciando verso di lei. Allora capì che quello che aveva pensato alzando gli occhi distratta da quel richiamo forzato, che la ragazza fosse afona per un mal di gola, non era vero, ma la giovane donna richiamava sua madre in sordina per non farsi udire da lei, ignara di quel bisogno malato di spiarla della donna pazza.
Un'altra volta, quando ancora non aveva chiuso i rapporti con la scomoda vicina, stava cenando dentro la sua cucina e, sempre, leggeva il giornale. Il frequente grido domestico rivolto a figli e marito era: "Non mi buttate il giornale di ieri e nemmeno quello dell'altro ieri perché debbo finire di leggerli!!" Fra lavoro e incombenze varie di tempo ne aveva poco, ma non voleva rinunciare a leggere un giornale, ricco di informazioni che non si fermavano certo solo alla cronaca quotidiana, come era "La Repubblica". 
Quella sera, dunque, leggeva mangiando tranquilla in cucina; i suoi figli erano a cena da amici e suo marito era migrato con il vassoio davanti al televisore per seguire le notizie del telegiornale. Quale migliore occasione per leggere mangiando? Cosa scorretta e impossibile qualora ci fossero stati tutti... Sentì ad un tratto di essere osservata... Eppure lo sguardo non può "sentirsi", non c'è alcuna prova scientifica di un simile fenomeno... Eppure sentì che da alcuni minuti qualcuno, al di là del vetro della porta finestra della cucina, la osservava... Fenomeno subliminale dovuto forse alla "coda dell'occhio" che vede ma non registra, essendo concentrato l'occhio altrove, nella fattispecie sul pasto e nella lettura? Fatto sta che girò il capo e vide la squilibrata vicina che, si rese conto solo in quel momento, da almeno dieci minuti stava annaffiando sempre nello stesso punto la siepe che aveva piantato proprio sul confine da poco tempo. Da quel punto poteva guardare dentro la sua cucina. La ignorò e riprese a mangiare ed a leggere.
L'indomani  la vicina le fece un discorso insinuante con aria melliflua: "La sera si cena tutti insieme no? La sera una famiglia unita cena tutta insieme intorno ad un tavolo no? Noi la sera ceniamo insieme!" Dopo un poco Marella capì, non subito, ma quella insisteva e lei non capiva dove volesse andare a parare. Capì che la poveretta insinuava che se lei la sera prima stava mangiando da sola voleva dire che non erano una famiglia unita. E portava ad esempio se stessa come "famiglia unita". Le lasciò credere la realtà che voleva pensando a quanto era pazza nel non ricordarsi quello che diceva insistentemente, sicuramente non solo a lei, semplice vicina di casa, e cioè che suo marito "se lo teneva solo per la vecchiaia", "che lei gli aveva fatto firmare tre volte almeno la richiesta di separazione per scuoterlo dalla sua abulia", "che lei andava in vacanza da sola" (senza neppure le figlie) ecc. ecc. ecc.. Ora bastava cenare insieme intorno allo stesso tavolo "per essere una famiglia unita". 

Ma non se ne era liberata del tutto neppure chiudendo con un atto di aperta scortesia i rapporti.
La donna smaniava di ricevere gente a cui mostrare la sua casa che aveva riempito di oggetti costosi e "kitsch" e spesso traghettava le persone più disparate in un giro turistico della sua abitazione. Il suo narcisismo malato ne aveva bisogno e dunque pensava che anche gli altri ricevessero per questa ragione. Riteneva la casa di Marella modesta rispetto alla sua e, quando un giorno vennero in visita dei vecchi compagni di liceo del marito di Marella con le loro consorti, scoppiò da dietro la siepe ormai cresciuta, che celava la sua malata presenza in ascolto, una secca quanto rara risata isterica della poveretta. Infatti rideva raramente e mai con morbida gioia. Marella, dietro insistenza curiosa delle sue ospiti, si era affacciata sul cortile dicendo brevemente che lì c'erano due vani di servizio: cantina a destra e lavanderia a sinistra. Il riso  derisorio della malata voleva sottolineare che "nulla c'era di bello e di prezioso da mostrare" in quella casa, di certo inferiore alla sua! 
Ella infatti aveva fatto portare da uno di quei luoghi che vendono anche caminetti e balaustre imitazione stile neoclassico, come anche i sette nani, statue di donne poggiandole sul muro esterno della casa, insieme ad una fontana a forma di fungo... In casa, durante il giro museale di prammatica, aveva mostrato a Marella una enorme statuina di una damina settecentesca poggiata sul suo comò in camera da letto; poiché quella non reagiva con gridolini di meraviglia come lei si sarebbe aspettata, insistette  ripetendo due o tre volte: "E' di bisquit, è di bisquit..." Intendendo forse che era di porcellana di Biscuit. Marella la trovava brutta nel suo lucido splendore ad occupare gran parte del ripiano del comò dell'orgogliosa padrona di casa, convinta di possedere una vera opera d'arte...
Soprammobile kitsch: damina di porcellana
Marella si era guardata bene dal mostrarle mai le ceramiche ed un grande disegno incorniciato di un noto ed importante artista che suo marito e lei avevano avuto l'onore di conoscere e frequentare, né alcune stampe autentiche del '600 su carta filigranata, né una riproduzione in argento di un quadro di Vitali in limitata tiratura, né una stampa autentica del 1800 ecc. ecc.. Essendo oggetti che la poveretta proprio non poteva capire né apprezzare, come il fatto che Marella e la sua famiglia amavano quegli oggetti per il loro valore artistico ma, anche, perché avevano una storia affettiva legata a chi li aveva loro regalati e non era loro abitudine farne mostra. Certo chi se ne intendeva, entrando in casa loro, li notava subito: ma non era il caso della poveretta.

Emanuela Orlandi e Mirella Gregori


  • Dal sito della trasmissione di RAI 3 "Chi l'ha visto?"
    4 aprile 2013
    Il procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo, titolare insieme con il sostituto Simona Maisto dell'inchiesta sulla scomparsa di Emanuela Orlandi, ha disposto l’acquisizione del flauto fatto ritrovare ieri a “Chi l’ha visto?” da un uomo. Lo strumento musicale sarà sottoposto ad una consulenza tecnica per verificare se siano rintracciabili tracce organiche per una eventuale comparazione genetica e per stabilire se siano presenti impronte digitali e a chi appartengano. In merito alle modalità del ritrovamento, sono state verbalizzate le dichiarazioni spontanee dell’inviato di “Chi l’ha visto?” Fiore De Rienzo come persona informata sui fatti.

    Un uomo, forse un mitomane che vuole mettersi in mostra, che ha precedenti per essersi prestato a fare il sosia di Roberto Benigni in una trasmissione televisiva (cosa che, però, di per sé non necessariamente ne fa un mitomane), ha fatto ritrovare il flauto di Emanuela Orlandi.
    Non è detto che lo sia, anche se la famiglia lo ha riconosciuto come molto simile anche nella custodia, e se lo è lo dirà l'esame del DNA della saliva che chi suona lascia all'interno del boccaglio. Ella sparì dopo la lezione di musica e nulla di quello che aveva con sé è mai stato ritrovato.
    Una delle sorelle ha detto che Emanuela, come tutti i suonatori di flauto, al ritorno a casa lavava il boccaglio, ma quel giorno sparì e dunque se è veramente il suo flauto non lo poté lavare...
    Ora è tutto in mano alla magistratura e l'uomo che l'ha fatto ritrovare dovrà spiegare molte cose e, anche se si dice tranquillo, se esiste una logica non dovrebbe cavarsela in nessun caso.
    Dice che lui è tranquillo perché dice la verità, dunque non potrà essere perseguito per false dichiarazioni e depistaggio e intralcio alla Giustizia, ma se dice la verità potrà essere perseguito per ben altro reato, molto più grave: concorso in sequestro di persona come minimo.
    Anche se è un mitomane non dovrebbe cavarsela senza una denuncia penale e conseguente processo per qualcuno di questi reati.
    E' un pregiudicato in quanto condannato per omicidio colposo in una orribile storia che riguarda un bambino di 12 anni il quale, uscito di casa per andare dal barbiere lì vicino, fu ritrovato morto con tutte le ossa rotte sul ciglio della strada dalle parti della Pineta di Ostia. Lontanissimo da casa sua.
    Il suo assassino fu individuato grazie all'abilità della Polizia che risalì al suo mezzo attraverso i pezzi dello stesso rimasti sull'asfalto. Fu condannato per l'investimento e per il conseguente mancato soccorso. Non si poté provare che avesse anche rapito il bambino e portato fin lì, ma si ipotizzò che questo potesse essere avvenuto e che il bambino avesse cercato di fuggire e l'assassino l'avesse investito deliberatamente.
    E' un personaggio inquietante, visto che sia il bambino dodicenne che le due quindicenni scomparse farebbero pensare ad un soggetto alla Dutroux, dedito al traffico di minori...

    Caso Orlandi, sentito l’uomo che ha fatto trovare un flauto

    Da: Roma Daily News
    Scritto da redazione il . Postato in Rassegna Stampa
    Ieri si è presentato in procura Marco Fassoni Acetti, l’uomo che nei giorni scorsi ha consegnato alla trasmissione Chi l’ha visto? un flauto dicendo che era appartenuto a Emanuela Orlandi, la quindicenne cittadina vaticana sparita nel giugno dell’83: un giallo internazionale che dura da trent’anni. Fassoni Acetti è noto alle cronache per aver vinto un vecchio concorso come sosia dell’attore Roberto Benigni ed essersi fatto pizzicare dalla polizia di New York qualche anno dopo, nel ’99, perché sfruttando la somiglianza col comico già famosissimo, pasteggiava nei ristoranti della Grande mela e si rifiutava di pagare il conto. Allora aveva 40anni, oggi ne ha venti di più e al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e alla pm Simona Maisto ha detto di essere un privato cittadino senza particolari rapporti né con l’ambiente Vaticano ...

    Da: Corriere della Sera.it

    ROMA -Prima ha fatto ritrovare un vecchio flauto in un ex stabilimento cinematografico, dicendosi certo: fidatevi, è appartenuto alla «ragazza con la fascetta», sotto quella scenografia mitologica l'ho messo io. Poi ha iniziato a parlare. Nell'ultimo mese, in cinque interrogatori, ha delineato per ore la sua verità: sia su Emanuela Orlandi, la figlia del messo pontificio scomparsa il 22 giugno 1983, sia su Mirella Gregori, sparita un mese e mezzo prima.
    E' una deposizione molto inclinata verso l'autodenuncia, la sua: M.F.A., il superteste che ha messo in conto di finire sotto accusa per uno dei gialli più inquietanti del dopoguerra, è andato ben oltre le prime ammissioni sul flauto. Al procuratore aggiunto Giancarlo Capaldo e al pm Simona Maisto, ha raccontato di essere stato «uno dei principali telefonisti» del sequestro Orlandi, che sarebbe stato organizzato «dal nucleo di intelligence di cui facevo parte per esercitare pressioni sulla Santa Sede». E non basta: quel 22 giugno a corso Rinascimento, dove la quindicenne sparì, lui sarebbe stato «appostato per scattare fotografie alla Bmw su cui c'era De Pedis», e nei mesi successivi avrebbe incontrato «moltissime volte Emanuela, che restò a Roma fino al dicembre del 1983».
    Emanuela Orlandi (foto Ansa)Emanuela Orlandi (foto Ansa)
    Sono dichiarazioni esplosive, sulle quali però la Procura si mantiene cauta. Se fondate, il giallo sarebbe a una svolta definitiva. Il primo dubbio è scontato: perché parla 30 anni dopo? La risposta è che confida nel «nuovo clima» in Vaticano dopo l'avvento di papa Francesco e nel fatto che altri, «soprattutto le ragazze coinvolte in quello che è stato un sequestro-bluff», seguano il suo esempio. Il teste precisa che il «primo impulso» gli è venuto dall'essere stato «coinvolto in un omicidio, sempre nell'83, in una pineta vicino la villa di un magistrato che seguiva la pista bulgara sull'attentato a Wojtyla». All'episodio, a suo dire, fece riferimento un falso dossier del Sisde.
    Ciò che più conta, comunque,sono le rivelazioni su Emanuela e Mirella, le cui sparizioni andrebbero spiegate a partire da fine 1981, mesi dopo l'attentato a San Pietro, «quando i servizi segreti dissero ad Agca che se avesse collaborato avrebbe avuto la grazia sia del Papa che del presidente della Repubblica». In questo schema, ecco dunque il doppio sequestro: Emanuela in quanto cittadina vaticana, Mirella italiana.
    Il flauto ritrovato (Ansa)Il flauto ritrovato (Ansa)
    L'uomo, ex collegiale, appassionato di cinema, ha spiegato che fu contattato da ecclesiastici che «in virtù della mia creatività mi proposero di collaborare con sacerdoti un po' peccatori per creare situazioni da usare contro certi paesi dell'Est». Il gruppo sarebbe intervenuto come «una lobby di controspionaggio», nell'ambito di presunti contrasti tra opposte fazioni vaticane, con foto e intimidazioni su temi caldi come «la gestione dello Ior, la revisione del codice di diritto canonico, i finanziamenti a Solidarnosc, le nomine».
    Emanuela Orlandi (Ansa)Emanuela Orlandi (Ansa)
    Obiettivo: condizionare la Curia. Solo con Emanuela e Mirella, però, si arrivò al sequestro, anche se «per entrambe all'inizio fu allontanamento volontario, in quanto creammo una trama di amiche con cui si allontanarono». Per la Orlandi, davanti al Senato, avrebbe agito «una compagna di scuola, che salì con lei su un'auto assieme a un finto prete», mentre con la Gregori «successe l'imprevisto: si innamorò di un nostro operatore, andò all'estero e tornò una sola volta a Roma, nel 1994, per incontrare sua madre in un caravan in corso d'Italia». Antonietta Gregori, la sorella, replica stizzita: «L'avrei saputo, è una falsità assoluta». Quanto a Emanuela, l'idea era di liberarla presto, «il tempo di avere in mano la denuncia di scomparsa per esercitare pressioni», ma il piano fallì «soprattutto per l'appello del Papa all'Angelus, il 3 luglio, che diede risalto mondiale al caso».
    I manifesti con i volti di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori (Milestone)I manifesti con i volti di Emanuela Orlandi e Mirella Gregori (Milestone)
    La ragazza «non subì violenze, visse in due appartamenti e in due camper, le procurammo un pianoforte e la rassicuravamo dicendole che la famiglia era al corrente». Questo fino a dicembre 1983. Poi, avrebbe detto l'uomo ai magistrati, «il gruppo la trasferì all'estero, nei sobborghi di Parigi», «dove potrebbe essere ancora viva, così come Mirella, ma non so dove». Farneticazioni? Ennesimo depistaggio? Mezze verità? La risposta dipende da indizi e riscontri, ammesso che l'enigmatico personaggio li abbia forniti.



Grazie a papà Giorgio Napolitano

Grazie al buonsenso di Giorgio Napolitano abbiamo evitato di avere quale Presidente del Consiglio dei Ministri e Capo del Governo il residuato craxiano.

L'incarico a Renzi lo ha ritenuto prematuro e, forse, una forzatura data la precaria situazione del Paese.
Bene Enrico Letta, giovane per un Paese che predilige i vecchi, il quale si è recato al Quirinale con la sua auto personale, già questo simbolo di cambiamento. Peraltro mi sembra fosse una Fiat e, se non mi sono sbagliata, anche questo è un simbolo importante in un Paese esterofilo nell'acquisto auto fino all'autolesionismo. Se vogliamo che gli operai Fiat non guardino le auto che producono ferme e invendute dobbiamo comperarle: mi sembra elementare.

Enrico Letta ha un compito difficile e l'ha detto: non farà un Governo a tutti i costi.
Gli tremano un poco i polsi e posso capirlo ma, se si entra in politica ci si deve aspettare che, prima o poi, ci si debba assumere anche delle gravose responsabilità.
Anzi, questo è il compito della politica!
Per molti, troppi, invece è fare affari ed arricchirsi.

Il PdL sta già facendo la "finta": "ci sto ma...".
Fino ad ora hanno recitato la parte dei Responsabili fregandosi le mani e ridacchiando non tanto dietro le spalle del PD in crisi totale.
Ora trovo giusto che il papà di questa Italia in crisi abbia scelto un componente del Partito che aveva avuto la maggioranza dei voti alle elezioni politiche.
Certo la restituzione dell'IMU, visto che non ci sono soldi in cassa, è da parte di Berlusconi e compagni una mossa prioritaria, quando ci sono ben altri problemi da risolvere, ai soli fini elettorali. Se cadrà il tentativo del sobrio Enrico Letta il PdL sarà pronto a raccogliere i voti di chi rivuole i soldi!
Gente che non capisce che il proprio minuscolo tornaconto e vota in tal senso.

L'IMU va cambiata, ma non si può restituire a casse vuote.
Va fatta una spartana economia ad iniziare, quale esempio per il Paese, dalla riduzione del numero spropositato di persone che dobbiamo mantenere per essere poi così malgovernati o NON governati. Riduzione non solo in Parlamento, ma nei Consigli Regionali, diventati dei veri verminai di corruzione per i troppi soldi a disposizione. I Consigli provinciali idem: basta parole e promesse di cancellazione delle Province.
Smetto l'elenco ma bisogna smantellare i carrozzoni succhia soldi pubblici dove gente inutile vive e fa vivere la propria piccola corte, i propri parenti ed amici, un esempio sono le Comunità Montane, tante volte evocate nei discorsi sul risparmio, !
L'IMU va ridotta, tenendo conto del reddito, a chi ha la casa in cui vive. E le ragioni sono così ovvie che è un'offesa all'intelligenza di chi legge doverlo spiegare. 

Infine la lotta alla VERA evasione fiscale va attuata. Altrimenti è solo fiato gettato fuori dalla bocca.

Nei Comuni, troppo spesso Commissariati per non nobili ragioni, dovrebbero iniziare a rispondere con i propri beni personali i Sindaci per gli errori ed omissioni che dissestano le casse. Se nessuno paga gli "errori ed omissioni" continueranno, e pagheranno solo i cittadini onesti.
Ad esempio: se c'è una Tassa sui Rifiuti basata sui metri quadrati delle case, l'abusivismo edilizio va perseguito con rigore,  e così per l'IMU.
Su questo fronte c'è un'immensa evasione fiscale proprio perché i Comuni hanno consentito e consentono l'abusivismo più vergognoso e sfrenato.
Dicevano che avrebbero fatto foto aeree per documentare visibilmente il sacco ed il dissesto del territorio: le hanno fatte? E se le hanno fatte cosa ne stanno facendo? Come stanno attuando il recupero dei Tributi? 
Se continuano a farli pagare solo a chi sta in regola, vuol dire che i Comuni continuano a coprire gli evasori e coloro che provocano il dissesto del territorio cementificando senza controllo.
Tutto questo deve essere fatto, perché incide sull'economia dei territori.

Il Movimento 5 Stelle, che io ho votato, sia la sentinella dell'attuazione dei giusti provvedimenti e non ostacoli con ottuse chiusure quelli risolutivi. 
Non si possono congelare quasi 9 milioni di voti...
Consiglio senso dell'opportunità e assunzione di responsabilità.
Altrimenti si rischia l'effetto Friuli, dove alle politiche sono stati presi più voti delle amministrative, segno che la gente che ha votato alle politiche si aspettava AZIONE e non un atteggiamento di sola critica adolescenziale.