mercoledì 5 aprile 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

Capitolo XII

"E' tutto qui."  Pensieri tranquilli di una persona che era sempre stata presente a sé stessa, in fondo una natura serena se non fosse che le sue acque le avevano agitate gli altri. I suoi amati genitori con i loro problemi psicologici ed esistenziali... E poi gli altri la cui ostilità le appariva immotivata dato che lei era leale e non avrebbe potuto essere altrimenti, per sé stessa: era lei il primo giudice di sé.
L'avevano fatta sbagliare due cose: l'ingenuità dovuta all'inesperienza e la sopravvalutazione delle persone che non meritavano il suo giudizio sempre troppo buono. 
Era andata così. Non aveva rimpianti. In fondo ce l'aveva fatta, era andata bene. Quanti disastri aveva visto intorno a sé, quante persone saccenti e supponenti che avevano voluto dare lezioni di vita a lei e ad Adriano, i quali non avevano mai avuto la pretesa di darle a nessuno cercando solo di vivere senza sbagliare troppo, gente che aveva visto fallire negli affetti quando non anche economicamente...
Nelle ore della notte in cui non arrivava il sonno lei, che prima che il suo cuore avesse avuto bisogno di essere riparato, dormiva anche otto ore di fila, pensava ai suoi rimorsi: erano episodi in cui aveva fatto mancare a qualcuno la sua promessa presenza oppure il suo aiuto.
A 17 anni, in un brefotrofio, in visita con l'Associazione Cattolica di cui faceva allora parte... Girotondo con una bambina con un caschetto di capelli neri... Non aveva più la mamma, il padre doveva lavorare e l'aveva messa lì per non lasciarla da sola...
"Torni a giocare con me? Torni a trovarmi?"
Erano un gruppo di giovani eppure lei l'aveva chiesto solo ad Elena, ed Elena le aveva risposto di sì...
Era sicura di quella promessa.. Di mantenerla... Ma così non era stato. La sua Associazione non aveva organizzato un'altra visita e lei da sola, a 17 anni, non tentò neppure di avere il permesso per tornare a trovarla.. Pensò tante volte nel corso della sua vita alla delusione di Anna, così si chiamava quella bambina, a quante volte all'ora delle visite avrà guardato verso la porta sperando di vederla entrare.
"Oggi quanti anni avrà, se è ancora viva... Era una bimba di circa 6-7 anni... 10 anni meno di me.. Oggi ne avrebbe 66... Avrà dimenticato... Oppure quella delusione, quell'inganno, quella promessa mancata sarà stata l'inizio della perdita di fiducia negli altri?"


Pensava ad un altro episodio che le era tornato alla mente di sovente con lo stesso sentimento di rimorso.
Stava andando in auto alla clinica dove era ricoverato suo marito per l'operazione della cataratta. Sapeva che dovevano operarlo alle nove del mattino ed era uscita di casa per tempo. Voleva trovarsi lì prima che entrasse in sala operatoria per sostenerlo: suo marito era molto fifone.. Finì in un traffico infernale giacché quella clinica era in un quartiere periferico con un dedalo di strade trafficatissime. Chiusa in un fiume di auto in una strada stretta si trovò a costeggiare un marciapiede dove era una vecchietta con gli occhiali, penosamente agitata, appoggiata ad un bastone camminava a piccoli faticosi passetti fermando le poche persone che passavano che, ascoltatala frettolosamente, scuotevano la testa e scusandosi procedevano per la loro strada. Dato che Elena era proprio ferma per forza, bloccata nel traffico, abbassò il finestrino e le chiese di cosa avesse bisogno e quella smarrita le spiegò che le si era rotto il tubo dell'acqua sotto il lavandino e la sua casa si stava allagando, abitava lì, ed indicò un portoncino della palazzina prospicente il marciapiede, ma non c'era nessuno che potesse aiutarla. Poteva lei?




"Come faccio signora? Non posso scendere lasciando l'auto qui... Chiami un idraulico... Anche  se io salissi in casa non saprei come rimediare.."
La partecipazione all'angoscia della vecchietta fu totale, la voglia di aiutarla pure, ma l'impossibilità bloccava ogni buona volontà. Schiuse lo sportello e brevemente scese sul marciapiede, sperando che nessuna auto dietro di lei si bloccasse protestando. Cercò una possibile soluzione: "Possibile che nella palazzina non c'è nessuno che possa aiutarla? Lei ha il telefono?"
"Sì, ma non so chi chiamare! Può venire lei a fare il numero?"
"Chiami il 113 e loro le manderanno qualcuno!"  Elena era costernata di lasciare lì quella povera vecchietta inerme nella sua angoscia e incapacità a muoversi. Gettò lo sguardo intorno e vide solo gente indifferente a loro due, come fossero trasparenti. Pensò che era in ritardo e che suo marito doveva essere operato... Non esistevano ancora i cellulari e lì non c'era neppure un Bar o un negozio qualsiasi a cui chiedere un telefono. Dovette salutarla ripetendole di chiamare il 113 spiegando la sua situazione, le avrebbero mandato senz'altro qualcuno. La vecchietta, vedendo che lei risaliva in auto, disse smarrita, con affanno: "Come faccio adesso io, come faccio... Mi ammazzo..."
Dispiaciuta, costernata per non aver potuto fermarsi e fare di più Elena si avviò verso la clinica dove, quando arrivò, trovò il fratello di suo marito che le disse che era stato già operato ma era ancora dentro la sala operatoria.
Questi erano i suoi rimorsi, insieme a piccoli errori verso i suoi bambini nel difficile compito di genitore..
Aveva fatto del tutto per non averne di grossi mettendo sempre prima i suoi doveri verso tutti. Era stata generosa con le amicizie, sinceramente felice se avevano cose buone... Non aveva sempre ricevuto altrettanto. L'invidia era un sentimento miserabile, meschino, che non conosceva, ma che era stata costretta a riconoscere in alcune persone, anche amiche, a possibile spiegazione di azioni e parole altrimenti inspiegabili.
Pensava a tutto questo con lucida serenità perché ora sapeva che questa sua vita era conclusa e solo l'artificio magico delle mani di un Chirurgo le avevano concesso quel prolungamento a costo di tanto dolore.
Quando entravano gli Infermieri per la medicazione si scopriva il torace con rassegnata paura di sentire ancora dolore: in particolare le ferite lasciate dall'uscita dei drenaggi erano insopportabili, ma doveva sopportare lo stesso...
Gli antidolorifici, che sicuramente erano in mezzo alle pillole che le facevano ingurgitare in grande quantità, non erano sufficienti a togliere del tutto il dolore. A volte, vedendola soffrire mentre la medicavano, le chiedevano: "Vuole un' iniezione di antidolorifero?"  Ma lei rispondeva sempre di no. Cercava di resistere con quello che le davano.
Era nel suo carattere: resistere quanto più poteva e chiedere meno possibile.
Così si era più indipendenti e più forti.
Le ferite dell'uscita dei drenaggi le facevano male anche durante gli esercizi in palestra. Lo disse alle pazienti Terapiste, che la dispensarono da alcuni movimenti suggerendone altri.
Intanto la voce scomparsa, che aveva creato lo sconcerto di suo figlio che l'addebitava all'imperizia chirurgica di qualche aiutante del grande professore piuttosto che dell'Anestesista a cui gli Specializzandi avevano addebitato l'infortunio, non tornava. Il Cardiologo croato che soprassedeva al Reparto di Riabilitazione Cardiochirurgica si preoccupò di farle fare una visita Otorinolaringoiatrica dopo aver letto, nella Relazione delle dimissioni, che anche nell'Ospedale dove era avvenuto l'Intervento Chirurgico era stata fatta tale visita specialistica, con il referto di paralisi della corda vocale sinistra.