martedì 30 maggio 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

 Capitolo XVII

Sua figlia aveva capito il grande sforzo mentale che l'affrontare quell'intervento le era costato. E le aveva detto: "Grazie di essere ancora qui fra noi."
L'aveva colpita la profondità di quel ringraziamento. Anche se pensava che ormai la sua presenza nel mondo non era materialmente così indispensabile per i suoi figli come lo era stata in passato, ma capiva che la presenza affettiva di un genitore che ti ama e che ami è per sempre indispensabile.
Non esistono rapporti tutti uguali, giacché ogni individuo è diverso e crea con il proprio genitore, anch'egli persona unica e irripetibile, un rapporto specifico nella sua singolarità. Addirittura uno stesso genitore può avere un rapporto psicologico-affettivo differente con ciascun figlio.
Lei era figlia unica ed i suoi genitori, così differenti fra loro per carattere e personalità, avevano avuto con lei un rapporto affettivo diverso.
Elena non sapeva dire se aveva amato più suo padre o sua madre e chi dei due l'avesse amata di più. Quello che era certo è che la loro mancanza di serenità l'aveva fatta molto soffrire. Eppure il loro ricordo l'accompagnava sempre, ormai sfrondato dalle asperità dei problemi che in vita le avevano rovesciato addosso loro malgrado... Non erano mai sereni, ciascuno con la propria infelicità.. Ed era proprio la consapevolezza che avrebbero meritato di essere felici e non lo erano stati che le dava un malinconico rimpianto nel pensare loro.
La sua vita, invece, anche grazie alla loro rettitudine morale e ai loro sacrifici era andata meglio. Grazie all'incontro con suo marito aveva avuto una vita amorosa felice.. Per questo era serena ad accettare anche l'inevitabile Morte, avendo la consapevolezza che come ripeteva sempre sua madre con saggezza: "La vita ha un termine."
Ora che aveva riacquistato un corpo funzionante per continuare a vivere teneva sempre presente che all'improvviso tutto poteva finire, ma viveva serena, anche allegra, apprezzando ogni attimo dei suoi giorni.

A sei mesi dall'intervento chirurgico la colpì profondamente la notizia della morte improvvisa di una nota giornalista che, pochi mesi prima, aveva rilasciato un'intervista dall'ospedale dove era ricoverata avendo subito anche lei un intervento chirurgico al cuore.
La donna con molto spirito spiegava di essere scomparsa dagli schermi televisivi per un malore improvviso che le aveva svelato un problema cardiaco risolvibile con un intervento di Cardiochirurgia.
Il malore era stato "come se all'improvviso le avessero spento la luce e si era fatto buio". Elena, colpita, aveva pensato a sé e che invece del buio era rimasta cosciente di vedersi morire...
L'aveva colpita anche che la giornalista, che lei aveva seguito negli ultimi tempi in una trasmissione che piaceva in particolare ad Adriano, avesse avuto quel malore fatale nello stesso periodo in cui era accaduto a lei. Ed era stata operata da un noto quanto bravo Cardiochirurgo il cui nome suo figlio le aveva fatto nell'immediato ritenendolo il migliore della città. Ma mentre Elena era ormai a casa dopo due mesi di ospedale fra ricovero in un Reparto di Cardiologia dapprima, di Cardiochirurgia poi e, infine, in un Reparto di Riabilitazione Cardiochirurgica, passando per tre ospedali diversi, la nota giornalista era ancora presso l'ospedale dove l'avevano operata avendo avuto la riapertutra dello sterno.
La donna, di grande carattere, lodava i Chirurghi e dava a sé stessa la colpa di tale infortunio, al suo essere non paziente come avrebbe dovuto essere...
Ma nelle notizie che accompagnavano quella della sua morte apprese che lo sterno si era riaperto ben due volte! Elena pensava con estrema consapevlezza a quanto quella donna doveva aver sofferto. 
A lei era andata bene anche grazie a quello che quella giovane e bella infermiera della Terapia Subintensiva le aveva insegnato. Rivedeva il volto di lei china sul suo letto di sofferenza quando non riusciva a tossire per espellere il catarro che si formava per l'immobilità: "Si abbracci così il torace ". E le fece vedere come doveva cingersi la gabbia toracica con le braccia per poi dare i colpi di tosse. E lei aveva fatto sempre così, anche quando era ormai nell'Ospedale per la Riabilitazione.
Ma lei aveva una gabbia toracica piccola, non ampia come la povera giornalista che appariva con un corpo largo...
Le pensò spesso con vero sgomento per giorni.. Apprese che aveva la ferita dello sterno mai richiusa che si era infettata e veniva sottoposta a terapia antibiotica.. Questo il 4 del mese in cui era morta poi il giorno 18...
Aveva 70 anni... E lei, Elena, stava vivendo il suo 77esimo ed erano state operate più o meno nello stesso periodo.. Si, Elena era stata fortunata... 



domenica 14 maggio 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

Capitolo XVI

I primi mesi a casa furono caratterizzati da grande attenzione a non fare nulla che potesse pregiudicare l'ossificazione dello sterno segato e ricucito saldamente dai Chirurghi.
Elena seguì pedissequamente le indicazioni riportate nel foglio rilasciatole dalle brave Terapiste. Anche la Logopedista le aveva dato dei fogli in cui erano riportati gli esercizi da compiere per far tornare la voce che piano piano stava risvegliandosi. Ma dovette applicarsi poco in tal senso, perché il lavoro svolto fino a quel momento dalla graziosa Terapista della voce aveva già fatto il miracolo di sbloccare la sua corda vocale, maltrattata probabilmente dai Chirurghi Specializzandi che avevano coadiuvato il grande Cardiochirurgo nell'intervento.

Ma c'era nella sua mente un ricordo che si era affacciato immediatamente al risveglio dall'intervento operatorio: in un buio assoluto, in un gelido dolore tutto mentale, c'era un'immagine luminosa orizzontale: un tubo in cui scorreva velocissimo un liquido giallo carico con dentro innumerevoli puntini rossi e il suo pensiero ripeteva dolorosamente veloce come lo scorrere di quel liquido: "Mamma papà dolore, mamma papà dolore, mamma papà dolore, mamma papà dolore..." All'infinito e quel dolore mentale era insopportabile.
Elena lo raccontò a suo marito. L'unico del cui giudizio, su un fatto così straordinario, si fidava.
Suo marito era uno scienziato, quello era il suo lavoro: la ricerca della conoscenza, cercare di spiegare i fenomeni attraverso il metodo scientifico. Egli era giunto molto prima di lei all'idea che non esiste nulla di soprannaturale ma solo delle Leggi Fisiche che regolano l'Universo cercando di spiegarlo...
Come spiegava quel ricordo? Era qualcosa che lei aveva provato mentre era in anestesia. Non certo un sogno. Si può sognare in anestesia, in sedazione profonda? Quelle domande che aveva tenute per sé in quei due mesi, serbando di parlarne con Adriano, erano senza risposta.
Lui l'ascoltò pensieroso. Non se ne stupì. Ma non aveva sicure risposte. Ne parlarono insieme.
"No certo, sogno no. Ma nemmeno un falso ricordo."
"Come puo' essere rimasta attiva una parte del cervello nonostante la sedazione profonda?"
"Eppure è possibile, del cervello sappiamo così poco... In una zona profonda qualcosa è rimasto attivo durante la circolazione extracorporea ed ha provato quello che ricordi..."
"Ed ha tradotto in immagine lo scorrere velocissimo del sangue in un tubo... Mentre quel buio gelido di morte e quel dolore erano disumani..."
"Come è disumano mandare il sangue fuori dal corpo dentro una macchina mentre sei vivo.."
"Non conosciamo fino in fondo la fisiologia del cervello. Non sappiamo se addormentandolo per non sentire il dolore una parte sconosciuta della coscienza non possa registrare qualcosa..."
Elena ed Adriano non avevano risposte a quel fenomeno, e Adriano stesso, abituato ad esplorare cercando di spiegare quello che non è noto per mestiere e per vocazione esistenziale, non ebbe dubbi che il cervello di Elena aveva prodotto quelle sensazioni che erano legami biochimici costituenti una memoria. Come questo fosse potuto accadere mentre il cervello era addormentato dai farmaci non aveva alla luce delle attuali conoscenze una spiegazione.

Non ne parlarono più. Non c'era altro da dire.
Ma Elena non dimenticava, anche perché non voleva dimenticare.
Qualche volta lui diceva: "Cosa hai passato! Non ci posso pensare."
E se capitava che lei ricordasse i momenti in Terapia intensiva, i cui ricordi invece stavano sfumando, lui le diceva: "Non ci pensare più. E' passato."
Ma Elena non voleva dimenticare, giacché la memoria è tutto, è ciò che siamo, e ricordare tutto quel dolore faceva di lei una persona ancora diversa da quella che era prima di quella esperienza. In fondo aveva affrontato quella prova per non morire e significava qualcosa quella scelta.
Allo stesso modo non voleva dimenticare il momento in cui il suo cervello aveva capito lucidamente ed immediatamente che era arrivata la Morte in quel bellissimo giorno di sole di fine ottobre.





Note: 1) Da Focus: Psicologia - Si sogna anche sotto anestesia generale.

2) Saggio di psichiatria dello Psichiatra dell’Università di Warwick, Regno Unito Prof. Swaran Singh:  “Deve esserci una base neurale per questi fenomeni

Descrivendo in dettaglio lo strano fenomeno nel “Journal of Nervous and Mental Disease”, il professor Swaran Singh spiega: ““Ho subito un intervento chirurgico importante in anestesia generale il 4 aprile 1984. – racconta Singh nel suo saggio – Durante il recupero postoperatorio, ho sperimentato uno stato di profonda pace, un senso di rivelazione e profonda comprensione”. Nello specifico, il professore ha così descritto quanto vissuto: “Uno sfondo di luminosità bianca,…

 


lunedì 1 maggio 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

 Capitolo XV

La Feste di Natale passarono per Elena e gli altri ospiti in Riabilitazione Cardiochirurgica fra le gentili attenzioni degli Infermieri, dei Medici, delle Terapiste della Palestra e degli Operatori Socio Sanitari.
Ciascuno dentro di sé però le viveva in modo diverso. C'era chi soffriva in modo particolare per non essere a casa, in mezzo alla famiglia e lo esprimeva in modi differenti. Lina, ad esempio, smaniava per tornare a casa prima possibile e non comprendeva la tranquilla accettazione di Elena: "Come fai a non desiderare di essere a casa? Non staresti meglio a casa?"
"Certo che starei bene con mio marito, i miei figli, i miei nipoti... Ma così come sta il mio corpo ho bisogno di stare qui. Qui mi sento più sicura di ricevere tutte le cure di cui in questo momento il mio corpo ha bisogno. A casa non mi sentirei sicura."
Al solito Elena era di un realismo che le consentiva un'accettazione serena della sua condizione. Senza le smanie che vedeva in altri pazienti. 
L'unico momento che temeva erano le medicazioni: inevitabilmente dolorose, nonostante la delicatezza e l'impegno dei giovani infermieri.
Il giorno  di Natale le Terapiste, con l'anziano Direttore del Reparto, organizzarono un piccolo ricevimento nella palestra a cui parteciparono tutti, fra cui naturalmente il simpaticissimo Responsabile del reparto: il Cardiologo croato. Il Direttore fece un discorsetto poi si brindò con Panettone, Pandoro e torrone al cioccolato e, dato che i pazienti erano tutti affetti da diabete mellito di tipo 2, Elena chiese timidamente se era possibile senza danno mangiare di quella roba, ma le fu risposto dalle Terapiste che per una volta non faceva male nulla! 
Le addette alla distribuzione dei pasti si presentarono con un cerchietto dorato nei capelli guarnito da piccoli alberi di Natale nei colori del verde e del rosso cosparsi di brillantini...
Insomma, fecero del tutto per rendere il Natale, come la Vigilia, quanto più caldi ed allegri per far sentire meno possibile ai pazienti la forzata lontananza dalle famiglie.
Dal soffitto di tutto il Reparto pendevano delicate decorazioni natalizie e era stato allestito un bellissimo albero di Natale nella veranda e un altro accanto ad un Presepe molto originale ed infine uno illuminatissimo nella Palestra.
Elena era serena più dei suoi dispiaciuti familiari che si erano riuniti in casa di sua figlia con il pensiero fisso a lei che era in Ospedale.
Li sentì più volte al telefono esortandoli ad essere felici, perché lei stava bene, avendo superato un intervento chirurgico di quella difficoltà.
E venne il giorno delle dimissioni. Elena salutò tutti con affetto e gratitudine.
Con Lina e la professoressa, sua ultima compagna di stanza, si abbracciarono con la promessa di risentirsi.

Fra le tante lezioni che la vita le aveva ammannito questa, proprio perché giunta in un'età che realisticamente per Elena poteva dirsi  "in zona Cesarini", la viveva senza ansie né paure. L'accettazione veniva dall'insegnamento che "la vita ha un termine", frase tante volte ripetutale da sua madre. Quella madre speciale che Elena aveva avuto, che l'aveva fatta soffrire per quel tanto che di irrazionale era in lei, ma che tanta filosofia di vita le aveva dato e che ora lei comprendeva sempre di più...
"Sono come una marionetta che un nulla può in ogni momento afflosciare..."
Le veniva da pensare consapevolmente e senza smarrimenti. Quello che le era accaduto quel giorno in cui il suo cuore si stava quasi fermando mentre il suo cervello ne era lucido spettatore pensante era un'esperienza indimenticabile. Ed era meravigliata di quello che aveva pensato in quegli attimi e... in fondo anche orgogliosa di sé stessa: "Ah! Così.... In fondo ci posso stare ...a 76 anni..."  Aveva capito che quella era la sua morte e l'aveva accettata senza paura, guardandosi come da fuori di sé stessa.

Suo marito la venne a prendere teso ed emozionato. L'Operatrice Sanitaria che serviva i pasti l'accompagnò all'uscita portandole la valigia perché "lei non doveva portare pesi", come era doverosamente scritto nel foglio che le avevano rilasciato le Fisioterapiste della Palestra, l'abbracciò e la baciò nel salutarla augurandole una felice ripresa.
Elena lasciò quell'Ospedale con un commosso sentimento di gratitudine per tutte quelle persone così umane e professionali ad un tempo.




mercoledì 19 aprile 2023

Che nobile Regina!

Questa è la nuova Regina degli inglesi.
Chi ritiene ancora che la monarchia abbia un senso se la merita.
Figlia di un titolare di un'azienda vinicola (vino inglese!) amante dei cavalli e di Carletto figlio di Elisabetta che aspirava ad essere il suo "tampax"

 
Con l'ex marito, l'ex ufficiale di sua maestà britannica
 Parker Bowles a cui, fino ad oggi, tutti i giornali del mondo hanno continuato a riferirsi quando scrivono di lei. Nonostante le corna oggi sono amici e compaiono insieme in molte occasioni anche ufficiali. Qui sembra dirle: "Ce l'hai fatta! Certo che i nostri figli se ne avvantaggeranno. Brava!"

Ed eccola con l'innamoratissimo secondo marito: Carlo tampax più piccolo di lei di un anno.
Sempre abbigliata con mises costosissime che non ne mitigano la bruttezza evidentissima: qui, oltre al viso scucchioso da Befana rugosa, è evidente il "seninterra".

I figli avuti dal marito cornuto sorridono felici ai lati della madre Regina degli Inglesi!

La faccia della nuova "nobiltà inglese"


lunedì 17 aprile 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

 Capitolo XIV

Nella stanza singola in cui era stata nei primi giorni del suo trasferimento all'Ospedale per la Riabilitazione avevano messo una nuova arrivata: la si vedeva passando in corridoio perché la porta era sempre aperta: era una donna più giovane di Elena, magrissima, sempre distesa sul letto sopra le coperte e in calzoncini corti che mostravano le sue gambe magrissime. Lo sguardo, sempre volto verso il corridoio, era assorto e allo stesso tempo assente e si posava su chi passava senza mostrare alcun interesse.
Elena col passare dei giorni capì che la nuova paziente aveva delle difficoltà a riprendersi dall'intervento chirurgico al cuore, qualsiasi esso fosse stato.
Tutti avevano il denominatore comune che, per arrivare al motore del corpo umano per aggiustarlo, erano stati aperti al torace, con tutto ciò che di traumatico questo comporta.
L'aveva illustrato con molta ironia il Cardiologo responsabile del Reparto durante una delle visite mattutine con tutto lo staff, Terapista a capo della palestra compresa. Elena aveva timidamente detto che quando faceva certi esercizi il dolore sotto il seno aumentava rendendoli impossibili tanto era acuto.
Il Medico per scuotere la fatica psicologica ad affrontare il dolore da parte dei pazienti usava spesso l'ironia e, accompagnando quel che diceva con i gesti, disse: "Il Cardiochirurgo sega lo sterno, zzzzzzzh! - E fece con la bocca il verso del rumore della sega oscillante usata dal Cardiochirurgo - Poi apre la gabbia toracica: scrak, scrak! - E accompagnò il suono con il gesto cruento di allargare l'immaginaria gabbia toracica nell'aria. "Tutto questo fatto da qualche specializzando, poi il primo operatore fa il resto e infine mettono i drenaggi che dopo qualche giorno verranno tirati via!  E ci lamentiamo che sentiamo dolore?!"
Effettivamente erano proprio le ferite provocate dai drenaggi quelle che davano ad Elena quel dolore acutissimo.
La donna della stanza singola non si alzò mai da quel letto. Aveva il pannolone e la cambiavano, mangiava a letto incitata dalle infermiere ma non voleva alimentarsi...
Che riabilitazione poteva mai fare? Tutti, prima di giungere in quell'Ospedale con un preciso scopo, erano stati fatti alzare dal letto e messi su una sedia poi fatti camminare già in Subintensiva...
Fu chiaro che quella donna non aveva alcun motivo per stare in quell'Ospedale. Il lavoro e l'incitamento del  personale infermieristico, per quanto professionale e paziente, a tratti affettuoso, nulla poteva su quella paziente che non collaborava affatto. Una notte cominciò a chiamare continuamente gli infermieri perché voleva l'acqua, poi cominciò a dire: "Muoio!"  In un lamento ripetuto e ripetuto. Infine iniziò a chiamare un nome di donna:   "Forse sua figlia lontana?"  Si chiese triste Elena, visto che in visita non si era visto nessuno..
Infine la donna sparì. Di certo l'avevano rimandata all'Ospedale dove era stata operata, non essendo quello l'Ospedale adatto alla sua situazione. Stessa cosa per un uomo di una stanza accanto, che Elena non individuò fra quelli che la sera passeggiavano per il corridoio fino alla veranda dove c'era campo per i cellulari per chiamare le proprie famiglie. Sentì soltanto il tramestio degli infermieri e le voci soffocate che dicevano che era caduto a terra mentre andava in bagno sbattendo la testa. Fu trasferito ad un Pronto Soccorso...

Procedura di esecuzione di una sternotomia mediana

L’approccio più frequentemente utilizzato per gli interventi sul cuore e sull’arco aortico è rappresentato dalla sternotomia mediana, nella quale l’incisione sternotomica viene praticata attraverso un’incisione longitudinale della cute che parte dal centro della fossetta giugulare e termina appena sotto l’apofisi xifoide dello sterno. Una volta incisa la cute, attraverso l’elettrobisturi vengono sezionati il tessuto sottocutaneo e la fascia presternale, esponendo quindi il periostio e lo sterno. Successivamente, utilizzando una sega oscillante, lo sterno viene diviso longitudinalmente nella parte centrale, in modo da permettere l’inserimento del divaricatore, il quale consente di allargare in modo simmetrico e atraumatico i due capi sternali. Dopo il posizionamento del divaricatore si procede con la divisione del grasso timico e prepericardico, legando o clippando contestualmente i vasi sanguigni e facendo attenzione a non ledere il tronco venoso anonimo.
A questo punto il pericardio, una volta esposto adeguatamente, viene aperto anteriormente attraverso un taglio longitudinale, che in basso viene allargato a “T” in corrispondenza della superficie diaframmatica. Infine vengono passati alcuni fili di trazione sui margini pericardici in modo tale da ottenere la migliore esposizione possibile del cuore e dei grandi vasi.
La via di accesso sternotomica permette un agevole posizionamento e controllo delle varie cannule utilizzate per la circolazione extracorporea (CEC); in tal modo il cardiochirurgo può operare su ogni parte del cuore per eseguire interventi sugli apparati valvolari o può raggiungere ogni parte della superficie cardiaca per eseguire le anastomosi coronariche negli interventi di bypass aorto-coronarico (BPAC). Attraverso questo approccio è inoltre possibile eseguire interventi sulle arterie polmonari.
Attraverso questa via di accesso attualmente vengono eseguiti tutti gli interventi sulla valvola aortica, sulla radice aortica, sull’aorta ascendente, sull’arco aortico e l’intervento di trapianto cardiaco.
Anche la chirurgia della mitrale, della tricuspide e il BPAC sono in grandissima parte eseguiti in sternotomia mediana, anche se esistono delle eccezioni in cui questi interventi vengono eseguiti con tecniche mininvasive. Al termine dell’intervento cardiochirurgico eseguito in sternotomia, prima della chiusura, vengono posizionati solitamente due drenaggi chirurgici: un drenaggio retto posizionato dietro lo sterno (drenaggio retrosternale) e uno curvo posizionato sotto la base del cuore, lungo il diaframma (drenaggio retrocardiaco). Una volta posizionati i drenaggi, lo sterno viene accostato simmetricamente attraverso dei fili metallici e i piani cutanei sono accostati con suture continue riassorbibili.


martedì 11 aprile 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

 Capitolo XIII

Il Professore Otorinolaringoiatra che effettuava le consulenze per l'efficiente Ospedale convenzionato con il Servizio Sanitario Regionale per la Riabilitazione fu chiarissimo: disse che questi errori chirurgici, non frequenti, non erano attribuibili agli Anestesisti. Elena, suo marito e suo figlio, qualora non le fosse ritornata la voce, meditavano di fare causa all'Ospedale dove tale intervento era stato eseguito. 

Il simpaticissimo Cardiologo croato, molto efficiente, disse: "Vediamo di fare a questa signora anche una Terapia Riabilitativa per farle tornare la voce."
Fu così che Elena conobbe Silvia, la sua Logopedista.
Ogni giorno ad una certa ora Silvia la veniva a cercare in palestra oppure in stanza. Ella aveva un suo studio al piano di sotto e lì Elena imparò a fare gli esercizi fonici per risvegliare la sua voce sparita.
Non fu facile, ma Silvia era di una bravura eccezionale e a poco a poco, quasi come un miracolo, la sua corda vocale paralizzata ricominciò a vibrare... 
Elena credeva che Silvia fosse una ragazza sui trenta anni e si stupì di apprendere che di anni ne aveva cinquantuno.
Era graziosa senza essere bella e, da foto fatte in vacanza che le mostrò, vide che aveva un bel corpicino.
Durante le sedute si conobbero meglio sul piano umano e, dato che Silvia aveva delle pene d'amore che le espresse con dolce e sincera afflizione, si instaurò fra le due donne una tale confidenza che la più anziana, e bisognosa della professionalità della più giovane, le parlò con il cuore aperto di alcuni aspetti della sua vita cercando di darle anche dei consigli. Uno dei suoi figli aveva avuto pene d'amore, poi risolte, e lei cercò di usare quell'esperienza di dolore riflesso come madre parlando a Silvia da madre.

Quello che la donna stava vivendo in quella esperienza di dolore che aveva  affrontato non tanto per allungare la sua vita, giacché riteneva di aver vissuto un tempo umanamente giusto, quanto per i suoi familiari spaventati e addolorati, la riempiva di stupore per i rapporti umani che andava vivendo.
La vita era stata una continua scoperta di miserie umane, di gente che ti odia anche se nemmeno ti conosce, che ti invidia ferocemente per quello che hai di bello ignorando però le tue pene, quelle non inglobate nel più miserabile dei sentimenti umani, bensì caso mai motivo di maligna soddisfazione, e alla fine la grande disponibilità che per carattere ella aveva verso gli altri si era ridotta e muri di diffidenza e di disgusto.
Ma ora con le persone così professionali che aveva incontrato da quando era entrata nel primo Ospedale, ma ancor di più in questo Specializzato per la Riabilitazione, l'esperienza umana che andava facendo era quasi affettiva, tanto si stava rivelando confortante.
Perché quella stessa umanità non si trovava fuori di lì?
Forse bisognava soffrire un dolore estremo perché persone intorno a te ti riconoscessero come fratello umano? O forse quelle persone, addestrate ad aiutare in vari modi professionali esseri deboli ed indifesi, sviluppavano un'umanità in altri sopita?
Elena non lo sapeva, ma riscoprire la vicinanza di un'umanità profonda, naturale, era una esperienza per lei molto piacevole.

Intanto le avevano cambiato stanza: non più camera singola ma con un'altra paziente.
Anche qui il muro di diffidenza e di ripulsa verso il suo prossimo cadde subito, giacché la persona che le era sembrata non fine e forse rozza si rivelò invece una donna intelligente, aperta e piena di voglia di tornare a vivere, contrariamente a quanto il suo aspetto aveva suscitato in Elena. 
Anche costei aprì il suo animo, parlò di sé e, senza arie e compiacimenti, del suo lavoro di artigianato artistico molto particolare e raro, poi della sua famiglia ricca di affetti: era anche nonna e con molto amore mostrò le foto dei suoi cari ad Elena che le fece i suoi ammirati complimenti per i nipotini, così belli e fini da sembrare attori del cinema.
La sua compagna fu dimessa e dimostrò una grande forza d'animo e molto equilibrio nel non lamentarsi anche se, per tornare nella sua casa, doveva affrontare un lungo viaggio in autostrada, cosa poco piacevole con un torace aperto e ricucito e con uno sterno che aveva bisogno almeno di altri due mesi per completare la riossificazione. Ma lei con molta tranquillità disse che si sarebbe protetta con un cuscino e ovviamente sarebbe stata nel sedile posteriore mentre suo marito guidava. Anche questa donna, come molti ricoverati in quel Reparto, era più giovane di Elena: 66 anni. 
Al suo posto arrivò una delle persone che erano state con Elena nell'ospedale dove aveva subito l'intervento chirurgico: la professoressa con cui aveva diviso anche la stanza. Furono felici entrambe di ritrovarsi.

La paralisi unilaterale sinistra è la più frequente: la corda vocale sinistra è paralizzata più spesso di quella destra poiché il nervo ricorrente sinistro necessario al suo funzionamento prende un corso più lungo dal tronco cerebrale alla laringe ed è quindi statisticamente più soggetto a traumi o lesioni chirurgiche





mercoledì 5 aprile 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

Capitolo XII

"E' tutto qui."  Pensieri tranquilli di una persona che era sempre stata presente a sé stessa, in fondo una natura serena se non fosse che le sue acque le avevano agitate gli altri. I suoi amati genitori con i loro problemi psicologici ed esistenziali... E poi gli altri la cui ostilità le appariva immotivata dato che lei era leale e non avrebbe potuto essere altrimenti, per sé stessa: era lei il primo giudice di sé.
L'avevano fatta sbagliare due cose: l'ingenuità dovuta all'inesperienza e la sopravvalutazione delle persone che non meritavano il suo giudizio sempre troppo buono. 
Era andata così. Non aveva rimpianti. In fondo ce l'aveva fatta, era andata bene. Quanti disastri aveva visto intorno a sé, quante persone saccenti e supponenti che avevano voluto dare lezioni di vita a lei e ad Adriano, i quali non avevano mai avuto la pretesa di darle a nessuno cercando solo di vivere senza sbagliare troppo, gente che aveva visto fallire negli affetti quando non anche economicamente...
Nelle ore della notte in cui non arrivava il sonno lei, che prima che il suo cuore avesse avuto bisogno di essere riparato, dormiva anche otto ore di fila, pensava ai suoi rimorsi: erano episodi in cui aveva fatto mancare a qualcuno la sua promessa presenza oppure il suo aiuto.
A 17 anni, in un brefotrofio, in visita con l'Associazione Cattolica di cui faceva allora parte... Girotondo con una bambina con un caschetto di capelli neri... Non aveva più la mamma, il padre doveva lavorare e l'aveva messa lì per non lasciarla da sola...
"Torni a giocare con me? Torni a trovarmi?"
Erano un gruppo di giovani eppure lei l'aveva chiesto solo ad Elena, ed Elena le aveva risposto di sì...
Era sicura di quella promessa.. Di mantenerla... Ma così non era stato. La sua Associazione non aveva organizzato un'altra visita e lei da sola, a 17 anni, non tentò neppure di avere il permesso per tornare a trovarla.. Pensò tante volte nel corso della sua vita alla delusione di Anna, così si chiamava quella bambina, a quante volte all'ora delle visite avrà guardato verso la porta sperando di vederla entrare.
"Oggi quanti anni avrà, se è ancora viva... Era una bimba di circa 6-7 anni... 10 anni meno di me.. Oggi ne avrebbe 66... Avrà dimenticato... Oppure quella delusione, quell'inganno, quella promessa mancata sarà stata l'inizio della perdita di fiducia negli altri?"


Pensava ad un altro episodio che le era tornato alla mente di sovente con lo stesso sentimento di rimorso.
Stava andando in auto alla clinica dove era ricoverato suo marito per l'operazione della cataratta. Sapeva che dovevano operarlo alle nove del mattino ed era uscita di casa per tempo. Voleva trovarsi lì prima che entrasse in sala operatoria per sostenerlo: suo marito era molto fifone.. Finì in un traffico infernale giacché quella clinica era in un quartiere periferico con un dedalo di strade trafficatissime. Chiusa in un fiume di auto in una strada stretta si trovò a costeggiare un marciapiede dove era una vecchietta con gli occhiali, penosamente agitata, appoggiata ad un bastone camminava a piccoli faticosi passetti fermando le poche persone che passavano che, ascoltatala frettolosamente, scuotevano la testa e scusandosi procedevano per la loro strada. Dato che Elena era proprio ferma per forza, bloccata nel traffico, abbassò il finestrino e le chiese di cosa avesse bisogno e quella smarrita le spiegò che le si era rotto il tubo dell'acqua sotto il lavandino e la sua casa si stava allagando, abitava lì, ed indicò un portoncino della palazzina prospicente il marciapiede, ma non c'era nessuno che potesse aiutarla. Poteva lei?




"Come faccio signora? Non posso scendere lasciando l'auto qui... Chiami un idraulico... Anche  se io salissi in casa non saprei come rimediare.."
La partecipazione all'angoscia della vecchietta fu totale, la voglia di aiutarla pure, ma l'impossibilità bloccava ogni buona volontà. Schiuse lo sportello e brevemente scese sul marciapiede, sperando che nessuna auto dietro di lei si bloccasse protestando. Cercò una possibile soluzione: "Possibile che nella palazzina non c'è nessuno che possa aiutarla? Lei ha il telefono?"
"Sì, ma non so chi chiamare! Può venire lei a fare il numero?"
"Chiami il 113 e loro le manderanno qualcuno!"  Elena era costernata di lasciare lì quella povera vecchietta inerme nella sua angoscia e incapacità a muoversi. Gettò lo sguardo intorno e vide solo gente indifferente a loro due, come fossero trasparenti. Pensò che era in ritardo e che suo marito doveva essere operato... Non esistevano ancora i cellulari e lì non c'era neppure un Bar o un negozio qualsiasi a cui chiedere un telefono. Dovette salutarla ripetendole di chiamare il 113 spiegando la sua situazione, le avrebbero mandato senz'altro qualcuno. La vecchietta, vedendo che lei risaliva in auto, disse smarrita, con affanno: "Come faccio adesso io, come faccio... Mi ammazzo..."
Dispiaciuta, costernata per non aver potuto fermarsi e fare di più Elena si avviò verso la clinica dove, quando arrivò, trovò il fratello di suo marito che le disse che era stato già operato ma era ancora dentro la sala operatoria.
Questi erano i suoi rimorsi, insieme a piccoli errori verso i suoi bambini nel difficile compito di genitore..
Aveva fatto del tutto per non averne di grossi mettendo sempre prima i suoi doveri verso tutti. Era stata generosa con le amicizie, sinceramente felice se avevano cose buone... Non aveva sempre ricevuto altrettanto. L'invidia era un sentimento miserabile, meschino, che non conosceva, ma che era stata costretta a riconoscere in alcune persone, anche amiche, a possibile spiegazione di azioni e parole altrimenti inspiegabili.
Pensava a tutto questo con lucida serenità perché ora sapeva che questa sua vita era conclusa e solo l'artificio magico delle mani di un Chirurgo le avevano concesso quel prolungamento a costo di tanto dolore.
Quando entravano gli Infermieri per la medicazione si scopriva il torace con rassegnata paura di sentire ancora dolore: in particolare le ferite lasciate dall'uscita dei drenaggi erano insopportabili, ma doveva sopportare lo stesso...
Gli antidolorifici, che sicuramente erano in mezzo alle pillole che le facevano ingurgitare in grande quantità, non erano sufficienti a togliere del tutto il dolore. A volte, vedendola soffrire mentre la medicavano, le chiedevano: "Vuole un' iniezione di antidolorifero?"  Ma lei rispondeva sempre di no. Cercava di resistere con quello che le davano.
Era nel suo carattere: resistere quanto più poteva e chiedere meno possibile.
Così si era più indipendenti e più forti.
Le ferite dell'uscita dei drenaggi le facevano male anche durante gli esercizi in palestra. Lo disse alle pazienti Terapiste, che la dispensarono da alcuni movimenti suggerendone altri.
Intanto la voce scomparsa, che aveva creato lo sconcerto di suo figlio che l'addebitava all'imperizia chirurgica di qualche aiutante del grande professore piuttosto che dell'Anestesista a cui gli Specializzandi avevano addebitato l'infortunio, non tornava. Il Cardiologo croato che soprassedeva al Reparto di Riabilitazione Cardiochirurgica si preoccupò di farle fare una visita Otorinolaringoiatrica dopo aver letto, nella Relazione delle dimissioni, che anche nell'Ospedale dove era avvenuto l'Intervento Chirurgico era stata fatta tale visita specialistica, con il referto di paralisi della corda vocale sinistra.

martedì 28 marzo 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

 Capitolo XI

La raccomandazione dei Medici, degli Infermieri e delle Terapiste della Riabilitazione era, per tutti i ricoverati di quel Reparto, fare attenzione a non compiere gesti o movimenti che potessero interessare lo sterno segato in due e ricucito. La minaccia era che se si fosse riaperto malauguratamente avrebbero dovuto essere riaperti per risaldarlo.

Il trauma che tutti quegli operati al cuore avevano subito rendeva solo l'idea un incubo. Dunque gli esercizi studiati e fatti eseguire dalle Terapiste nella palestra del Reparto erano tutti tesi a non far accadere un simile evento.

Elena ogni mattina ed un po' nel pomeriggio doveva sottoporsi agli esercizi di riabilitazione guidata da Terapiste pazienti e molto ben preparate sul piano psicologico per aiutare quegli zombi che si trascinavano a tornare alla normalità.

Fra gli ospiti Elena riconobbe un uomo che era con lei in Terapia Subintensiva nell'Ospedale dove era stata operata. Egli sfuggiva il suo sguardo quasi temendo di dirle che l'aveva riconosciuta, né Elena lo forzò ad esprimersi dando le viste di riconoscerlo. Era un uomo molto più giovane di lei che si sforzava di recuperare prima possibile le forze. Dopo le frasi di dolore proferite da Elena in Terapia Subintensiva l'uomo si era convinto che ella non si desse il coraggio che si dava lui. Ma così non era, Elena cercava di recuperare le forze ma non era energica come quell'uomo la cui età dimostrata era sui 60 anni: 16 meno della protagonista della nostra storia. Finalmente si fece coraggio e incrociandola nel corridoio le chiese: "Ma lei era all'Ospedale S. Domenico?"
Elena annuì sorridendo pallidamente. Parlarono un poco. L'uomo era stato operato prima di lei, dunque la sua convalescenza era iniziata prima, infatti era già in Subintensiva quando Elena vi era arrivata. Ricordando quei momenti Elena fece una gaffe: " Ricordo quando è venuta in visita sua madre." 
"Non era mia madre, - disse l'uomo con un filo di imbarazzo - era mia moglie." Continuando nel suo equivoco sulla condizione psicologica di Elena l'uomo la incoraggiò a muoversi e a tirarsi su. Elena pensò che era un uomo buono e forse pensarla fragile e darle il buon esempio con il suo muoversi, fare esercizi e camminare velocemente per i corridoi del piano, lo aiutava a sentirsi forte. Si unirono alla conversazione altri ricoverati e parlando con loro l'uomo rivelò che a creargli i problemi cardiaci per i quali era stato costretto a subire una operazione così importante era stato il suo accanito vizio del fumo. Temeva di non riuscire a debellarlo una volta uscito di lì tanto doveva averlo condizionato.
Adriano veniva ogni giorno all'ora delle visite. La loro casa era molto vicina a quel bellissimo Ospedale e questo era confortante per la malata dato che Adriano, anche se non dimostrava i suoi anni, li aveva e fare un viaggio per vederla ogni giorno, come Elena vedeva fare al marito di Lina ad esempio, anche lei ritrovata lì perché non aveva un simile ospedale nella città dove viveva, il quale ogni giorno faceva in auto 100 km. per abbracciare la moglie, sarebbe stato per lei angosciante.
Una sera incrociò in corridoio l'uomo dall'aspetto molto giovanile con la moglie in visita. Si salutarono. Le apparve meno anziana abbigliata in modo diverso da quando l'aveva vista la prima volta, ma ugualmente lui sembrava molto più giovane anche avendo subito un intervento così pesante.
La sera molti passeggiavano nei bei corridoi e si fermavano in una specie di veranda dove i cellulari potevano avere un buon segnale. Scambiavano qualche educata confidenza ed Elena apprese così che persone di 62, 64 anni avevano dovuto subire interventi come il suo.. Alcuni dimostravano molti più anni dell'età svelata e la donna se ne stupì ... Si disse che non aveva dunque di che lamentarsi visto quello che le si stava disvelando in quella esperienza che stava facendo in quel posto.

La notte era lunga e non era facile dormire senza poter stare su un fianco ma solo ed esclusivamente supini. Motivo: sempre la precarietà dello sterno tagliato. I pensieri erano tanti. Il suo carattere quieto e riflessivo sopportava bene quanto le era accaduto. Senza quell'esperienza dolorosa che aveva richiesto coraggio lei sarebbe morta. La vita era dietro le spalle. Senza quella "riparazione" il suo corpo avrebbe finito di lì a poco il suo cammino.
Dunque era tutto qui. Il bene e il male della sua vita le scorrevano davanti.



giovedì 23 marzo 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

  Capitolo X

Nei colloqui che Elena aveva avuto con lo Specializzando in Cardiochirurgia a cui il grande Cardiochirurgo, che l'aveva poi operata, l'aveva affidata, avevano parlato della circolazione extracorporea.

"Non dura tutto il tempo dell'intervento, - disse il giovane Medico - no, al massimo mezz' ora.."  L'intervento era durato 6 ore. Il suo cervello aveva registrato qualcosa: il ricordo di un'immagine di sofferenza. Può una parte del cervello registrare qualcosa nonostante la sedazione profonda? Elena non lo sapeva, ma l'immagine era nitida e la sensazione di dolore, tutto mentale freddo e disumano, un ricordo preciso.

Ne avrebbe parlato a suo marito quando fosse uscita da quel percorso di dolore. Doveva arrivare ad un momento in cui si fosse trovata in pace e calma senza più essere un corpo con tubi, aghi, sensori applicati al corpo, ferite.

E venne il giorno delle dimissioni. Queste non potevano avvenire se non con l'ambulanza che l'avrebbe trasferita dall'Ospedale dove era stata operata a quello dove sarebbe avvenuta la riabilitazione. 

L'autista-infermiere dell'ambulanza era un giovane uomo dai modi sicuri che vinse la sua incertezza a sdraiare il suo corpo fragile e dolente sulla stretta e alta barella. Lo accompagnava una giovane volontaria bella come un'attrice del cinema.

Un bravo Operarore Socio Sanitario che l'aveva assistita in una spiacevole circostanza, andando oltre il suo orario di lavoro, l'aiutò a completare la valigia. Come era grata a tutte quelle persone così professionali... E allo stesso tempo umane e gentili. Era della professionalità di cui si aveva bisogno, soprattutto in quei frangenti in cui non si era più padroni del proprio corpo.. Non delle suonatrici che erano entrate in Terapia Subintensiva pensando di sollevare dei quasi zombi dalla loro sofferenza, né di preti, né di pie donne che facevano volontariato negli ospedali chiedendo ai malati se avevano bisogno di compagnia... Erano i gesti di gente addestrata e professionale che sollevavano dal dolore, che confortavano nel malessere... Non altro.

Salutò la professoressa che era stata sua ultima compagna di stanza e si affidò all'autista-infermiere dell'ambulanza. I suoi modi sicuri la confortavano. Una volta dentro rimase sola con la bellissima volontaria. Parlarono pochissimo durante il tragitto di circa mezz'ora fino all'Ospedale Specializzato per la Riabilitazione, e quel poco fu stimolato dalla giovane con poche domande che facevano parte dell'aspetto psicologico di assistenza verso il malato. Elena rispose volentieri e sinceramente al suo cortese interessamento.

L'Ospedale era in una zona collinare che Elena conosceva benissimo, dato che da 40 anni aveva scelto quelle colline intorno alla sua città per vivere fuori dal caos e dal degrado in cui l'involuzione dei tempi l'avevano gettata.

Fu accolta, fatto subito un elettrocardiogramma, e assegnata al Reparto. Tutto era pulitissimo, tranquillo e il personale gentile ed efficiente. Dapprima le fu assegnata un'ampia stanza singola con bagno. Elena sapeva che tutto questo era pagato dal Servizio Sanitario Nazionale ma si stupì di tanta comodità chiedendosi se per caso non ci fosse un supplemento da pagare. Poi si disse che lei non aveva chiesto nulla e dunque l'Ospedale avrebbe dovuto informarla se c'era una scelta e conseguentemente un supplemento. Ne parlò con suo marito quando giunse in visita nel pomeriggio, ma anche lui escluse che la stanza fosse a pagamento. Avere un bagno tutto per sé era molto confortante, anche se nell'Ospedale da dove proveniva era stata molto fortunata a dividerlo con due compagne, Lina prima e la professoressa dopo, di grande pulizia e civiltà. Rosa, la donna sfinita dai problemi respiratori, non aveva mai potuto usufruirne dato il suo stato di salute: la poveretta era stata sempre a letto con il catetere finché non l'avevano portata via per operarla.

Il giorno dopo ricevette la visita del Medico del Reparto di Riabilitazione Cardiologica. Come nell'Ospedale dove l'avevano operata aveva potuto apprezzare la professionalità di un Medico palestinese, qui apprezzò la simpatia e disponibilità del Cardiologo croato.

Era questi un omone alto, sempre intelligentemente ironico. Facendole l'intervista iniziale apprese che Elena all'Università aveva lavorato con un Professore di Cardiologia che aveva impostato quel Reparto di Riabilitazione Cardiologica, praticamente creandolo. Lo disse a tutto il resto del personale come se quel fatto fosse una investitura di stima che rendesse Elena speciale.

L'ambiente in cui Elena doveva soggiornare almeno un mese si rivelava quanto mai umanamente piacevole e questo era un sollievo in più.

Gli infermieri erano tutti giovani, bravi, addirittura affettuosi, sia le infermiere che i giovani uomini. Le medicazioni non altrettanto piacevoli.




GOCCE DI VITA - La vendetta del "monnezzaro"

GOCCE DI VITA 

Argomento: Giustizia

Suonò al cancello della villa un omino di mezza età, disse di essere il responsabile della Ditta Pollai addetta al ritiro della mondezza. La signora fu gentilissima, non lo tenne sul cancello, ma lo fece accomodare e gli chiese anche se gradiva una bibita, un caffè. Lui rifiutò stupito da tanta cortesia e con cautela iniziò una spiegazione su come dovevano essere conferiti i rifiuti organici: 
"Lei può mettere anche dell'erba nei sacchetti, ma poca.." 
"Ma non ci penso affatto, - disse la donna stupita - io metto l'erba del giardino in sacchi neri che compero e quando sono pieni vi telefono e prenoto il ritiro come da vostre indicazioni. Così è scritto nel vostro sito, queste sono le vostre indicazioni."
A questo punto la donna capì l'equivoco in cui era incorso l'omino a causa della dabbenaggine dei suoi operai: nel giorno del ritiro settimanale dell'organico, che lei metteva in sacchetti dentro un bidoncino dato in dotazione dalla Ditta Pollai, aveva visto che erano spariti anche i sacchi neri degli sfalci di cui lei aveva prenotato il ritiro che, al telefono, le avevano assegnato per quel giorno. 
L'omino, invece di rimproverare i tonti, aveva creduto che la donna avesse esposto quei sacchi come organico.
L'eccessiva delicatezza della signora le impedì di dirgli schiettamente che quei sacchi erano prenotati per altra via, peraltro indicata nelle loro istruzioni. Sperò però che dalla sua risposta molto educata colui avesse capito che c'era stato un equivoco.
Suo padre l'aveva educata, anche con l'esempio, al rispetto di chi svolgeva un lavoro umile. Si lasciarono con l'omino che cerimoniosamente volle darle il suo nome e numero di telefono: per qualsiasi cosa era a sua disposizione. Lei lo ringraziò ma non aveva bisogno di niente sotto quell'aspetto essendo una ambientalista e persona precisa e pignola nel rispettare le regole.  
Molto tempo dopo iniziarono dei pesanti disservizi da parte della Ditta Pollai: si era in un periodo festivo, Feste di Natale, ed era importante pulire bene il giardino, ma al telefono della Pollai non rispondeva nessuno: come fare per far portare via i residui degli sfalci?
Chiamò l'Ufficio del Comune preposto al controllo dell'operato della Ditta appaltatrice del Servizio Ritiro Rifiuti e segnalò l'impossibilità di contattare tale Servizio. Evidentemente il Comune fece il suo dovere richiamando la Ditta, ma la signora scoprì che l'omino responsabile della zona non era solo incapace di capire quello che combinavano i suoi operai sbagliando i ritiri, ma era privo dell'umiltà di riconoscere quello che nella sua organizzazione non andava. Invece di giustificarsi aggredì la signora via telefono inalberando scuse che non stavano in piedi e addebitando l'assenza per quindici giorni del Servizio telefonico al fatto che "lei aveva sbagliato numero"!
"Ma come può dire una simile sciocchezza?! Si indignò la donna. "Per quindici giorni di fila sbaglio numero? Un numero fatto tante volte?"
Ma siccome quello insisteva con molta maleducazione aggressiva la signora gli fece notare che molta gente si lamentava del disservizio anche se non tutti segnalavano al Comune non essendo precisi e accurati come lei.
Intanto la Ditta Pollai proprio in quel periodo aveva saputo di aver perso l'appalto anche se continuava per il momento ad assicurare il Servizio, in attesa di passare la mano alla Ditta subentrante.
Forse per questo non era stata più in grado di dare lavoro alla signora che rispondeva al telefono tenendo l'agenda dei ritiri?
La donna ambientalista della villa non lo sapeva e dopo questo episodio, dovendo un suo parente, che abitava nell'altra parte della bifamiliare, smaltire dei mobili vecchi, telefonò al Comune all'Ufficio preposto per chiedere se quel Servizio fosse attivo e se quel tipo di rifiuto ingombrante fosse smaltibile: l'impiegata rispose di si su tutto e disse che però l'agenda dei ritiri l'aveva la Ditta Pollai che ancora per un po' avrebbe assicurato quel Servizio.
La donna telefonò, i rifiuti furono esposti in uno spazio privato esterno della villa accessibile ai mondezzai che avrebbero operato il ritiro.
Passarono mesi. La signora, evidentemente abbiente, possedeva un'altra villa in un altro Comune e fu in questa che, con sua sorpresa, i Vigili Urbani del posto  le consegnarono una multa indirizzata  a suo marito, emessa dai Vigili Urbani del Comune dove era la Ditta Pollai per violazione amministrativa del conferimento rifiuti.
Suo marito era il titolare della loro cartella TARI in quel Comune dove era la villa bifamiliare ed ivi aveva la residenza.
Prima stranezza: perché tale notifica l'avevano indirizzata dove lei aveva la residenza e non suo marito?
Ma non fu quella l'unica anomalia che lessero su quel verbale corredato di foto fatte in giorni diversi all'ingresso della villa, ciascuna foto interpretata in modo scorretto, in particolare quella che mostrava i rifiuti ingombranti, il cui ritiro era stato prenotato dalla signora ma per il suo parente abitante allo stesso indirizzo e titolare di una sua cartella TARI. A tal proposito il "monnezzaro" responsabile dichiarava alla vigilessa che aveva firmato il verbale che erano stati esposti senza prenotazione!
La signora e suo marito si indignarono e dato che in tale verbale era ammesso ricorso solo al Sindaco esposero i fatti veri e lo presentarono.
Inoltre, dato che era ammesso essere ricevuti dal Sindaco, il marito della signora chiese di esserlo e fu ricevuto.
In esso scrissero anche delle aggressioni telefoniche avute dal soggetto a seguito delle loro lamentele per il disservizio e delle assurdità che tale soggetto si era permesso di millantare arrivando a dire che "loro non abitavano in tale villa" per questo lasciavano la mondezza quando capitava...
Il Sindaco non procedette all'ingiunzione e tutto sembrava finito lì.
Ma il Sindaco si dovette dimettere per alcune denunce e ci furono nuove elezioni.
La signora e famiglia appoggiarono una persona che era già stato Sindaco e che stimavano, ma la campagna elettorale prese una piega triste con accuse e sfottò anche nei riguardi di chi sponsorizzava l'ex Sindaco, soprattutto da parte di un individuo rancoroso e vendicativo come il "monnezzaro". Costui appoggiava un personaggio del tutto nuovo per quel Comune, il quale vinse e di lui fece il Vicesindaco. 
Voci sui social misero in risalto l'ostilità della nuova amministrazione nei riguardi di chiunque non avesse appoggiato il nuovo Sindaco e là dove si poteva iniziarono le vendette.
Fu così che, dopo tre anni, il verbale del "monnezzaro" bugiardo e vendicativo venne rispolverato, venne scritto che, in pratica, tutto quello che il marito della signora aveva dichiarato nel suo ricorso erano balle e che doveva pagare la multa maggiorata.
La vendetta del "monnezzaro" era compiuta.

lunedì 13 marzo 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

 Capitolo IX

Nelle ore passate nel letto, fra un'interruzione e l'altra delle giovani infermiere e di un paio di giovani uomini infermieri che le portavano pillole da ingoiare o le mettevano aghi per effettuare i prelievi ematici, o controllavano che tenesse bene il tubicino dell'ossigeno, Elena pensava: la Morte l'aveva visitata, e quegli attimi in cui all'improvviso il respiro si era quasi del tutto interrotto, riducendola ad una marionetta ancora pensante e cosciente che si trattava di un evento fatale ma che non poteva chiamare aiuto né camminare, le tornavano lucidissimi nella mente.

Il suo corpo aveva accumulato grasso nelle arterie in quei 76 anni tanto da non irrorare più il cuore che si era quasi fermato, poi si era ripreso ma non sarebbe durato a lungo se non si fosse sottoposta a quel lavoro di alta macelleria. Da una gamba, dove era una lunga fasciatura, avevano prelevato un pezzo del suo corpo per usarlo per irrorare il cuore, creando una via artificiale... Ma per la Natura lei doveva essere morta: quindi la sua fine naturale era a 76 anni. Come sua nonna Giulia che era morta di botto proprio a quell'età. Nessuna medicina, nessun controllo in quei 76 anni... Quando era morta Elena aveva 4 anni. Era il 1950. Una donna nata alla fine dell'ottocento in un piccolo paese rurale, senza cure di nessun tipo, era stata forte a giungere a quell'età... Elena invece aveva fatto controlli, preso medicine... Eppure.. 

Pensava ai due cardiologi, un uomo ed una donna, che l'avevano visitata a giugno di quell'anno... Avevano fatto l'Elettrocardiogramma: all'uomo lei aveva detto che aveva una gamba gonfia, lui restando seduto dietro la scrivania aveva gettato un'occhiata alla sua gamba e aveva detto che doveva farla vedere ad un Angiologo... Elena pensava che potesse dipendere dalle pastiglie che prendeva per la pressione arteriosa alta... Sapeva che potevano dare di questi disturbi: era accaduto quando le avevano cambiato farmaco. Poi era passata alla stanza accanto. La visita Cardiologica di controllo l'aveva prenotata tramite il Centro Regionale del Servizio Sanitario Nazionale e, non si sa perché, nella Casa della Salute della sua zona l'avevano data divisa fra due cardiologi... La donna per tutto il tempo della visita parlò con l'infermiera: entrambe avevano modi sciatti e svogliati. Si davano del tu e l'infermiera era una donna rozza e sussiegosa. La Cardiologa consigliò di fare un ecocardiogramma, e fu tutto.

Elena aveva pensato che è triste ridursi così dopo tanto studio.. Non amare più il proprio lavoro. Dal 26 giugno, giorno di quell'inutile spreco di denaro del Servizio Sanitario, al 31 ottobre, giorno della sincope, erano trascorsi solo 4 mesi...

Questi erano i suoi pensieri: lucidi e in fondo sereni, perché la vita per la donna era accettazione ormai.

Una sera sentì un gran correre in corridoio, poi un nome: "Frassinetti si è collassato!" Capì che qualcuno doveva essersi sentito male in Terapia Subintensiva. Più tardi chiese all'infermiera che era entrata per le terapie, e quella con triste pudore ammise che Frassinetti era morto. Non tutti ce la facevano in Subintensiva...

Da una stanza vicina arrivava una voce d'uomo che chiamava con tono perentorio: "Antonio!!"  Lo faceva ogni 5 minuti, in modo ossessivo. Dapprima Elena pensò che chiamasse un infermiere, ma poi capì che chiamava qualcuno che era solo nella sua mente. Nei giorni successivi cambiò nomi, anche uno di donna, ma sempre gli stessi e Antonio era sempre presente. Qualche voce provò a tacerlo bonariamente, forse infermieri, ma senza troppa convinzione essendo evidente che l'uomo era fuori di testa.

Come promesso le arrivò sul cellulare il messaggio di Lina: era risalita dalla Sala Operatoria e dopo una breve sosta in Terapia Intensiva era in Subintensiva. Elena le rispose che era felice. Capiva perfettamente quello che provava: il sollievo di essersi risvegliata perché tutti hanno il timore che questo non avvenga.

Ma c'era nella mente di Elena un ricordo nitido e drammatico di cui non parlò con nessuno: voleva parlarne solo con suo marito perché, oltre il loro legame, c'era la consapevolezza che lui solo avrebbe potuto avvicinarsi ad una spiegazione, dato che suo marito era un uomo che della scienza aveva fatto il suo lavoro e la sua passione nella vita.

Intanto la sua voce era sempre azzerata e i giovani Medici Specializzandi in Cardiochirurgia vennero a toglierle i drenaggi:  "Faccia un bel respiro signora e lo trattenga che facciamo presto presto!"  E lei lo fece, mentre risolutamente ed in modo energico il dottore estrasse dal suo corpo i tubi che lo attraversavano dalla sede cardiaca fino sotto il seno. Fu rapido e così il dolore. Dopo sotto i seni ebbe a lungo delle ferite che venivano giornalmente medicate.

Con l'estrazione dei drenaggi si avvicinava sempre più la data delle dimissioni ed il suo trasferimento nell'Ospedale dove sarebbe avvenuta la riabilitazione.

Lo stesso gentile Medico palestinese, che aveva scritto la richiesta per la consulenza Otorinolaringoiatrica per la sua voce scomparsa, venne al suo capezzale per chiederle in quale Ospedale voleva andare per la riabilitazione. Ne suggerì due lontanissimi dalla sua abitazione ed Elena pensò a suo marito, sempre efficiente ma con tanti anni sulle spalle... Uno dei due Ospedali faceva parte di una catena di Cliniche Private Convenzionate con il Servizio Sanitario Pubblico ed una sua sede era vicinissima a casa sua. Propose quella.



venerdì 10 marzo 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

 Capitolo VIII

Forse si era anche pentita di quello squarcio che aveva aperto sul suo dolore, sui drammi della sua difficile vita, perché quando la portarono via dalla stanza, perché finalmente l'avrebbero operata, Rosa Lucarelli non rispose al saluto che, soffiando con fatica, Elena cercò di darle. Tenne gli occhi serrati per non scambiare neppure uno sguardo...

Ed arrivò animosamente un'ennesima compagna. Animosamente nonostante fosse stata operata al cuore come Elena: la stessa pesante apertura del torace, ma a lei avevano solo sostituita una valvola che non reggeva più... Ciò nonostante era provvista dell'energia necessaria per protestare contro le infermiere della Terapia Subintensiva da cui proveniva. Una bella donna nonostante gli ottanta anni che non dimostrava affatto. 

"E' una professoressa". Si disse Elena con l'intuito sensibile che faceva parte di lei. Di tutte le compagne di stanza che aveva avuto da quando era stata ricoverata questa era la più fine nei tratti del viso e nei modi. E professoressa lo era veramente. Una donna energica con le sue fragilità.. Come in seguito Elena ebbe modo di scoprire..

Si piacquero perché di simile educazione e cultura.

Elena ripensò alla sua amica Giovanna... Professoressa di latino e greco nei licei, grande lettrice di letteratura e amante del Teatro. Diversa da lei, eppure vicina per interessi culturali.. Giovanna che non c'era  più. Se ne era andata a 69 anni sapendolo, perché sei mesi prima della sua scomparsa proprio suo figlio le aveva diagnosticato un tumore che da dentro, solo con qualche dolore non devastante, la stava uccidendo. 

"Ho sempre dei dolori alla schiena..."  Si lamentava. Ma furono i suoi figli, tornati in ferie dall'estero dove lavoravano, a rivolgersi al loro compagno d'infanzia Marco, il figlio Chirurgo di Elena, perché visitasse Giovanna che l'aveva visto crescere: e lui dovette dare loro la sentenza. Ascoltatala chiesero quanto tempo avesse: "Sei mesi."  Disse Marco, e sei mesi furono.

In quei sei mesi Giovanna non fece trapelare nessun tormento, paura o smarrimento per quella morte così vicina che l'attendeva. Eppure era così giovane nei suoi 69 anni affatto dimostrati. Alta, bella, elegante, con quegli occhi che facevano pensare a laghetti di montagna e il bel sorriso. Pranzarono insieme tutti invitati a casa di Marco... Lei sorrideva. Poi nella villa di campagna di Elena: quel giorno portava un tailleur bianco che le stava benissimo. Ai saluti, fuori del cancello, si scostò appena la camicetta sul petto e con un velo di tristezza le disse: "Vedi: questo è il port."  Ad Elena sembrava tutto irreale... Ed invece era terribilmente vero e dopo un po' Giovanna non riuscì più a reggere i dolori con i farmaci che prendeva e chiese di essere ricoverata. Da quel momento in poi Elena la sentì solo per telefono poche volte e non la vide più.

"Stanno discutendo fra i Perfusionisti e i Chirurghi: i Perfusionisti vorrebbero siringarlo, i Chirurghi operare e toglierlo.."  Elena ascoltava smarrita la bella voce della sua amica ormai alterata dal dolore, non osando fare domande. Chiese poi a suo figlio cosa intendessero fare e le fu risposto che qualcuno del Reparto dove era ricoverata aveva ipotizzato di siringare il rene ormai invaso dal cancro, ma era azione rischiosa di complicanze essendo l'organo gonfio di urina. Il fatto era che, essendo il cancro in fase avanzata, non voleva toccarla nessuno per il rischio di morte sul tavolo operatorio, cosa che i Chirurghi rifuggono. Seppe poi che suo figlio si era deciso a farlo lui. Temendo per suo figlio pose alla sua amica la domanda: "Ma sei sicura di volere che te lo tolga il rene? Te lo ha proposto lui oppure...?"

"No, gliel'ho chiesto io di togliermelo.. Non ce la faccio più.."  Aveva risposto la voce sofferente della sua amica.

Seppe poi, dal coraggioso Chirurgo che aveva liberato Giovanna da quel dolore restando colpito lui stesso, che "Era grande come un pallone da calcio e le metastasi al fegato, alcune necrotizzate dalla chemio, erano grandi come palle da tennis...".

Dopo un po', come da prassi, il Chirurgo volle che si alzasse:"Bisogna alzarsi dopo ogni intervento chirurgico."  

"Ho dolore come metto i piedi in terra... Dicono che è fessurato l'osso pubico.."  Forse fu l'ultima telefonata che Elena le fece. Giovanna aveva risposto alla sua chiamata obnubilata dal dolore, credendo che fosse suo figlio che la chiamava: "Vincenzo..."  Aveva proferito la sua flebile voce incrinata dal dolore, e ad Elena era dispiaciuto dirle che invece era lei, Elena... Chiese poi spiegazioni a suo figlio su quel dolore all'osso pubico: "E' andato in metastasi ossea..."  Rispose lui con le labbra piegate all'ingiù in una smorfia. Pur conoscendo la prognosi aveva fatto il possibile per aiutarla, ma sentiva l'amarezza della sconfitta del Medico che subisce la potenza della Morte.