giovedì 3 gennaio 2013

Antipolitica?


Negli ambulatori del Parlamento 60 camici bianchi a 2 milioni di euro all’anno

Con una nuova delibera datata 18 dicembre, Palazzo Madama punta a rafforzare ulteriormente il presidio di cardiologi e infermieri interni: aperte le selezioni per altri cinque cardiologi e altrettanti tra anestesisti e rianimatori

Aula Senato
La via crucis del ri-candidato si fa più stretta e incerta che mai. Una corsa al cardiopalma, roba da rimanerci secchi. Sarà per questo che il presidente del Senato, Renato Schifani ha deciso di rafforzare il presidio di cardiologi e infermieri presso l’Ambulatorio di Palazzo Madama. Sotto l’albero di Natale, il 18 dicembre, è arrivata una delibera dell’ufficio di presidenza che apre ufficialmente le selezioni per cinque specialisti in cardiologia e cinque in anestesia e rianimazione. Non tirocinanti di primo pelo ma laureati con almeno 105/110 ed esperienza professionale minima di cinque anni per i medici e di quattro per gli infermieri.
Quello del Senato, del resto, è un ambulatorio di tutto rispetto: aperto tutto l’anno, 24 ore su 24, gratuito e a uso esclusivo degli inquilini del palazzo. E lì per legge da ben 27 anni: in origine, spiegano da Palazzo Madama, doveva garantire ai senatori non residenti a Roma l’assistenza sanitaria dei loro colleghi della Capitale, ma col tempo il mini-ambulatorio è diventato maxi. La platea dei pazienti si è infatti allargata a deputati, ex parlamentari, dipendenti del Senato e dei gruppi, mentre il personale conta oggi un medico e quattro infermieri in pianta stabile, più altri 26 camici bianchi retribuiti a prestazione per assicurare i turni h24. E così sono lievitati i anche i costi: nel 2011, ultimo dato disponibile, sono arrivati a 650mila euro. Non è difficile crederlo, visto che per quasi trent’anni il presidio è stato aperto anche quando il palazzo era semideserto e gli inquilini in vacanza, nei week end, perfino a Natale e ad agosto.
Solo qualche mese fa il Consiglio di Presidenza ha deciso di chiuderlo dalle 13 di sabato alle 8 del lunedì, durante i festivi infrasettimanali e nei giorni di ferie con un risparmio di circa 240mila euro. Ma niente panico. Quando l’ambulatorio è chiuso l’assistenza medica è assicurata da una società esterna (Medical Care) a un costo di 20 mila euro l’anno. A Palazzo Madama spiegano che non sono soldi buttati perché nel presidio medico si lavora a pieno regime: in un anno si effettuano 13mila prestazioni, più 700 soccorsi, in maggioranza di tipo cardiologico. Un dato sorprendente se rapportato al numero dei senatori e alla platea dei potenziali marcatori di visita. In un giorno di normale attività parlamentare al Senato, infatti, entrano più o meno 2.500 persone. Forse lavorare in Parlamento è più usurante di quanto si pensi e questo potrebbe spiegare anche quei 7,7 milioni di euro chiesti da senatori (e parenti) per prestazioni sanitarie integrative.
I deputati non sono da meno. I servizi sanitari d’emergenza alla Camera sono assicurati da un ambulatorio con personale medico-infermieristico rinforzato da un servizio distaccato dall’Asl di Roma e da una convenzione diretta con il Policlinico Gemelli. Un presidio che conta su una trentina di camici bianchi tra interni ed esterni che costa 1,4 milioni di euro l’anno. La convenzione per i presidi di palazzo Montecitorio e dei palazzi Marini, in corso dal 2007, conta quattro medici dirigenti e due unità di personale infermieristico che prestano servizio per 36 ore la settimana. Tutti ben retribuiti. Un medico alla Camera costa 60 euro lordi l’ora che diventano 90 dopo le 22, il sabato e nei giorni festivi.
A fine anno il camice bianco a Montecitorio porta a casa 90-100 mila euro. E sono in quattro. Gli infermieri, prendono 44 mila euro l’anno più maggiorazioni e sono in due. Ma vanno poi aggiunti i turnisti esterni e i 435mila euro per la convenzione con il Policlinico. Il conto finale è così salato da spiazzare gli stessi beneficiari del servizio (che in teoria dovrebbero godere di ottima salute, visti i 10 milioni di rimborsi sanitari dello scorso anno). Rita Bernardini (Pd), ad esempio, il 12 ottobre scorso ha chiesto al Collegio dei Questori di optare per uno dei due servizi. Il parere è stato accolto e protocollato ma non si sa se sortirà qualche effetto. L’emergenza sanitaria in Parlamento, a quanto pare, continua.
da Il Fatto Quotidiano del 2 gennaio 2013
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E' appena iniziato il 2013 e ci avviamo verso le elezioni con la legge "porcellum", con le prebende dei parassiti inalterate e noi sempre più poveri.
Chiudono gli ospedali statali ma a "Versailles" (leggi Palazzo Madama e Montecitorio) tutto continua come prima: scorrazzano le auto blù, uomini delle Forze dell'Ordine fanno da scherani ai politici aprendo loro gli sportelli delle auto... Tutto come prima e meglio di prima.
L'unica preoccupazione è se riusciranno a continuare a stare a "Versailles".
L'odio nella gente cresce, il disprezzo per la loro categoria cresce... Ma loro la chiamano "Antipolitica".
Che fate? Antipolitica? Non siete contenti che un Consigliere Regionale guadagni euro 10.000 circa al mese? Fate Antipolitica!
Non siete contenti che i politici con cariche varie possano cumulare tre, quattro pensioni, mentre a voi ne concedono solo due e la seconda ve la decurtano? Fate Antipolitica!

Dovete essere contenti che loro vivono come Luigi XVI e Marie Antoinette! Altrimenti fate Antipolitica!

Io, come voi plebe, ho chiesto una visita per il mio diabete a dicembre 2012 e me l'hanno data per luglio 2013! E' giusto! 
Loro hanno il loro ospedale personale con stipendi d'oro pagati da noi per i loro medici... Chissà con quali criteri selettivi li assumono... Visto come sono pagati i Dirigenti Medici vincitori di Concorso a tempo indeterminato del SSN nei nostri Ospedali Statali in via di smantellamento... sarebbe da farci un pensierino... ma forse si sa già il nome ed il cognome di chi assumono...

Voi che dite, andiamo a votare? Oppure facciamo qualcos'altro?

Quasi un anno per una decisione

Da: Il Messaggero.it

Licenza finita, i marò tornano in India. Ora la decisione della Corte suprema






di Roberto Romagnoli

ROMA Licenza finita. Massimiliano Latorre e Salvatore Girone tornano in India. I due marò, autorizzati a partire dall’Alta Corte del Kerala dietro il pagamento di una cauzione di 820mila euro e una serie di garanzie del nostro governo, erano atterrati a Roma il 22 dicembre. Faranno ritorno a Kochi, nell’albergo che li ospita in condizioni di libertà vigilata, dal 2 giugno. Il 15 gennaio dovranno presentarsi davanti al tribunale di Kollam dove è in sospeso l'inizio del processo di primo grado nei loro confronti, imputati per la morte di due pescatori indiani.

Uno stop dovuto alla necessità di attendere che la Corte Suprema di New Delhi si esprima sulla questione della giurisdizione che deve essere applicata nel loro caso, indiana o italiana. Un parere che l’Italia riteneva potesse arrivare prima delle feste natalizie e che invece è inspiegabilmente slittato. Ieri la Corte Suprema, dopo la pausa per le festività di fine anno, ha riaperto i battenti e ora è ripartita l’attesa dei marò per una decisione che potrebbe rispedirli subito in Italia oppure spalancargli le porte di un processo-incubo. Rinviati a giudizio con quattro capi di imputazione (omicidio, tentato omicidio, associazione per delinquere, danneggiamenti) potrebbero anche essere condannati alla pena di morte. Un’eventualità che il governo italiano, strafiducioso delle proprie richieste, esclude.

LE FAMIGLIE
Le due settimane in famiglia sono trascorse nel più rigoroso riserbo e anche alla vigilia della partenza per l'India i marò non sono venuti meno alle consegne di riservatezza e di sobrietà imposte loro dalla precarietà della vicenda che stanno vivendo prima ancora che dai consigli delle autorità italiane. Per questo hanno preferito non parlare. Ieri però, parlando con l’agenzia Ansa, qualcosa è emerso dal loro circolo familiare.

«La licenza di due settimane - ha detto la moglie di Salvatore Girone, Vania - scade tra due giorni. Loro hanno una parola: rientreranno in India con l'auspicio che, in breve tempo, la loro vicenda possa avere una soluzione positiva. Siamo sempre stati fiduciosi - ha aggiunto - e continuiamo assolutamente a esserlo perché confidiamo che questa brutta storia possa avere al più presto termine». «Partiranno perché sono militari - ha sottolineato il nipote di Latorre, Christian D'Addario -. La speranza è che questa vicenda possa concludersi presto e bene».

Una vicenda cominciata il 15 febbraio scorso davanti alle coste del Kerala, nell’India meridionale. Quella sera Salvatore Girone e Massimiliano Latorre, assieme ad altri 4 marò, si trovano a bordo della petroliera italiana Enrica Lexie in servizio di antipirateria. Poco prima del tramonto, questa le versione di Latorre e Girone, viene avvistata in avvicinamento un’imbarcazione che si teme possa essere di pirati.

Nonostante gli avvisi lanciati dalla Lexie, l’imbarcazione non si ferma. Girone e Latorre affermano di aver sparato colpi di avvertimento in aria. Dopo alcune ore dal porto di Kochi giunge la notizia della morte di due pescatori indiani a bordo di un peschereccio. Il presunto incidente avviene in acque internazionali ma stupidamente, o per calcolo commerciale, la Lexie, su invito della autorità portuali, torna a Kochi. Quattro giorni dopo Latorre e Girone vengono prelevati dalla polizia di Kochi.

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L'Italia mantiene la parola. L'Italia ha sopportato rinvii su rinvii inspiegabili.
Basta un'immagine satellitare per vedere dove stava la nave Enrica Lexie.
Le Autorità Italiane hanno avuto un profilo di grande responsabilità ed autocontrollo per salvare i nostri due militari e loro altrettanto.
Sono ottimi militari: obbediscono.
Non capisco il capo di imputazione "associazione per delinquere": militari a difesa della pirateria, dati di scorta ad una nave commerciale che trasporta materiale importante per il nostro Paese, non sono delinquenti associati per compiere azioni criminali... E' l'ennesimo affronto che stiamo sopportando e che fa tremare per la sorte di questi due giovani. 

ACEA ATO2: illegalità protetta dal Potere Politico?

Il comitato acqua pubblica di Velletri ha di certo tanti difetti. Ma ha anche una virtù, la memoria. Oggi leggendo l’ordinanza numero 538 del 28 dicembre scorso firmata dal sindaco Fausto Servadio, abbiamo deciso di ripercorrere la storia recente che ha portato a questa nuova “emergenza”. Annunciata, prevedibile, colpevole e carica di responsabilità, politiche e gestionali.
Sul banco degli imputati è finito il pozzo Le corti, che fornisce una notevole quantità di acqua – non più potabile – nella rete idrica – sempre fatiscente – di Velletri. C’è un primo dato che balza agli occhi: quella fonte non era presente tra gli interventi programmati da Acea nel 2008, un anno e mezzo dopo la concessione alla multinazionale romana. Ed è un fatto decisamente curioso. Occorre, a questo punto, ripercorrere la storia, con le carte alla mano.

Emergenza arsenico. Misteri e responsabilità politiche
Nel novembre del 2006 il comune di Velletri firma il verbale di consegna del sistema idrico integrato ad Acea Ato 2 spa. A pagina sei si legge: “Il Gestore (ovvero Acea) ha redatto il programma per i prelievi e le analisi di laboratorio delle acque prelevate dalle suddette fonti riservandosi di effettuare le analisi sulla rete di distribuzione successivamente alla presa in carico del servizio”.

Arriviamo al 2007, quando il sistema idrico di Velletri è già gestito da Acea Ato 2 spa. Nel piano di rientro presentato nel 2008 – vediamo come più avanti – è allegata una tabella con i risultati dei prelievi effettuati sui vari pozzi gestiti. Il pozzo Le Corti presenta, secondo Acea, questi valori il 22 giugno del 2007: Fluoruri 1,24, Arsenico 6,1 e Vanadio 17,7. Tutto nella norma, nessuno sforamento, nessuna emergenza. Questo accadeva cinque anni fa. I conti, però, non tornano. Nello stesso documento, a pagina 11, sono riportati i risultati dei campionamenti effettuati nei punti di prelievo. In via Le Corti – stessa zona dunque del pozzo in questione – abbiamo avuto tra il 2007 e il 2008 ben cinque sforamenti su sei prelievi riportati, per quanto riguarda il parametro Arsenico. Ma per Acea quel pozzo era perfetto.

Nel maggio del 2008 Acea presenta il primo studio per il rientro dei parametri Fluoruro, Arsenico e Vanadio nella normalità. Come abbiamo già visto il pozzo Le Corti non entra nella lista dei lavori da effettuare. C’è di più. Acea evidenzia come la rete di Velletri sia insufficiente, tanto da far prevedere per il 2015 una mancanza cronica di acqua (fabbisogno di 470,2 litri secondo contro i 350 litri secondo disponibili nel 2008; non disponiamo al momento di dati aggiornati). Di fronte a questo problema – il vero problema – la multinazionale si appella al tempo: “I tempi esigui per il rientro delle emergenze non sono compatibili con la completa risistemazione della rete”. Bisogna fare in fretta, dunque.

La strategia di Acea puntava allora decisamente al risparmio. Per quanto riguarda i pozzi privati con acqua fuori norma, saranno i proprietari “a realizzare e gestire gli impianti di potabilizzazione”. Dovranno essere loro, in altre parole, a spendere per investire e il piano di rientro presentato all’epoca teneva conto di questo impegno. E infatti quel piano su un buco nell’acqua: secondo Acea tutto doveva essere risolto entro il 31 dicembre 2010. Così non è stato.

Arriviamo al dicembre di due anni fa, quando i comitati dell’acqua scoprono il documento della Commissione europea che negava l’ultima deroga sull’arsenico, rendendolo pubblico. Scoppia il panico. Il 28 gennaio 2011 al comune di Velletri si tiene una riunione con tutti i soggetti coinvolti. Questa volta è chiaro a tutti che il pozzo Le Corti aveva notevoli problemi (nati quando? Visto che nel 2007 tutto era nella norma, secondo Acea), con una concentrazione di arsenico di 20,4 microgammi litro (dato del 24 gennaio 2011). Di nuovo arriva la promessa del gestore: : “Acea Ato 2 attuerà ogni possibile azione per realizzare tali impianti (superamento emergenza per pozzi Marmi e Le Corti, nda) prima dell’inizio del periodo estivo”. Ovvero prima dell’estate del 2011. Ovvero tutto doveva essere risolto un anno e mezzo fa.

Arriviamo all’epilogo, o almeno all’ultima puntata della saga. Il 13 novembre del 2012 Acea pubblica un report sui piani di rientro. Sono passati quattro lunghissimi anni dal primo studio del maggio 2008… Scrive Acea: “A causa dell’impossibilità di portare a compimento 2 interventi, tra quelli pianificati, entro la scadenza delle deroghe, una limitata porzione della popolazione dei comuni di Velletri e Lanuvio, dal 1° gennaio 2013 avrà acqua non conforme ai limiti previsti dal Dlgs 31/2001”. Ovvero non potabile. Leggendo l’ordinanza del sindaco appare chiaro quale parte della città è in emergenza: le vie fornite dal pozzo Le Corti.

Non sappiamo se in questa storia vi siano responsabilità amministrative o di altro genere. Non è nostro compito giudicare questi aspetti. Di certo ricordiamo bene le tante promesse di investimenti arrivate da Acea, non ultimo durante l’ultima conferenza dei Sindaci, quando si doveva discutere del profitto abrogato dai referendum (la remunerazione del capitale investito). Quella percentuale prevista dalla legge del 7% sugli investimenti realizzati alla fine è rimasta di fatto inalterata, beffando il voto di milioni di italiani. Di certo c’è una responsabilità dell’intera classe politica, che poco o nulla ha fatto per bloccare lo strapotere della multinazionale, che, mentre eroga acqua non potabile per una parte della popolazione di Velletri, chiude i rubinetti alle famiglie in difficoltà, che non riescono a pagare tutte le bollette. Il comitato acqua pubblica chiede ancora una volta che la gestione del sistema idrico torni nelle mani della collettività, mandando a casa un’azienda che non è riuscita a garantire la qualità minima del servizio.

Comitato Acqua Pubblica Velletri

!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!!

Ricevo e pubblico con amara indignazione questo documento.
Dunque ACEA ATO2 lucra e non reinveste.
Le conseguenze visibili le ho più volte documentate su questo blog: perdite continue nelle strade per tubature rotte, interventi per ripararle dopo giorni o settimane, fatturazioni gravate da IVA per servizi non resi, fornitura di acqua non potabile....
Tutto questo in un Paese che si dice industrializzato?! Un Paese che è Europeo? Siamo sicuri che non sta scendendo sempre più verso i sistemi africani? 
La classe politica consente tutto questo. Siamo NELLA TOTALE  ILLEGALITA'!
La democrazia è morta, ed anche questo l'ho già scritto. 
Cosa andremo a votare fra poco? Gente che pensa solo a come conquistare di nuovo la poltrona per sé e per le proprie congreghe! 
Gente che si mette sotto i piedi i Referendum.
Gente che se ne strafotte della salute pubblica.
ACEA non è un privato, a parte le azioni che ha Caltagirone naturalmente (parente di Pierferdinando Casini), e si comporta così... Ma non dimenticate che nei C.d.A. dei vari ATO ci sono gli uomini dei partiti. L'ho scritto, lo ripeto: l'ho constatato in prima persona militando dentro uno dei partiti che "si dice" più pulito degli altri!