lunedì 30 giugno 2014

L'Africa è un continente: l'Italia è piccola

Da: Il Messaggero - data del post

Migranti, 30 disperati morti asfissiati: in 600 ammassati in un barcone. Caso clinico sospetto a bordo

Sull'imbarcazione c'erano oltre 500 persone


Una trentina di vittime, corpi di profughi stipati all'interno di un peschereccio morti per avere respirato monossido di carbonio e un sospetto caso di malattie infettiva che ha fatto gridare all'allarme virale letale. 

Da ebola al vaiolo: sono state ipotizzate tutte le patologie, ma i medici specialisti sono rimasti a bordo della nave Orione, dove si trova il malato, anche se, per precauzione, il mezzo della marina militare non entra in un porto. Solo gli ultimi dati che arrivano dall'emergenza migranti, che non si ferma.

"Che fai? Li ributti in mare? Gli spari?"
Dice la gente con la ineluttabile accettazione di questo esodo biblico.
Certamente no!!
Ma altrettanto certamente non si può continuare ad accettare un'invasione che il nostro Paese non può reggere in nessun verso: non abbiamo le risorse per mantenerli, non abbiamo spazio... Poco più di 300.000 Km. quadrati non possono assorbire l'Africa.

Cosa fare dunque?
Non si può assistere al genocidio quotidiano da parte di traghettatori di esseri umani che ricordano gli schiavisti che andavano a requisire poveri neri in Africa, imprigionandoli nelle loro stive e traghettandoli come schiavi nelle piantagioni di cotone...

Si potrebbe emanare una legge speciale che preveda la fucilazione per l'indegno reato di strage di esseri umani, privati dei diritti più elementari, operato dai traghettatori..
Ma so già che i benpensanti contro la pena di morte non lo consentiranno mai, consentendo quindi la morte a mucchi dei traghettati..
Un'idea di civiltà ipocrita che gratifica solo chi la professa.

L'Europa degli egoismi se ne fotte dell'Italia e i soldi che dà per l'operazione di salvataggio sono risibili contro quelli che l'Italia versa nelle casse europee ogni anno.

I medici sul campo sanno benissimo che malattie scomparse e debellate in Italia si sono ripresentate in quantità notevole rispetto ad un tempo da quando sono arrivati soggetti defedati e malcurati dai Paesi dell'Est: un esempio è la tubercolosi. Da anni i casi sono aumentati. Non se ne parla come si dovrebbe per la solita ipocrisia: perché c'è il mito dell'accoglienza ed altre baggianate simili.
Ora con l'Africa ben altri rischi sanitari si potrebbero diffondere.
L'Italietta turistica di qualche anno fa, oggi con le difficoltà economiche un po' meno, che andava in vacanza in paesi africani dovrebbe ricordare le previdenze sanitarie che doveva affrontare prima durante e dopo quando visitava quei Paesi.

Alle menti di quell'Italietta non si affaccia il pensiero che i disperati dei barconi non vengono dai villaggi turistici ben controllati dove loro sono stati in vacanza, ma non si sa da dove, né come hanno vissuto, né da quale nulla sanitario provengono..

Quando arriverà l'epidemia vedrete come chiuderà le frontiere di Schengen l'Europa degli egoismi!

Spero di non essere Cassandra, lo spero per tutti noi. 

Pie donne - Fra realtà e letteratura

Il caso Guerinoni, venuto fuori grazie alla mappatura del DNA, ha scoperto scientificamente quello che si è sempre saputo e che passa di bocca in bocca nel mondo ristretto di ambienti circoscritti in città, (ma il mondo è piccolo e a volte il fato gioca brutti scherzi a chi vive nella menzogna), e di piccoli centri in provincia. Non c'è religione e frequentazione della chiesa che tenga... la morale è qualcosa di intimo e di personale e certi soggetti sono incorregibili.
Pubblico qui, come esempio, questa novella già pubblicata nella raccolta "Mostri e Ritratti" in cartaceo pochi anni fa.
Vi si narrano fatti reali di un luogo indefinito della provincia italiana, fatti che, come dimostrato nel recente caso di cronaca legato alla uccisione di Yara, sono costume comune nelle valli del nord, come nei paesini del centro e del sud di Italia. 


Pie donne

Il paesino rurale era poggiato sul fianco della collina, le poche case sparse erano collegate tra loro da strade sassose e sconnesse, sporche del letame lasciato dai muli, dai somari, dai cavalli, dagli armenti e dalle mucche. Unico edificio imbiancato era la chiesetta che si ergeva col suo piccolo campanile nell’aia grande, che costituiva anche la piazzetta del paese. Le altre case, nere del fumo dei camini, erano costruite in pietra grigia e risalivano al 1200.
Le famiglie che l’abitavano erano dedite alla coltivazione dei campi ed all'allevamento del bestiame solo per uso familiare. Vivevano così, semplicemente. Tutti possedevano la casa dove abitavano. Il prete veniva la domenica e tutte le feste comandate a dir Messa. Tutti erano credenti e cattolici.
Nella chiesetta ogni famiglia aveva il proprio banco. Le famiglie più ricche avevano il banco fatto con legno buono, ben lavorato e sopra c’era la targhetta metallica con il nome. Nessuno si sedeva nel banco di un altro a meno che non fosse esplicitamente invitato. A turno le famiglie si prendevano cura della chiesetta: si occupavano di tenerla pulita ed in ordine e preparavano l’altare per la Messa, cambiando i fiori appassiti con quelli freschi che coltivavano nei propri orti, lavando le ampolle per l’acqua e per il vino e riempiendo quest’ultima con il loro vino migliore.
Una delle donne della famiglia di turno si preoccupava di assistere il prete nella vestizione e lavava e stirava i paramenti in cotone e lino, riponendo con cura quelli ricamati in oro ed argento nelle cassapanche della chiesa. Si dedicavano a questa bisogna con devozione e si sentivano onorate del compito. 
Dopo la S. Messa il prete veniva invitato a colazione da una delle famiglie del paese: facevano a gara per avere questo onore. Apparecchiavano con le tovaglie ricamate a mano del corredo di nozze custodito gelosamente, con la tazza del servizio buono e tiravano fuori il dolce fatto in casa la sera prima e qualcuna chiedeva al prete se voleva l’uovo fresco sbattuto con un goccio di Marsala. Il prete accettava: era piacevole essere vezzeggiati come bambini. L’uovo fresco, negato al figlio gracile, veniva sbattuto per il prete e la bottiglia del Marsala, usato con il contagocce, veniva tirata fuori dallo stipo. Il prete non era sempre lo stesso: a volte veniva don Ivano, un vecchietto di un paesino della valle, a volte don Cosimo, anch’egli veniva da un paese a valle, in riva al fiume.
Don Ivano aveva un viso pallido e tondo, la tonaca spesso impolverata. Lo andava a prendere un uomo del paese con il mulo o con il somarello: intorno al 1955 ed anche oltre non vi erano che tratturi e mulattiere per raggiungere il paesino. Nei mesi caldi si vedeva arrivare don Ivano sul somarello, come Cristo a Gerusalemme, con un fazzoletto bianco legato intorno al collo a raccogliere il sudore ed un altro, con quattro nodi fatti agli angoli, messo sulla testa pelata a proteggersi dai raggi del sole. Davanti l’uomo, scuro negli abiti e nella pelle cotta dal sole, che tirava per la cavezza il somaro. 
    Non appena arrivava il prete uno della famiglia di turno suonava la campana. Veniva suonata altre due volte ad intervalli di dieci minuti, mentre il prete si preparava, poi iniziava la Messa.
Dalle case uscivano, fra un rintocco e l’altro, le donne per prime, con l’abito della domenica ed il libro della messa in una mano, chi sapeva leggere, e nell’altra il fazzoletto per il capo. Si affrettavano seguite dai figli più piccoli, anche loro con gli abiti puliti della festa, si incontravano cammin facendo e si salutavano chiamandosi per nome. Entravano compunte nella ombrosa chiesetta, intingevano la mano nella piccola acquasantiera e si segnavano frettolosamente con il gesto della croce, piegando il ginocchio volte verso l’altare e si affrettavano al banco aggiustandosi il fazzoletto sul capo. Avevano un’aria fervida ed intenta: pregavano. Poi arrivavano gli uomini che fino all’inizio della Messa erano rimasti fuori a chiacchierare nello spiazzo antistante la chiesa: tutti sbarbati e profumati di pulito nei loro abiti buoni. Entravano con il cappello in mano, in fila per intingere le mani nell’acqua benedetta, si segnavano con pudore poi si sistemavano in piedi in fondo alla chiesa. Solo i vecchi ed i bambini sedevano nei banchi con le donne.
Ecco che entrava anche “Morsichella”, la donna considerata la puttana del paese. In realtà si chiamava Maria ed era una donna con una faccia dai lineamenti forti, la pelle scura ed uno splendido sorriso. Aveva di natura un temperamento caldo e sensuale che era stato apprezzato dai maschi del posto per un verso ma che, per la mentalità ipocrita e retriva, era stato disprezzato per un altro. Era rimasta incinta, si diceva, di un uomo sposato con una donna nata in paese, ma che viveva col marito in città e tornava solo d’estate, ed era stato subito scandalo. La madre, una vedova che si era risposata, non sapeva come fare per difendere la figlia dalla sarcastica malignità della gente. Tutti si conoscevano da sempre, da generazioni, ma non c’era nessuna pietà per chi cadeva. La povera donna mandò la figlia in città, presso una parente, per sottrarla alla curiosità dei compaesani ma, all’approssimarsi del parto, la ragazza prese la corriera e tornò a casa.
La madre andò a prenderla alla fermata, fece in modo che arrivasse con le ombre della sera, ma la voce del suo ritorno si era sparsa comunque ed alcuni uscirono in strada per vederla passare con il vergognoso pancione. Qualcuno con rozzezza sottolineò la vergogna di Maria e la madre, oppressa, sbottò per difenderla: “Anche la moglie di Matteo è incinta!” Matteo era colui che l’aveva ingravidata. L’inusitata difesa fu ricusata:”Ma quella è sposata!!” La moglie dell’adultero conosceva le infedeltà di suo marito e le subiva, quando le fu riportata la frase della madre di Maria non se la prese nemmeno troppo e disse quasi timidamente: “Certo fra poco partorirò anch’io, ma io sono sposata...” A lei nacque una bimba, bionda e con gli occhi azzurri come Matteo, ed a Maria un maschietto, anche lui biondo e con gli occhi azzurri.
Maria, condannata ad un ruolo dall’ambiente, provò a sposarsi con uno di fuori. Il tempo di mettere al mondo un altro innocente ed il matrimonio era finito. Dopo ebbe una relazione con un altro uomo sposato del paese, un tale che di sua moglie diceva che “a letto era come avere fra le braccia un sacco”. Poi anche questa relazione finì. Ormai sulla strada della maturità, un po’ sfiorita, si mise con uno che viveva fuori del paese, in un casolare isolato, solo con la madre. Scapolo, di lui si diceva che andava con le galline e che con quel sistema ne aveva fatta morire più d’una. Era un uomo più giovane di lei, stupido, ottuso e rozzo.
Non gli parve vero di avere una donna in casa e cacciò la vecchia madre che non voleva “la puttana” in casa sua. Prima di cacciarla ci fu una lite in cui lui picchiò sua madre duramente. Intervennero i suoi fratelli, che abitavano tutti in città, e si ripristinò la presenza della madre in casa, ma Maria non ne uscì. 
Lavorò sodo, Maria, aiutando il suo rozzo convivente nei campi ed a sopportare meglio la vita; la cosa convenne anche alla vecchia madre che trovò in lei un valido appoggio per la conduzione della cascina.
Delle donne che entravano in chiesa la domenica Maria era la sola che aveva vissuto alla luce del sole una vita di promiscuità.
C’era l’Elvira, per esempio, che era stata fidanzata tutta la vita con Serafino, anche se aveva un marito e due figli di cui la prima, una bella ragazza, molto somigliante a Serafino. Il marito faceva il finto tonto, anche se in paese parlavano di quei due come di una coppia, tant’è vero che la gente di fuori pensava che l’Elvira non fosse sposata, visto che accostavano il suo nome sempre a quello di Serafino che era scapolo.
E la moglie di Vittorio? Chi l’avrebbe mai detto che una donnetta scialba, grassottella e bianchiccia, sposata ad un uomo bello, alto, magro e bruno, di notte sgusciasse dal letto coniugale per andare a gettarsi fra le braccia di un certo giovanotto che si chiamava Quinto. Forse Vittorio, pur bello, non l’appagava e preferiva dormire profondamente.....Chissà?! Quando Quinto si sposò raccontò i suoi trascorsi galanti alla moglie e quella raccontò in giro.....e così via....
Per non parlare di Piera. Tutti sapevano che aveva sempre riempito di corna il marito con tutti, anche con forestieri. La vita era dura e le consolazioni poche: solo le tempre oneste e gli spiriti forti resistevano al richiamo della carne, che era senz’altro più forte del richiamo delle leggi di Dio che ascoltavano compunte la domenica dalla bocca del prete.
Piera aveva fatto finire anche il fidanzamento della sua figlia più grande, comportandosi come la Lupa del Verga, ed il suo figlio più piccolo somigliava proprio all’ex-fidanzato della sua infelice figlia.
E che dire di Elisabetta? Uno dei suoi figli era uguale, anche nella voce, a Livio, un tipo che aveva molto successo con diverse donne sposate del paese perché, si diceva, era ben provvisto “da quelle parti”. Uno dei figli avuti dalla moglie era quasi identico a quello di Elisabetta e la gente, senza cattiveria, a volte li scambiava chiamando l’uno con il nome dell’altro. Quando poi si accorgeva dell’errore, siccome era del tutto involontario, si confondeva e si vergognava, non essendo stato lo scambio intenzionale. Ridacchiare e malignare era ammesso, ma la cattiveria doveva essere volontaria per essere giusta, non involontaria. Anche questo era un chiaro fallimento del prete e della religione che avrebbero dovuto inculcare in quella gente un senso morale. La moglie di Livio era serenamente cornuta, un po’ meno il marito di Elisabetta, che l’aveva anche picchiata più volte, senza però riuscire a correggerla. Il pover’uomo aveva cresciuto quell’anatroccolo fra i paperotti della sua nidiata e salutava Livio quando lo incontrava e gli sorrideva pure. Bisognava mantenere la faccia. Inutile fare il matto come il marito di Piera che una notte si voleva buttare nel fiume ed aveva tenuto desto tutto il paese che l’era andato a cercare con le lanterne. A voce alta dicevano che era il vino che gli aveva dato alla testa, che faceva così perché era ubriaco, ma sussurravano che era per la moglie che lo tradiva ed era una puttana.
Anche Pasqualina non mancava mai alla S. Messa. Ormai era vecchia e brutta, ma quando aveva circa quarant’anni attirò nella stalla un giovinetto di sedici anni e gli tolse la verginità. Una volta diventato uomo questi si sposò e raccontò a sua moglie la sua prima volta, la moglie raccontò alla figlia e così via.... Alla fine si sapeva tutto di tutti: un paese piccolo e tanti adultèri.
Pasqualina ebbe molti figli con suo marito ed uno di questi, un brav’uomo, sposò una ragazza della vicina regione Marche.  Questa giovane, dopo la nascita di due figli, si mostrava scontenta ed annoiata di vivere in quel piccolo borgo, ma ad un tratto cambiò: sorrideva, era allegra, ma sorrideva un po’ troppo al solito Livio.
Si seppe che il superdotato del paese aveva fatto un’altra “vittima”. Il figlio di Pasqualina fece la valigia e se ne andò. Abbandonava tutto: aveva un negozio con annessa osteria e qualche camera da locare ai pochi che si avventuravano lassù.
Qualcuno lo inseguì e lo fermò lungo la strada scoscesa che portava giù a valle, alla strada statale dove passava la corriera. Lo convinse a tornare non si sa con quali argomenti, forse i figli..... E lui tornò. Ma non fu più come prima: un velo di tristezza era sceso sul suo viso ridente, prima gli ridevano anche gli occhi che aveva di un bel colore celeste.  

*****

Accadde un fatto clamoroso in uno dei paesini della valle da cui veniva don Cosimo: suo fratello lo sorprese con sua moglie in flagrante adulterio! Fu uno scandalo di cui tutti i paesini lungo il fiume e sui colli intorno parlarono. Prete! E per di più con la cognata! Il fratello sconvolto dal doppio tradimento voleva partire, lasciare tutto: aveva una trattoria rustica con annessa locanda, vi si mangiavano delle meravigliose trote fresche cucinate dalla sua sciagurata moglie, ma lui voleva andarsene, abbandonare tutto! 
Poi le acque si calmarono, tutto si aggiustò, forse qualcuno intervenne, gli parlò.... Rimase. 
Suo fratello, dopo un periodo di tempo neppure tanto lungo, tornò a dir messa. I fedeli guardavano il suo faccione rubizzo e ascoltavano quel che diceva durante la predica, non si sa con quale credibilità. Il cerchio si era chiuso.