lunedì 29 luglio 2019

Mondo a rovescio


Agosto 2015.
In rosso gli stati nei quali la pena di morte è in vigore.
In arancione gli Stati nei quali la pena di morte è in vigore ma non vi sono esecuzioni da 10 anni.
In blu gli Stati nei quali la pena di morte è stata costituzionalmente cancellata.
In azzurro gli Stati nei quali la pena di morte è in vigore ma viene applicata una moratoria.
In verde chiaro gli Stati che hanno abolito recentemente la condanna a morte ma la decisione non è retroattiva.
In verde scuro gli Stati nei quali la condanna a morte non è prevista.


Il Governo Federale prevede l'utilizzo della pena capitale mentre per le forze armate l'ultima esecuzione risale al 1976.
I crimini punibili con la pena capitale a livello federale sono attualmente: alto tradimentoomicidio plurimoomicidio aggravatospionaggio o favoreggiamento nella circolazione di informazioni che danneggiano il sistema di sicurezza nazionale; omicidio di agenti federali, poliziotti, militari, pompieri, omicidio compiuto in alcuni luoghi definiti sociali, come i parchi nazionali; atti o favoreggiamento di terrorismo ecc. In alcuni particolari stati la pena di morte è applicabile anche per reati come l'omicidio premeditato, il traffico di droga, l'omicidio a seguito di stupro o tortura della vittima, l'omicidio di minorenni, l'abuso sessuale di minori recidivo, ecc.


La Polizia in USA ha il grilletto facile, come attestano innumerevoli casi documentati.
Da noi è a rovescio:
se un poliziotto per difesa spara e uccide durante un'operazione di Polizia ha chiuso!
Fine lavoro, processi, scarsa attenzione per le attenuanti.
Se un civile uccide un poliziotto o un militare in USA è reato federale, non importa in quale Stato sia avvenuto il delitto.
Nell'Italietta ridotta come è ridotta oggi, da chi deve difenderci da una società violenta e corrotta si pretende che sia un agnello sacrificale; alcune forze politiche di questo infelice Paese stanno sempre con il fucile metaforicamente spianato contro Polizia di Stato e la Benemerita!
Così si arriva a respirare un'aria di intimidazione verso chi deve mantenere l'ordine e la legalità, che consente al peggio dell'umanità di sentirsi libera di agire.
Due "fighetti" USA sbarcano in Italia avendo in valigia, pare, addirittura una baionetta che verrà usata per trafiggere 11 volte un bravo giovane uomo che in 35 anni di vita aveva fatto solo bene!
I balordi si giustificano dicendo "che non avevano capito che era un Carabiniere"..
Ah! Allora di certo sarà un'attenuante!
Se il fighetto, sotto effetto di psicofarmaci perché gli avevano dato la "sola" per la sua dose di droga, non aveva capito è di sicuro colpa del Carabiniere ucciso che non si era spiegato bene! Magari in inglese, tanto era il difensore dell'ordine in un Paese dove un Parlamento Italiano legifera così ad esempio

Revenge porn,  locuzione inglese "revenge porn", tradotto in vendetta pornografica

Eh già! Il Parlamento Italiano legifera in inglese! Alla faccia di tutti quegli Italiani che a volte non sanno neppure esprimersi bene in Italiano, a sentire certe interviste fatte per strada dai nostri cronisti RAI!
Siamo guidati da Pulcinella, a livello politico e sui media. Infatti pur essendo media parola latina i colti giornalisti la pronunciano all'inglese: "midia", facendo ridere chi la cultura ce l'ha.
In questo Paese dunque i Poliziotti, i Carabinieri si permettono di mettere le manette a chi di notte, cercando droga, ha fatto un casino, fino ad accoltellare un tutore dell'ordine non una volta: ben 11 volte e in parti vitali!
Ma che torturatori!
Poi l'hanno pure bendato perché non vedesse cose, nella stanza della Caserma dei Carabinieri dove era stato condotto, che potessero ispirargli risposte lontane dalla verità cercata nell'interrogatorio. Vergognoso! Subito va punito il Carabiniere che ha fatto ciò!
Chissà perché, colpa di quella poca cultura che ho, mi viene in mente la poesia "La vergine cuccia" del Parini...
E il mondo scandalizzato da tanta ferocia della nostra Benemerita pubblica la foto del povero assassino ammanettato e bendato per pochi minuti.
Soprattutto in USA si potranno scandalizzare, dato che loro sono molto sbrigativi... e il "fighetto" assassino con loro, presumibilmente, non ci sarebbe mai entrato nella stanza dell'interrogatorio, ma sarebbe rimasto steso in mezzo alla strada da un colpo di pistola.

giovedì 25 luglio 2019

Lidia Macchi e il suo fortunato assassino

Delitto Lidia Macchi, assolto Stefano Binda. Dopo 32 anni l'omicidio resta un mistero



Delitto Lidia Macchi, assolto Stefano Binda. Dopo 32 anni l'omicidio resta un mistero
Dal Quotidiano "LA REPUBBLICA"





Debbo dire che sono sollevata da questa assoluzione, perché mi è incomprensibile come si possa imbastire un processo su una specie di poesia inviata da qualcuno e, da perizia calligrafica, scritta da Binda, che ora, visto che è stata la pietra miliare della sua accusa, nega anche di averla scritta lui.
Addirittura comminare su questo un ergastolo, quando non lo hanno dato ad assassini condannati per ben altre pesanti prove o indizi univoci, gravi e concordanti.
Lidia aveva fatto visita ad un'amica ricoverata in Ospedale. E' arrivata alla sua auto parcheggiata nel parcheggio dell'Ospedale, male illuminato alle otto di una sera d'inverno.
Da quel momento il buio fino al ritrovamento, la mattina dopo, della sua Fiat Panda con il suo corpo, violentato sessualmente, appena fuori di esso ricoperto dall'assassino con un cartone.
La ragazza risultò vergine all'esame autoptico e, da vari segni, che si era difesa strenuamente.
Dal liquido seminale dell'assassino stupratore non si riuscì, con i mezzi dell'epoca, a ricavare un DNA completo: era il 1987.
Nelle notizie frammentarie raccolte qua e là nei giornali ho letto che il mostro Piccolomini, molestatore sessuale delle proprie innocenti figlie ancora bambine ed in seguito autore di due omicidi, sarebbe stato prosciolto perché dei reperti lasciati dall'assassino non corrisponderebbero a lui.
Ma nemmeno a Binda mi pare, dato che l'accusa non aveva questo importante riscontro di prova attribuibile a lui, che è stato condannato all'ergastolo in Assise solo per quello sproloquio, definito poesia, inviato ai genitori di Lidia il giorno del funerale.

Sembra che la grafia sia attribuibile a quella dell'accusato, ma anche se l'avesse scritta lui, che faceva uso di eroina, come può dirsi una prova che l'assassino è lui?
Come dice l'ottima Roberta Bruzzone questa lettera non descrive le circostanze dell'omicidio, come ha inteso leggerci qualcuno, ma si presta nella sua nebulosità a qualsiasi interpretazione.
Questo il testo scritto in modo leggibile per tutti:
IN MORTE DI UN’AMICA
LA MORTE URLA
CONTRO IL SUO DESTINO.
GRIDA DI ORRORE
PER ESSERE MORTE :
ORRENDA CESURA ,
STRAZIO DI CARNI .
LA MORTE GRIDA
E GRIDA
L’UOMO DELLA CROCE .
RIFIUTO ,
IL GRANDE RIFIUTO .
LA LOTTA
LA GUERRA DI SEMPRE .
E LA MADRA ,
LA TENERA MADRE
COI FRATELLI IN PIANTO .
PERCHE’ IO .
PERCHE’ TU .
PERCHE’ , IN QUESTA NOTTE DI GELO,
CHE LE STELLE SON COSì BELLE,
IL CORPO OFFESO,
VELO TI TEMPIO STRAPPATO ,
GIACE .
COME PUOI RIMANERE
APPESO AL LEGO .
IN NOME DELLA GIUSTIZIA ,
NEL NOME DELL’UOMO
NEL NOME DEL RISPETTO PER LUOMO
PASSI DA NOI IL CALICE .
MA LA TETRA SIGNORA
GRIDA ALTE
LE SUE RAGIONI.
CONSUMATUM EST
QUESTO LO SCOTTO
DELL’ANTICHISSIMO ERRORE.
E TU
AGNELLO SENZA MACCHIA .
E TU
AGNELLO PURIFICATO
CHE PIEGHI IL CAPO
TIMOROSO E DOCILE ,
AGNELLO SACRIFICALE ,
CHE NULLA STREPITI ,
NON UN LAMENTO.
EPPURE UN SUONO ,
PERSISTE UNA BREZZA
RISTORO ALLE NOSTRE
ARIDE VALLI
IN QUESTA NOTTE DI PIANTI.
NEL NOME DI LUI ,
DI COLUI CHE CI HA PRECEDUTI,
CROCIFISSA ,
SOSPESA A DUE TRAVI .
NEL NOME DEL PADRE
SIA LA TUA VOLONTA’
"Tuttavia, ritenere che chi ha scritto la lettera sequestrata sia l’autore del delitto, mi lascia perplessa, anche perché ho avuto modo di leggerla e penso che vi siano più chiavi di lettura altrettanto plausibili. Mi auguro che la procura abbia in mano qualcos’altro perché basare la misura cautelare e la valutazione tecnica sulla lettera mi pare un elemento non in grado di reggere anche in fase di grado di giudizio. Vedremo la Cassazione come si pronuncerà"
Roberta Bruzzone

In effetti, dal momento del ritrovamento al funerale, qualche giorno è passato, voci su dove l'avevano ritrovata e come era stata uccisa ne erano girate.. In questo scritto si dice solo che era una notte di gelo.. Non è difficile arguirlo per chi viveva in quei luoghi tanto da conoscere l'indirizzo dei genitori per poter spedire loro questo criptico messaggio intriso di riferimenti religiosi.
Per me dovrebbero rivedere la pista di Piccolomo che alle povere figlie aveva confessato questo delitto.
E' stato prosciolto perché le tracce sul risvolto della giacca di Lidia non erano attribuibili a lui, ma nemmeno a Binda però, che è stato ugualmente processato e condannato all'ergastolo.




domenica 14 luglio 2019

Sisma - Romanzo Capitolo III

Sisma
Romanzo inedito di Rita Coltellese
pubblicato a puntate su questo sito con Amministratore Unico Rita Coltellese su contratto con Google Blogger
Il tuo nome di dominio G Suite, ritacoltelleselibripoesie.com, è stato rinnovato correttamente con godaddy per un anno. Puoi continuare a utilizzare G Suite fino alla data 26 dicembre 2019. L'acquisto verrà addebitato sul tuo conto.
Il team di G Suite © 2018 Google LLC Google e il logo di Google sono marchi registrati di Google Inc.

Il Romanzo viene pubblicato per capitoli, ad ogni nuovo capitolo verrà scritta la data di pubblicazione del precedente in modo che il lettore possa, tramite il calendario che appare a destra, ritrovare facilmente il precedente.


SISMA

Capitolo III
(Il Capitolo II è stato pubblicato il  26 giugno 2019)

Il lungo nastro della strada nel suo ricordo era imbrecciato di bianchi sassi e privo di ombra, giacché, nello scavare la strada sul fianco della collina, avevano fatto saltare con la dinamite anche la vegetazione. I rari alberi rimasti nei terreni che costeggiavano il percorso stradale di accesso al paese erano stati tagliati e venduti dai proprietari come legname per sete di denaro.
Ora la strada era asfaltata ed erano ricresciuti alberi, cespugli e vegetazione.
Le tornarono alla mente le noiose passeggiate con qualche compagna estiva del posto lungo quel nastro di un bianco abbacinante, senza un punto d'ombra per ristoro. Ormai adolescente non era più felice di tornare in vacanza in quel luogo come da bambina, quando quel posto era la libertà assoluta di uscire di casa e gironzolare in un paese dove tutti si conoscevano da generazioni e bastava chiedere di persona in persona per ritrovare qualcuno e sapere dove fosse.
In uno dei quei pomeriggi, avendo accanto una compagna la cui immagine non ricordava, furono sorpassate da un'Ape guidata troppo velocemente su quei sassi bianchi da Nazareno, un giovane buono, dall'animo sempre pronto alla celia, allo scherzo, per ridere con spirito. Sotto i loro occhi stupefatti l'Ape sbandò spostandosi tutta alla propria sinistra e, tagliando in rapida diagonale la corsia opposta, deserta come tutta la strada, scendere lungo il ripido costone per cadere di sotto, là dove il nastro bianco, formando un'ampia curva, tornava indietro a circondare il costone stesso.
Sara e la sua accompagnatrice, rimaste basite dall'assurdo incidente, costernate e quasi piangenti corsero lungo la strada fino alla grande curva che formava il tornante, convinte che dopo di essa sarebbe apparso ai loro occhi Nazareno morto o gravemente ferito.
Quale fu la loro meraviglia, lieta, nel trovare Nazareno in piedi, accanto all'Apetta mezzo sfasciata, con un rivolo di sangue sulla faccia impolverata che dalla fronte gli scendeva fino al mento: sorrideva con la sua grande bocca simpatica e non diceva nulla. Sara e l'altra, felicemente sorprese, gli fecero mille domande: se stava bene, se dovevano chiamare qualcuno... Ma lui, sempre con quel sorriso tranquillo e sereno, le rassicurò e, ripresa la ormai scassata Ape, fece il secondo miracolo di rimetterla in moto e con essa partì scoppiettando, proseguendo nella direzione in cui doveva andare da prima di "accorciare", con quell'incomprensibile incidente, la strada da percorrere.
A sera Sara lo vide seduto fuori dalla sua casa, all'epoca la migliore del paese, con un cerotto in fronte. Sempre tranquillo la rassicurò sul suo stato di salute: aveva solo un taglietto che aveva lavato dalla polvere, disinfettato ed incerottato: niente ospedale, per carità, troppo lontano, e dunque niente punti.
In effetti gli usi del tempo e del posto erano tali che si ricorreva all'ospedale, distante una decina di chilometri, solo per disturbi gravissimi, incidenti quasi mortali e parti.
Nazareno era un bel ragazzo, somigliante a sua madre, fattrice di una numerosa figliolanza.
Insieme al ricordo di quello strano incidente ora pensava che allora non avrebbe mai immaginato quello che, con la semplicità che la distingueva, sua madre le aveva rivelato: la madre di Nazareno era la donna, allora più che trentenne, sposata e già mamma di alcuni dei suoi figli, che aveva tolto la verginità a suo padre allora sedicenne. Confidenza che Sara trovava normale che suo padre avesse rivelato a sua moglie... Ma dopo non poteva guardare senza meraviglia quella donna ormai non certo avvenente, vestita con abiti contadini, piuttosto trascurata, e immaginarla mentre attirava nella sua stalla suo padre adolescente.
Le dava inoltre un certo turbamento guardare il marito di lei, un uomo dai modi garbati e spicci ad un tempo che, quando era morto suo padre senza diventare vecchio, le aveva detto parole di stima verso di lui: "Era uno intelligente, non come tutti questi altri: dopo la guerra eravamo solo io e lui che ci davamo da fare qui, commerciavamo." Lei lo aveva ringraziato per l'apprezzamento nei riguardi di suo padre sentendosi però un po' in colpa e un po' a disagio per quel segreto rivelatole da sua madre.
Alcuni di questi segreti in un posto così circoscritto restavano sotto la cenere, e questo era uno di essi, ma altri venivano passati di bocca in bocca, silenziosamente accettati, mai rivelati apertamente, proprio perché certezze, godevano di una strana forma di rispetto: forse perché parlarne a voce alta avrebbe umiliato delle persone, minando equilibri familiari che comunque andavano avanti, sia pure nella consapevolezza di una non normalità.
Era questo il caso della famiglia di Emanuele.  
Eppure certe immagini, che ad una mente innocente rimangono inspiegabili, si fissano nella memoria per qualcosa in esse che è come una stonatura, una stranezza minima, e tornano ad incasellarsi in un insieme quando questo viene rivelato: e sono spiegate.
Ad esempio un modo strano con cui Natalina, la madre di Nazareno, salutò una volta suo padre: con un sorriso e chiamandolo per nome con una confidenziale simpatia superiore a quella del rapporto apparente che due compaesani, che si vedevano ormai solo d'estate, potevano avere. Quel sorriso e quel tono colpirono Sara appena adolescente, pur non avendo ancora ricevuta la confidenza di sua madre.
Dopo capì che era il segno di quello che c'era stato tra loro, molto tempo prima.  
Quando i ragazzini del paese parlavano delle coppie di innamorati nominavano, insieme a quelle di fidanzati note a tutti, il nome di un fratello di sua madre, scapolo, e della madre di Emanuele. La sua mente infantile, pur ignara di tutto, non capiva quello strano accostamento: come faceva suo zio Gabriele e fare coppia con Erminia? Ella aveva un marito, Quinto, pallido e con i capelli neri, e due figli: Emanuele e Gabriella, di qualche anno più grande di Emanuele.
Suo zio Gabriele parlava in perfetto italiano, a differenza degli altri abitanti del paesino che, quando non si esprimevano in dialetto e si sforzavano di parlare in lingua, conservavano sempre un'inflessione dialettale e non eccellevano in sintassi...
Gabriele era atipico con quel suo parlare senza accento di alcun tipo, e aveva un eloquio forbito, sicuramente affascinante. Era inoltre un bell'uomo, alto magro, dinoccolato, con i capelli e gli occhi di un nocciola dorato. Erminia ne era palesemente innamorata e non riusciva a nasconderlo: come lo guardava, come pronunciava il suo nome... Sara non capiva come questo potesse coesistere con il silenzioso Quinto che in paese, dove ognuno aveva un soprannome, chiamavano "il Sordo". Egli si mostrava tranquillo e, via via che Sara cresceva e che le informazioni su quella coppia si delineavano meglio, ella notava altre stranezze. Come quella volta che Erminia, che la salutava sempre con simpatia e trasporto, incontrandola per via insistette perché andasse a vedere i lavori di ristrutturazione che aveva apportato alla sua casa. Timidamente Sara, allora adolescente, la seguì e con imbarazzo salutò Quinto che era in casa, il quale, in quell'occasione, sorrideva educatamente all'ospite mentre Erminia mostrava contenta le scale nuove e lucide, i muri dell'antica casa rurale risalente al 1300 abbattuti per creare con nuove tramezzature altri spazi, tutto pagato con i soldi di Emanuele, che lavorava nella ditta di uno zio paterno di Sara laggiù in città, e mandava i soldi ai genitori che non avevano reddito, vivendo solo del loro lavoro di agricoltori diretti aiutati da Gabriella.
Ora, dalle immagini trasmesse dai vari filmati sulla zona del sisma, quella casa ristrutturata senza i dovuti permessi da richiedere al Comune, come quasi tutte le ristrutturazioni fatte in quelle antiche costruzioni da muratori più o meno improvvisati, era in briciole. Sara aveva riconosciuto, fra i sassi e i cordoli di cemento posticci, una balaustra in legno di un soppalco che Erminia le aveva mostrato con felice orgoglio..
Come i piccoli sogni di quelle persone erano stati brutalmente distrutti dal terremoto.
Forse il pallido e silenzioso Quinto e la sorridente Erminia prima, incomprensibilmente acida verso Sara dopo, erano morti da tempo e nulla avevano visto di quella distruzione.
Ricordò che dietro la maschera di tranquillità Quinto doveva covare un odio frustrato nei riguardi di Gabriele e della sua genìa, e fra questa doveva annoverare anche l'innocente Sara e le sorelle dell'amato di sua moglie.
Glielo facevano pensare tre distinti episodi: uno lo raccontava con sconcerto sua madre. 
Quinto si trovò a passare sotto le finestre della casa di Gabriele mentre, secondo gli usi del tempo, gettavano dell'acqua sporca dalla finestra, non essendoci tubature né di carico né di scarico delle acque. Era acqua rossa del sangue mestruale della più piccola delle sorelle di Gabriele, che aveva un mestruo particolarmente abbondante e all'epoca si usavano pannolini che poi andavano lavati.
Quinto fu udito gridare la frase: "E che ci stanno le "sbortitore"?!!!" In dialetto voleva dire donne che hanno abortito.
Le sorelle di Gabriele si adontarono per questa frase immotivatamente offensiva e infamante, ma non fecero nulla contro il velenoso autore di tale insinuante insulto.
L'altro episodio riguardava proprio lei, Sara, nipote di Gabriele, che non capì il comportamento di Quinto, dovette pensarci dopo per trovare una possibile spiegazione.
D'estate si andava tutti a vedere gli spettacoli televisivi più noti, tipo "Lascia o raddoppia?" e altri, nella saletta dell'unica locanda, negozio di alimentari, spaccio e osteria del paese, gestita dalla famiglia di Natalina. Ci si sedeva su delle sedie a pioli messe in file, una dietro l'altra. Spenta la luce per vedere meglio la TV in bianco e nero si assisteva allo spettacolo. Sara avrà avuto non più di quattordici anni e ad un certo punto sentì qualcuno muovere la sua sedia poggiando, da dietro, i piedi sul piolo che legava le due zampe del retro della sedia dove sedeva. Si era girata sorpresa e aveva visto che era il padre di Emanuele. Aveva pensato ad un gesto involontario che, con il suo semplice girarsi, sarebbe cessato, invece si ripetette e Sara, meravigliata dalla maleducazione maldestra di quell'uomo, si girò di nuovo, stavolta con espressione seccata, ma quello non smise, anzi dava continuamente scossette alla sua sedia disturbando la sua tranquilla visione della trasmissione e, quando Sara si rigirò per la terza volta con espressione fra l'arrabbiato e l'interrogativo, vide sul volto di quell'uomo, che per età poteva esserle padre, un sorrisetto fra il maligno e lo sfrontato a sottolineare che la cosa era proprio voluta, con quali intenti Sara non lo capì, visto che con quell'uomo non aveva mai avuto confidenza.
Dopo, ripensandoci, cercò di capire quale fosse l'intento di quell'uomo umiliato da sua moglie e da suo zio, forse lo stesso di screditare le sorelle di Gabriele con quella frase cattiva, quanto insensata, lanciata passando sotto le finestre dell'amante di sua moglie?
Sara non lo sapeva, ma a questo punto le tornò il ricordo di un'immagine che le si era stampata nella mente in modo indelebile per la sua anomalia ai suoi occhi di bambina molto piccola.
Lo zio Gabriele si avviava con un secchio verso la stalla dei maiali per portare loro il pasto. Lei gli aveva chiesto: "Vai a dare da mangiare ai maiali?"
Lui alla piccola aveva risposto distrattamente di si, continuando a camminare con il suo passo lento e dinoccolato. La bimba gli era andata dietro perché voleva vedere i maiali mentre mangiavano, ma con le sue gambette corte non riusciva a stare con il passo accanto allo zio. Era rimasta un poco indietro trotterellandogli dietro a distanza di alcuni metri. Vedeva suo zio camminare davanti a sé lentamente. Ad un tratto una figura adulta la superò frettolosamente sulla sua sinistra ignorandola, camminando a passo veloce raggiunse suo zio e lì rallentò camminandogli accanto. Era Erminia che recava anche lei il secchio per il pasto dei maiali, essendo quella l'ora di quell'incombenza per tutti. La stalla dei maiali di Erminia era una ventina di metri più avanti di quella di Gabriele, dunque fecero un breve tratto di strada insieme, una accanto all'altro, quando il braccio sinistro dello zio, che era libero e dal lato di Erminia, si allungò verso il suo sedere e la mano grande schiusa si chiuse su di esso così appassionatamente che la veste di lei si alzò scoprendole parte delle gambe e continuarono a camminare così, fianco a fianco, con la mano di lui lì, a testa china in avanti entrambi, superando la stalla di lui e continuando verso quella di lei. Sara si fermò senza capire la scena, ma registrandola per la sua anomalia, sentendo che era rimasta sola, che lo zio era dimentico di lei e non capendo perché non si era fermato alla stalla dei maiali dove lei voleva vedere il loro buffo modo di mangiare...
Ma ora, a quattordici anni, tutto le era chiaro e quell'uomo le appariva miserabile nel cercare una vendetta su figure familiari di Gabriele che in nulla entravano in quella sporca faccenda che lo riguardava.
Quando Gabriele morì Erminia cambiò nei riguardi di Sara. Non la salutava più con simpatia e, se la incontrava per via le rare volte che, ormai, Sara tornava in quei luoghi, le diceva frasi insinuanti sulla sua salute mentale dato che la famiglia di Gabriele era ritenuta da molti una  famiglia di matti.
L'ultima volta che Sara aveva visto Quinto era in auto e stava uscendo dal paese dove era tornata per sistemare alcune questioni legate alle proprietà ereditate dalle famiglie dei suoi genitori: lui aveva volutamente fermato il somaro, dove fingeva di sistemare una soma di fascine, ostruendo la strada. Il marito di Sara al volante aveva suonato più volte, ma quello aveva finto di non sentire, finché un altro contadino non gli aveva detto: "Ma non vedi che c'è un'automobile?" Con il tono di chi aveva capito benissimo che quello lo stava facendo apposta.
Si scostò mostrando un'aria da tonto.
Sara disse a suo marito, inconsapevole delle storie di quel borgo: "In paese lo chiamano "il Sordo"."




giovedì 11 luglio 2019

Basta far sparire il corpo... Ma non sempre va bene..

Seguendo la trasmissione "Chi l'ha visto" fin dal suo inizio debbo dire che gli uxoricidi con sparizione del cadavere sono stati tanti. E agli assassini, nonostante tanti indizi concordanti, a volte è andata bene, ma solo perché, non avendo il corpo del reato, non era facile dimostrare quello che avevano fatto.
Tutti dicono che la moglie o convivente (dati i costumi cambiati spariscono anche le compagne) se ne è andata via di botto senza un motivo apparente, anche lasciando figli in tenerissima età.
La logica dei fatti spesso è chiarissima, ma non basta per aprire il dibattimento: servono le prove.
A volte è il caso che fa scoprire il delitto: due esempi sono l'assassinio di Lucia Manca e di Elena Ceste, quest'ultima madre di 4 bambini e il marito sosteneva che se ne era andata via di casa nuda.. Casualmente una ruspa, dopo un anno, ne ha svelato le ossa.
Come casualmente erano state scoperte le ossa di Lucia Manca per la pulizia fatta per una corsa campestre.
I motivi sono sempre gli stessi: gli assassini hanno altre storie oppure, come nel caso del Vigile del Fuoco, hanno paura di perdere la casa perché la moglie vuole la separazione.
Logli aveva entrambi i motivi, oltre al fatto che nell'Autoscuola insieme ai soldi del padre c'erano quelli di Roberta.
Alla fine queste anime perse perderanno tutti i loro soldi in parcelle (molto costose) dei penalisti nei diversi gradi di giudizio che dovranno affrontare. Uccidono per non perdere soldi e si ritrovano a doverne spendere tanti, tanti per i processi.
Rita Coltellese *** Scrivere: Caso Guerrina Piscaglia Ecco un caso in cui il corpo non è stato mai trovato ma l'assassino è stato condannato. Non di moglie si tratta ma di amante.
Rita Coltellese *** Scrivere: La povera Elena Ceste Ecco un caso in cui il cadavere si è ritrovato casualmente: la Giustizia legata alla fortuna o sfortuna dell'assassino.
Rita Coltellese *** Scrivere: Uomini che uccidono donne Ecco un caso in cui il corpo è stato ritrovato casualmente grazie alla Natura: le piogge hanno creato uno smottamento del terreno che, dilavando, ha svelato le ossa sepolte. In questo caso era un amante che ha ucciso  l'amante troppo invadente.
Rita Coltellese *** Scrivere: I mostri hanno un aspetto innocuo Ecco un caso in cui non si è mai trovato il corpo di una mamma giovane scomparsa di notte lasciando due piccolissimi bimbi. Il marito l'ha sfangata.
Rita Coltellese *** Scrivere: Violenza sulle donne In questo post, oltre al caso sopra riportato, ricordo due casi seguiti dalla trasmissione "Chi l'ha visto": in uno si tratta di convivente madre di figli piccolissimi, sparita anche lei di notte, il cui corpo non si è mai trovato, ma il convivente fu poi condannato per omicidio ed occultamento e distruzione di cadavere bruciato nel forno della pizzeria che l'uomo gestiva; Lucia Manca invece era moglie, tradita, e suo marito fu sfortunato perché le sue ossa vennero ritrovate casualmente per una ripulitura di una strada sterrata per una corsa campestre.
Rita Coltellese *** Scrivere: Roberta Ragusa come tante, troppe Qui è riportato il caso di Elena Vergari, sparita dopo essere stata in viaggio con il marito, il quale disse che l'aveva poi lasciata alle prime luci del mattino davanti casa e di averla vista salire su una automobile grossa e scura. L'uomo aveva un'amante, nel racconto del loro breve viaggio ci sono innumerevoli stranezze e nel corso delle indagini furono rinvenuti in una cantina nella sua disponibilità attrezzi di scavo, calce ed altro che avevano fatto pensare ad una sepoltura in un non ben identificato luogo, dato che i due coniugi erano stati fuori tutta la notte precedente la sparizione della donna. L'uomo l'ha sfangata e il cadavere della povera Elena non è mai stato ritrovato.

domenica 7 luglio 2019

Moni Ovadia


Ideatore, regista, attore e capocomico di un "teatro musicale" assolutamente peculiare, Moni Ovadia è il protagonista dello spettacolo “Kavanàh. Storia e canti della spiritualità ebraica”, in onda sabato 6 luglio alle 21.15 su Rai5
Ieri sera non mi andava di leggere il libro che sto leggendo di Giorgio Bassani "L'odore del fieno" ed ho tentato di vedere un poco di TV. Mentre in soggiorno mio marito vedeva l'orribile trasmissione con Bonolis, in cui l'unico che porta un minimo di ineffabile ed umile comicità è Luca Laurenti, sono andata a letto ed ho acceso il televisore senza trovare nulla che potesse essere di un minimo interesse, finché non mi è apparso Moni Ovadia e mi sono fermata, seguendo per un'oretta qualcosa che dà ristoro all'anima, non immortale ma ora viva, ed all'intelletto.
Moni Ovadia l'ho visto ed ascoltato da vicino anni fa nell'Aula Magna della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università dove ho lavorato per 25 anni, Aula poi detta Auditorium che fu nominato in onore di Ennio Morricone invitato per l'occasione.
Con la direzione artistica del Maestro Luigi Lanzillotta noi dipendenti, e non solo, abbiamo potuto godere, pagando un abbonamento minimo, di stagioni di concerti ed incontri con varie personalità del mondo musicale eccezionali per qualità.
Fra queste Moni Ovadia. Non ricordo se lui in quell'occasione recitò e suonò, giacché gli incontri erano i più diversi come impostazione, ricordo che parlò molto, seduto sul palco con i suoi interlocutori, e alla fine mi sembrò troppo verboso e noioso.
Ma ieri sera era accompagnato da quattro meravigliosi violini che suonavano musica yiddish ed egli ha parlato di ebraismo e recitato preghiere in ebraico. Anche se non condivido il pensiero di Moni Ovadia egli è indubbiamente una mente, trasmette il suo pensiero, le sue riflessioni, la sua grande cultura, mantenendo vivo il tuo interesse (almeno il mio).
Non sempre in personalità di cultura e formazione ebraica appare la religione, un esempio è Philip Roth in cui è totalmente assente.
E' molto presente in Oz, come argomento dei suoi scritti, anche se non so, come ho già scritto, se Oz fosse o meno credente.
Moni Ovadia è agnostico. E già questo non mi piace. Sospendere l'idea vuol dire non averne nessuna. 
Dopo un inizio della mia vita in cui credevo nelle storie raccontatami della religione della mia famiglia, una vita trascorsa sempre riflettendo sulla realtà oggettiva, ho raggiunto l'equilibrata certezza che Dio invisibile e perfetto che abbia eletto l'Uomo a sua immagine non esiste, né per i cattolici, né per le varie confessioni cristiane, né per gli ebrei, né per i musulmani. Le tre religioni che si figurano un Dio così per avere una Consolazione e una Guida.
Come diceva ieri sera dagli schermi TV di RAI 5 Ovadia, non è importante che Dio ci sia, importante è seguire la propria etica, nel suo caso, e di molti ebrei atei o agnostici, seguire gli insegnamenti della Torah. 
La sofferenza millenaria del popolo ebraico, spesso sottoposto ad oppressione, limitazione dei suoi diritti rispetto a quelli di altri, persecuzioni e infine l'orrore indicibile dello sterminio hitleriano con la complicità di Mussolini, mi toccano l'animo da quando l'ho scoperto a 14 anni. Dopo, leggendo, ho scoperto e vado scoprendo molto di più. Ad esempio leggendo Oz ho scoperto che già ai primi del '900 dell'era cristiana nella Russia zarista gli ebrei avevano interdetto l'accesso alla scuola superiore dello stato e dovevano, volendo, continuare gli studi in scuole ebraiche gestite e finanziate dalle comunità israelitiche. Dunque non è stata solo la Russia comunista a discriminare come io credevo dopo aver letto il copione di "Mosca addio": una volta, parlando con una mia collega di questa storia vera di un'astrofisica russa ebrea, mi si chiuse la gola e non riuscii a controllare le lacrime. Perché nulla mi ferisce di più dell'ingiustizia.
Posso fare poco, solo scrivere quello che penso e, come faccio da anni, dare il mio 8xmille alle Comunità israelitiche.
Oz è moderatamente critico sul piano etico e politico con l'agire di Israele verso i palestinesi. Ovadia lo è ancora di più, fino al punto di essere uscito dalla Comunità israelita di Milano e in seguito ha rilasciato a spiegazione la seguente dichiarazione:
Da: IL MANIFESTO

Perché lascio la comunità

Lunedì scorso tramite un’intervista chiestami dal Fatto Quotidiano, ho dato notizia della mia decisione definitiva di uscire dalla comunità ebraica di Milano, di cui facevo parte, oramai solo virtualmente, ed esclusivamente per il rispetto dovuto alla memoria dei miei genitori. A seguito di questa intervista il manifesto mi ha invitato a riflettere e ad approfondire le ragioni e il senso del mio gesto, invito che ho accolto con estremo piacere. Premetto che io tengo molto alla mia identità di ebreo pur essendo agnostico. Ci tengo, sia chiaro, per come la vedo e la sento io. La mia visione ovviamente non impegna nessun altro essere umano, ebreo o non ebreo che sia, se non in base a consonanze e risonanze per sua libera scelta. Sono molteplici le ragioni che mi legano a questa «appartenenza».
Una delle più importanti è lo splendore paradossale che caratterizza l’ebraismo: la fondazione dell’universalismo e dell’umanesimo monoteista – prima radice dirompente dell’umanesimo tout court – attraverso un particolarismo geniale che si esprime in una “elezione” dal basso. Il concetto di popolo eletto è uno dei più equivocati e fraintesi di tutta la storia.
Chi sono dunque gli ebrei e perché vengono eletti? Il grande rabbino Chaim Potok, direttore del Jewish Seminar di New York, nel suo «Storia degli ebrei» li descrive grosso modo così : «Erano una massa terrorizzata e piagnucolosa di asiatici sbandati. Ed erano: Israeliti discendenti di Giacobbe, Accadi, Ittiti, transfughi Egizi e molti habiru, parola di derivazione accadica che indica i briganti vagabondi a vario titolo: ribelli, sovversivi, ladri, ruffiani, contrabbandieri. Ma soprattutto gli ebrei erano schiavi e stranieri, la schiuma della terra». Il divino che incontrano si dichiara Dio dello schiavo e dello Straniero. E, inevitabilmente, legittimandosi dal basso non può che essere il Dio della fratellanza universale e dell’uguaglianza.
Non si dimentichi mai che il «comandamento più ripetuto nella Torah sarà: Amerai lo straniero! Ricordati che fosti straniero in terra d’Egitto! Io sono il Signore!» L’amore per lo straniero è fondativo dell’Ethos ebraico. Questo «mucchio selvaggio» segue un profeta balbuziente, un vecchio di ottant’anni che ha fatto per sessant’anni il pastore, mestiere da donne e da bambini. Lo segue verso la libertà e verso un’elezione dal basso che fa dell’ultimo, dell’infimo, l’eletto – avanguardia di un processo di liberazione/redenzione. Ritroveremo la stessa prospettiva nell’ebreo Gesù: «Beati gli ultimi che saranno i primi» e nell’ebreo Marx: «La classe operaia, gli ultimi della scala sociale, con la sua lotta riscatterà l’umanità tutta dallo sfruttamento e dall’alienazione».
Il popolo di Mosé fu inoltre una minoranza. Solo il venti per cento degli ebrei intrapresero il progetto, la stragrande maggioranza preferì la dura ma rassicurante certezza della schiavitù all’aspra e difficile vertigine della libertà.
Dalla rivoluzionaria impresa di questi meticci «dalla dura cervice», scaturì un orizzonte inaudito che fu certamente anche un’istanza di fede e di religione, ma fu soprattutto una sconvolgente idea di società e di umanità fondata sulla giustizia sociale.
Lo possiamo ascoltare nelle parole infiammate del profeta Isaia. Il profeta mette la sua voce e la sua indignazione al servizio del Santo Benedetto che è il vero latore del messaggio: «Che mi importa dei vostri sacrifici senza numero, sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso dei giovenchi. Il sangue di tori, di capri e di agnelli Io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i Miei Atri? Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio, noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io li detesto, sono per me un peso sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, Io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, Io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova».( Isaia I, cap 1 vv 11- 17).
Il messaggio è inequivocabile. Il divino rifiuta la religione dei baciapile e chiede la giustizia sociale, la lotta a fianco dell’oppresso, la difesa dei diritti dei deboli. Un corto circuito della sensibilità fa sì che molti ebrei leggano e non ascoltino, guardino e non vedano. Per questo malfunzionamento delle sinapsi della giustizia, i palestinesi non vengono percepiti come oppressi, i loro diritti come sacrosanti, la loro oppressione innegabile.
Qual’è il guasto che ha creato il corto circuito. Uno smottamento del senso che ha provocato la sostituzione del fine con il mezzo. La creazione di uno Stato ebraico non è stato più pensato come un modo per dare vita ad un modello di società giusta per tutti, per se stessi e per i vicini, ma un mezzo per l’affermazione con la forza di un nazionalismo idolatrico nutrito dalla mistica della terra, sì che molti ebrei, in Israele stesso e nella diaspora, progressivamente hanno messo lo Stato d’ Israele al posto della Torah e lo Stato d’Israele, per essi, ha cessato di essere l’entità legittimata dal diritto il internazionale, nelle giuste condizioni di sicurezza, che ha il suo confine nella Green Line, ed è diventato sempre più la Grande Israele, legittimata dal fanatismo religioso e dai governi della destra più aggressiva. Essi si pretendono depositari di una ragione a priori.
Per questi ebrei, diversi dei quali alla testa delle istituzioni comunitarie, il buon ebreo deve attenersi allo slogan: un popolo, una terra, un governo, in tedesco suona: ein Folk, ein Reich, ein Land. Sinistro non è vero? Questi ebrei proclamano ad ogni piè sospinto che Israele è l’unico Stato democratico in Medio Oriente. Ma se qualcuno si azzarda a criticare con fermezza democratica la scellerata politica di estensione delle colonizzazioni, lo linciano con accuse infamanti e criminogene e lo ostracizzano come si fa nelle peggiori dittature.
Ecco perché posso con disinvoltura lasciare una comunità ebraica che si è ridotta a questo livello di indegnità, ma non posso rinunciare a battermi con tutte le mie forze per i valori più sacrali dell’ebraismo che sono poi i valori universali dell’uomo.
  8 novembre 2013
Io, non ebrea, di formazione cattolica, oggi serenamente atea, pur rispettando il pensiero di Ovadia non lo condivido, posso accettare la critica, frutto della domanda e del dubbio che sempre deve abitare l'uomo intelligente, ma come avevo avvertito dal suo argomentare quel giorno nell'Auditorium "Ennio Morricone" il suo pensiero stride sul mio che ha altre basi ed è giunto a diverse conclusioni.
Le mie sono che chi vuole la mia distruzione e spreca i soldi che Arafat ed altri hanno raccolto nelle banche svizzere e altrove per la causa palestinese, non può pretendere che io non mi difenda, altrimenti sono e sarò sempre l'ebreo millenario che subisce senza colpe che non siano quelle di tutti gli uomini che abitano questo pianeta.

lunedì 1 luglio 2019

Giorgio Bassani e la scoperta della falsità

"Dietro la porta" a differenza de "L'Airone" per me ha sicuramente più spessore e contenuto.
E' un racconto autobiografico, non nascostamente, ma esplicitamente.
E' la scoperta, di Giorgio adolescente, della falsità e slealtà umane.
A meno che non si abbia una natura caratteriale infida, e dunque preparata agli inganni che già sono connaturati al proprio intimo, tutti abbiamo vissuto prima o poi l'esperienza traumatica vissuta da Bassani, restandone più o meno feriti, secondo il danno ricevuto, poi, con l'esperienza di vita, la conoscenza della natura umana nei suoi aspetti più miserabili e meschini ci ha fatto superare il trauma, ci ha fatto relegare le persone che si sono dimostrate false e sleali in un limbo di indifferenza mista a compatimento e disprezzo. Abbiamo imparato con l'esperienza di vita a saper prevedere certi comportamenti e ce ne siamo tenuti a distanza.
Giorgio invece dichiara subito che "quella ferita" non si è mai richiusa e verso la fine di questo romanzo, anch'esso potrebbe annoverarsi fra il racconti lunghi per la sua brevità, riflettendo su se stesso, rivela  la sua incapacità al confronto con la verità da sbattere in faccia al falso che, anche se disponibile lui al confronto pur essendo in torto, Giorgio non è in grado di affrontare, mai, in tutta la sua vita, "inchiodato per nascita ad un destino di separazione e di livore".
Ognuno ha la propria natura, come scrivevo all'inizio di questa analisi del libro "Dietro la porta", e Bassani ha indubbiamente una sensibilità ombrosa, come lui rivela anche livorosa, ed è per questo forse che la ferita della scoperta della meschina falsità di un suo compagno di liceo, quasi un amico, non si è mai richiusa?
Egli ne riporta una umiliazione così sconvolgente da guardare alla sua bella famiglia, una volta rientrato in casa, con astio, distanza, quasi non riconoscendoli... Ecco questa è una reazione per me incomprensibile, giacché, al contrario, ogni volta che qualche misero ha parlato male di qualcuno che mi è caro, per sminuire tramite lui la mia persona, egli è diventato ai miei occhi di maggior valore ed ho provato nei riguardi del mio caro un senso di calda protezione.
Ma Giorgio invece si fa annientare da un meschino soggetto che conosce da meno di un anno, neppure un gran tradimento dunque, non è un annoso amico... Perde fiducia in conseguenza anche in un precedente amico, questi invece di anni, come se lo scoprire l'abiettume a cui certa gente può giungere tolga ogni speranza di fiducia in chiunque.
Una sua fragilità dunque. Ciò nondimeno Bassani mostra però una reazione da persona superiore, non dando spettacolo di reazioni cruente come i delatori del tradimento si aspetterebbero, bensì eclissandosi dalla scena in cui il miserabile ha dato spettacolo di sé e della sua meschinità sparlando di lui e dei suoi gentili ed innocenti familiari. 
Chiederà poi in classe, nella sorpresa generale, di cambiare di banco per non avere più accanto il delatore e, magistrale davvero, che il Pulga, il miserabile, venga a sedersi al suo posto: mettendo così fianco a fianco due aspetti della stessa umana meschinità.
Ed è quella sua incapacità dichiarata di affrontare la verità affrontando i miserabili che rende il suo apparente distacco (solo apparente data la dichiarata insanabile ferita) superiore, quasi da nobile vero a cafone plebeo.
Plebei nell'anima lo sono tutti i doppiogiochisti e, di sovente, il motivo che li ispira è sempre l'invidia e/o un insanabile senso di inferiorità.
1931 - Foto di liceo di Giorgio Bassani con alcuni compagni di classe.
"Dietro la porta", scrive Bassani, si riferisce a fatti accaduti fra l'ottobre del 1929 ed il giugno del 1930. Fra questi volti forse anche alcuni dei personaggi del romanzo.
Non il Pulga, il vile suo denigratore alle spalle e adulatore di fronte, che se ne andrà da Ferrara proprio in estate per trasferimento di lavoro di suo padre.