domenica 19 gennaio 2014

Paura al cimitero

Da: LiveSiciliaCatania 

Quel bicchiere di caffè sulla tomba...



CATANIA - Domenica 12 Gennaio 2014 - 20:12 













Sul gradino della tomba della famiglia Matà è ancora abbandonato quel bicchierino di plastica di caffè che il figlio Fabio aveva portato alla madre martedì pomeriggio. Maria Concetta Velardi, però, non berrà mai quel caffè: la 59enne sarà uccisa barbaramente con una grossa pietra lavica nel cimitero di Catania proprio quel maledetto 7 gennaio. Un mistero che si infittisce ogni ora che passa, mentre la polizia, incaricata dell'indagine coordinata dal pm Giuseppe Sturiale e dal procuratore Giovanni Salvi, sta analizzando ogni elemento nuovo che emerge.




Quello che sembra mancare in questo delitto è il movente: si profilano ipotesi e sospetti, anche quello dell'omicidio passionale, avanzato anche ai microfoni dei giornalisti da Giuseppe Lipera, l'avvocato del figlio della vittima, parte offesa nel procedimento, che ha ingaggiato un'agenzia investigativa nazionale per far luce su quanto è accaduto in quel lasso di tempo che va dalle 16.15 alle 16.45. Mezz'ora che hanno permesso all'assassino di uccidere la vedova.


Il bicchierino di caffè


Siamo tornati sulla scena del crimine, alla stessa ora: quel bicchierino di caffè dopo cinque giorni è ancora lì. Fabio Matà lo aveva portato alla madre, dopo che lui stesso era andato al bar per prendersene uno. Nessuno ha spostato quel contenitore: il coperchio ancora intatto, la bevanda nera all'interno, nemmeno una goccia versata. Il figlio è tornato, non ha visto la madre - questo risulta dalle sue prime dichiarazioni rese alla polizia - e si è immediatamente allarmato.
Cerchiamo di ricostruire i momenti convulsi.Il bicchierino in mano probabilmente è stato abbandonato prima della macabra scoperta appena ha svoltato l'angolo dietro alla cappella: i piedi scalzi della madre che apparivano dal vialetto. La corsa verso quel punto e la scena dell'orrore: il corpo riverso supino per terra, il sangue tra i capelli biondissimi e una grossa pietra lavica sul volto. Prova a soccorrerlo spostando il pesante masso, impotente ha poi l'allarme lanciato al custode. "Mi sono sentito solo - ha raccontato venerdì alla Vita in Diretta, Fabio Matà - non sono stato aiutato da nessuno. Qualcuno deve - ha mormorato - aver visto e sentito qualcosa".
La polizia indaga in modo serrato: nessuna pista privilegiata è la risposta ufficiale degli investigatori. Nessun nome è iscritto nel registro degli indagati, il fascicolo 137 del 2014 è contro ignoti. Ma tra i sospetti sembra esserci il figlio, in una fase iniziale delle indagini gli inquirenti non vogliono lasciare alcunché di intentato. E si scandaglia nel rapporto tra madre e figlio: una donna gentile, posata e sorridente che aveva fatto della cura della cappella dove riposavano il figlio minore Lorenzo e il marito Angelo, quasi la sua ragione di vita.
Il tappetino bianco di pelo artificiale sul pavimento, la tendina con i fiori a forma di cuori con il nome di Lorenzo, attenzione per ogni minimo particolare in questa cappella che trasborda di fiori e piante. Il figlio, 40 anni, viveva a casa della madre a San Giovanni Galermo, è un militare di stanza a Maristaeli. "Nessuno sa cosa sto provando in questo momento " sussurra a pochi metri dalla tomba del fratello e del padre, circondato da amici e parenti che cercano di confortarlo. Un dolore atroce che si percepisce nelle sue mani tremanti: in pochi anni ha perso il padre e il fratello, uccisi dal cancro ed ora la madre, strappata alla vita da due mani assassine. Il suo avvocato, Giuseppe Lipera, respinge ogni possibilità anche di sospetto nei confronti del suo assistito. Fa sapere che i due investigatori privati, Angelo Panebianco e Alfio Tomarchio, stanno lavorando ed ogni elemento emerso sarà fornito alla polizia.
Il figlio Fabio sul luogo del delitto

Due giorni dopo l'omicidio il legale aveva lanciato un appello: "Chiunque ha visto o sentito qualcosa si rivolga alla Questura o all'agenzia investigativa". Sui particolari rimane il massimo riserbo, ma sembra che ci siano delle persone che hanno ascoltato in quel lasso di tempo delle grida di donna. Maria Concetta Velardi potrebbe aver urlato mentre cercava di scappare: un tentativo inutile perché il killer l'ha raggiunta in quello stretto vialetto e l'ha colpita mortalmente. Le macchie di sangue tracciano il percorso di fuga: dalla strada alle spalle della cappella che conduce ad uno stretto viale diviso da alcuni alberi costeggiato ai due lati da altre tombe, disposte in maniera parallela.
Le tracce ematiche si perdono fino al primo vialetto, stretto tra due cappelle, dove c'è la macchia enorme che circondava il volto fracassato di Maria Concetta. Sul vetro della porta di una cappella ancora le gocce di sangue, all'altezza dell'angolo, sul muro, è ben visibile un'altra macchia di sangue: forse della mano della vittima che cercava di sorreggersi prima del colpo mortale. L'autopsia affidata dalla Procura a Giuseppe Ragazzi, che sarà svolta martedì prossimo, potranno fornire elementi importanti sulla dinamica del delitto: ferite e direzione del colpo.
Non si da pace, un anziano signore che ha la tomba di famiglia proprio dietro quella dei Matà. "Se fossi stato qui quel pomeriggio - sussurra a denti stretti - forse non sarebbe successo nulla. Li conosco da anni, Fabio quando accompagnava la madre andava a prendere il caffè e poi ne portava uno a lei e uno a me".  La zona ancora delimitata con il nastro bianco e rosso della polizia è meta di alcuni curiosi e conoscenti: l'anziano ci mostra un angolo vicino alla sua cappella. "Qui c'era una piccola pietra lavica che non c'è più".
Possibile che le armi del delitto siano due?La grossa pietra era appoggiata vicino al tronco di un albero dove ci sono altri massi bianchi e grigi, questi erano posizionati sopra il grosso pezzo di lava con cui è stata uccisa Maria Concetta. L'assassino quindi avrebbe avuto la forza di prendere il masso, del peso di almeno 20 chili, e colpire la vedova alla testa. Forse con la pietra più piccola l'aveva ferita in un primo momento e poi il colpo finale è stato inferto con il pesante minerale nero. Ipotesi, solo ipotesi. Questi elementi però hanno portato gli inquirenti ad escludere che le mani assassine possano appartenere ad una donna.
Un uomo, dunque. E tra le ipotesi del delitto passionale emerge il particolare di un uomo che potrebbe essersi sentito rifiutato, un corteggiatore deluso? Ma anche un pazzo che ha visto, o sentito qualcosa che ha scatenato il raptus omicida. Più interrogativi che certezze in questo delitto che sembra la sceneggiatura perfetta di un libro di Patricia Cornwell con l'elemento misterioso: le scarpe della vittima ben ordinate e posizionate su una tomba, distante rispetto alla cappella Matà. Sembra quasi che l'assassino abbia prima preso le calzature perse da Maria Concetta, magari durante la fuga, e mentre stava scappando dopo il delitto si sia reso conto di averle tra le mani e le abbia abbandonate lì: ma non le ha buttate sull'asfalto, le ha ordinate sul muretto di una lapide proprio vicino all'uscita. Un gesto di lucidità che si contrappone all'impeto dell'assassinio.

Gli esami del dna e le impronte digitali potrebbero essere la chiave di volta per questa indagine. Su questo punto le risposte degli investigatori sono molto prudenti: "Sono test scientifici molto delicati e che richiedono alcuni giorni per l'esito". La speranza ora è che l'omicida di Maria Concetta Velardi abbia presto un volto e che il suo delitto non resti uno dei tanti gialli irrisolti.
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Ho scelto questo articolo fra i molti che hanno riportato questo orrendo delitto perché mi è sembrato quello più vicino ai fatti fin qui noti.
Come accade sempre in questi casi, vengono scritte le cose più inesatte e fantasiose. Ho letto che "Fabio aveva accompagnato la madre fin dal mattino presto al cimitero.." poi "era andato alle 16:00 di nuovo a riprenderla..". Mi chiedo se chi scrive codeste assurdità ragioni sulle cose mentre scrive.
D'accordo che, come molte persone colpite crudelmente dal destino, lei cercasse conforto curando il luogo dove i suoi cari riposavano andando lì ogni giorno, ma che ci passasse la giornata dal mattino fino alle h. 16:00 è una follia che il cronista che l'ha scritto poteva evitare rendendosi conto dell'assurdità.
Un altro ha scritto che "aveva avuto nei giorni precedenti una lite con un vicino di tomba".
Mentre qui si riporta ben altro: il vicino era oggetto di cortese attenzione da parte del figlio della povera signora che, per gentile consuetudine, portava anche a lui il caffé.

Le indagini, si spera, chiariranno molti aspetti: se veramente la donna si recasse tutti i giorni ed alla stessa ora sulla tomba, se era usa togliersi le scarpe per non sporcare l'interno ecc., aspetti che possono cambiare di molto l'interpretazione dei fatti ed indicare meglio il possibile assassino.
Alcuni giornali hanno scritto che ha perso le scarpe cercando terrorizzata di sfuggire al suo assassino... Se così fosse, ad esempio, il gesto di averle raccolte e messe in ordine accanto alla tomba o, come ha scritto qualcuno, all'inizio del vialetto, avrebbe un significato criminologico orientativo verso certe ipotesi... Insomma i particolari sono importantissimi e servono belle menti per interpretarli nel modo giusto. Infine si spera che abbiano sufficienti dati scientifici per individuare chi l'ha uccisa. 
In mezzo a delitti quotidiani che ormai accadono nel nostro Paese questo, che ho appreso in prima battuta dalla trasmissione "Chi l'ha visto?", mi ha pietosamente colpito per la povera signora uccisa in un luogo che dovrebbe essere di raccoglimento, di pace e di silenzio... Qualsiasi sia il movente è un classico delitto di impeto: basta pensare all'arma usata, una pietra o più pietre.

Ora capisco che il mio non avere paura di niente, che mi spinge ad andare nel cimitero di Prima Porta nelle ore e nei giorni in cui c'è pochissima gente, a volte nella zona dove vado io non c'è proprio nessuno, può essere pericoloso. Qualche volta ho pensato che qualche malintenzionato poteva cercare di rapinarmi data l'estrema solitudine del luogo... Ma la mia sicurezza in me stessa e nelle mie capacità di reazione mi facevano passare l'inquietudine. Sbagliavo: sono solo stata fortunata.