domenica 19 luglio 2015

Scienza insicura

Da: Il Messaggero    Venerdì 17 Luglio 2015, 20:40 - Ultimo aggiornamento: 19 Luglio, 00:22 

Roma, ragazza morta al lago di Bracciano: ex fidanzato condannato a 18 anni

Per il gup di Civitavecchia non ci sono dubbi: fu Marco Di Muro, la notte di Halloween del 2012 a tenere la testa della fidanzata Federica Mangiapelo sotto l'acqua del lago di Bracciano fino a portarla alla morte. Oggi, dopo una lunga camera di consiglio, l'ha condannato a 18 anni di carcere con l'accusa di omicidio volontario aggravato.

Si è chiusa processualmente così una vicenda che ha catturato l'opinione pubblica per tre anni. Federica, all'epoca 16enne, fu trovata morta da un passante; il corpo era sulla spiaggia del lago di Bracciano, nei pressi di Anguillara Sabazia, paese vicino a Roma nel quale risiedeva. Il 'giallò fu fin da subito intenso.

Le indagini. Sul corpo della ragazza, nessun apparente segno di violenza; tant'è che inizialmente l'ipotesi investigativa più accreditata fu quella di un incidente. I carabinieri accertarono che Federica era uscita dalla casa del padre Gino intorno alle 22.30 del primo novembre, per uscire con il fidanzato Marco e festeggiare la notte di Halloween.

La ricostruzione. Verso le 3 del mattino, ci sarebbe stato un litigio, con la ragazza che chiese di essere riaccompagnata a casa. La mattina dopo fu trovato il suo corpo senza vita. Di Muro, immediatamente interrogato (fu un 'interrogatorio fiumè di 12 ore), disse che nel periodo in cui fu fatto risalire quell'annegamento, lui non si trovava con la fidanzata.

Dall'autopsia, la conferma: nessun segno di violenza sul corpo di Federica, tecnicamente si parlò di morte per cause naturali. Marco Di Muro fu iscritto nel registro degli indagati come «atto dovuto», al fine di consentire agli specialisti del Ris di effettuare gli accertamenti previsti, ma anche perchè il ragazzo fu ritenuto l'ultima persona ad essere stata con Federica.

L'arresto. Il giovane più volte disse di avere lasciato la fidanzata da sola, in una notte particolarmente fredda e piovosa, attorno alle tre della notte. Nel dicembre del 2014, Marco Di Muro fu arrestato con l'accusa di omicidio volontario aggravato, e posto agli arresti domiciliari. L'ipotesi accusatoria fu quella di un litigio, forse per motivi di gelosia, al culmine del quale ci sarebbe stato uno strattonamento, una caduta a terra, e alla fine l'annegamento.

Le cause della morte. D'altro canto era stata proprio la perizia pneumologica in sede d'incidente probatorio a far 'luce accusatorià sulla vicenda: Federica morì per annegamento e non per arresto cardiaco, e non per cause naturali. Oggi l'udienza preliminare, la richiesta accolta di rito abbreviato e la condanna di Di Muro a 18 anni di reclusione.

La difesa. «Una sentenza che rispettiamo ma che impugneremo delle sedi superiori - hanno commentato i suoi difensori, gli avvocati Cesare Gai e Massimo Sciortino - Vedremo alla fine come si concluderà questa storia».

La madre di Federica. La sentenza che ha condannato Marco di Muro a 18 anni di reclusione per la morte di Federica Mangiapelo è «un primo passo verso la giustizia». Rosella, mamma della giovane trovata morta sulle rive del lago di Bracciano all'alba del 1 novembre 2012, commenta così all'Adnkronos la pronuncia del Gip di Civitavecchia Massimo Marasca.

Nell'assistere alla lunga udienza, svoltasi con il rito abbreviato, Di Muro «non ha mai alzato lo sguardo verso di noi, non ci ha rivolto la parola. Da lui -denuncia la mamma di Federica- non è mai giunta una parola di scuse, una richiesta di perdono». «Ora ci sarà la richiesta di appello, sicuramente non è finita qui. Ma almeno -conclude- possiamo dire che è arrivata la prima pronuncia giudiziaria. È un primo passo verso la giustizia».

Da: Il Corriere della Sera (18 luglio 2011) 
Quella mano invisibile che versò il cianuro nel piatto di Francesca

L' amica finì in cella, ma non fu lei a uccidere Le liti con il ragazzo Sognava una fuga d' amore con Graziano che aveva conosciuto in un campo nomadi La fiala sparita La sorella notò una fialetta vuota sotto il letto: una traccia che svanì nel nulla

C' era una fialetta vuota sotto il letto, la notò sua sorella Claudia il giorno dopo la morte: dove sarà finita, quella fiala? E c' era un bicchiere sul comodino: fu mai analizzato? Eppoi il diario: la madre Maria Assunta disse di averlo bruciato quasi subito per tutelare la privacy della figlia. Ma cosa c' era scritto di così importante? Questi e altri dubbi affollano ancora il mistero della fine tragica di Francesca Moretti, 29 anni, laureata in Sociologia ad Urbino e uccisa a Roma il 22 febbraio del 2000 dal cianuro, il veleno usato nei romanzi dalle spie, ma anche dai contadini per eliminare i parassiti o dagli artigiani per lucidare il rame. Per una notte e un giorno stette in cella, e per altri 15 mesi ai domiciliari, accusata di omicidio, la sua amica e coinquilina Daniela Stuto, siciliana di Lentini, che all' epoca aveva 25 anni e studiava Psicologia alla Sapienza e oggi che l' inferno è passato - e lo Stato l' ha pure risarcita per l' ingiusta detenzione con 52 mila euro - fa la psicoterapeuta a Roma e con il fidanzato d' allora, Fabrizio, ha costruito la sua famiglia provando anche il gusto, proprio in questi giorni, della prima maternità. Ma quando l' arrestarono, l' 8 gennaio 2001, accusata di aver sciolto il cianuro in una minestra al formaggino preparata per l' amica sofferente di lombosciatalgia, la povera Daniela fu crocifissa al muro. Sequestrarono perfino a un suo zio in Sicilia un bidone con su scritto «cianuro»: ecco dunque dove si era procurata il veleno. Lo zio però candidamente raccontò agli inquirenti che lui quel bidone l' aveva trovato vuoto anni prima e adesso lo usava solo per cuocere a fuoco lento le bottiglie di pomodoro. Eppure nessuno voleva credere a Daniela. Il movente, secondo l' accusa, doveva ricercarsi nella sua gelosia morbosa, esplosa all' improvviso per la decisione maturata da Francesca di andare a vivere con Graziano Halilovic, un ragazzo rom già sposato e con 5 figli che aveva conosciuto col suo lavoro di ricercatrice nei campi nomadi della Capitale. Povera Daniela, sospettata pure di amore lesbico, lei che tutti i suoi amici ed amiche, perfino l' ex fidanzato siciliano d' un tempo, descrivevano in ben altro modo: «Daniela non ha proprio alcuna tendenza gay e piace ai ragazzi perché sprizza sensualità da tutti i pori...». E altro che privacy! Finì sui giornali quest' intercettazione: «Sono a letto con Angela, stiamo facendo zin zin...», diceva Daniela per scherzo a una sua amica. Eppure quello «zin zin» vagamente erotico e molto giocoso la inchiodò per mesi come una condanna, fino al giorno dell' assoluzione piena «per non aver commesso il fatto», il 10 aprile 2002. Sentenza poi confermata in Appello il 3 giugno dell' anno dopo. Al processo il responsabile del centro antiveleni del Policlinico Gemelli spiegò che l' intervallo massimo di tempo tra l' ingestione del cianuro e il manifestarsi delle prime crisi è di 15-20 minuti. Quel giorno Daniela preparò la minestrina tra le 15 e le 15.30. Ma le condizioni di Francesca precipitarono tra le 16.30 e le 16.59, quando Daniela non era più in casa e Mirela Nistor, la cameriera romena che divideva con loro l' appartamento, telefonò al suo fidanzato per chiedere aiuto. Gl' inquirenti allora cambiarono in corsa la scena: il cianuro non più sciolto nella minestra, ma in un «canarino» che Daniela avrebbe preparato a Francesca verso le 16 prima di uscire. «Voli pindarici», secondo la Corte d' Assise. L' ambulanza fu chiamata da Mirela alle 17.20. Ventidue minuti dopo, Francesca Moretti fu ricoverata all' ospedale San Giovanni, dove infine morì alle 19.35. «L' ospedale era sprovvisto di reagenti per il veleno - rammenta l' avvocato Fiorangelo Marinelli, all' epoca legale della Stuto -, così non capirono che quello era cianuro. Francesca è anche morta di malasanità...». E allora? La Nistor non è mai stata sospettata di niente. Graziano Halilovic, oggi 38 anni e presidente di «Romà onlus», associazione per i diritti dei nomadi, non vuole ricordare: «È una cosa intima, privata, molto personale...». Le indagini puntarono anche sui campi rom, dove il cianuro si usa per lucidare il rame. Si pensò a una vendetta della moglie di Graziano, Fatima, che aveva minacciato Francesca, «ma Fatima non era stata mai nell' appartamento», concluse la polizia. Non era la sua, dunque, l' ombra scura che Francesca pochi giorni prima della morte raccontò spaventata di aver visto in corridoio. Così, nessuno sa ancora oggi cosa accadde veramente nell' appartamento di via Scalo San Lorenzo 61. La sorella di Francesca, Claudia, escluse che la ragazza fosse depressa e avesse intenzione di suicidarsi. Sicuramente era stanca dei rinvii di Graziano, che malgrado le promesse continuava sempre a rimandare la fuga d' amore con lei. E per questo tra loro scoppiavano anche sovente dei litigi. «Francesca aveva paura del male, credeva nel malocchio, ogni tanto chiedeva a Mirela di farle un rituale - rivelò una delle amiche più intime, Antonella -. Graziano comunque non c' entra, è una brava persona... Io anzi a questo punto non sono nemmeno sicura che Francesca sia stata uccisa: potrebbe sì aver mangiato un formaggino avvelenato, ma magari da qualche pazzo in un supermercato». E già, perché l' unica certezza, in questa storia, dopo più di 11 anni, rimane il cianuro. Fabrizio Caccia 
Ho riportato questi due casi in quanto li ritengo emblematici di come la Scienza Medica possa essere non esatta, forse perché dipende da troppi parametri e dalla bravura o meno dell'Anatomopatologo che esegue l'autopsia.
Il caso della ragazzina ritrovata morta sulla riva del Lago di Bracciano personalmente mi lasciò perplessa per il risultato dato nell'immediato dall'Anatomopatologo che attribuiva la causa della morte ad un arresto cardiaco naturale. I genitori dissero subito che la giovane non soffriva di alcuna patologia cardiaca di cui loro fossero a conoscenza, ma i medici dissero che poteva avere una patologia congenita di cui loro non si erano mai accorti. Come al solito l'inchiesta giornalistica della benemerita trasmissione di servizio "Chi l'ha visto?" portò immediatamente alla luce dei particolari che fecero pensare molto male del fidanzato. Egli disse che era scesa dalla sua auto dopo un litigio, cosa confermata da un altro ragazzo che era con loro il quale era sceso anche lui dall'auto del ventiquattrenne per andare altrove, e che poi non l'aveva più vista. La strada per raggiungere il luogo dove la ragazza fu ritrovata esanime, però, è assolutamente buia e, essendo novembre, cadeva una fitta pioggerellina e, dati i chilometri fra il luogo, in paese, dove il fidanzato diceva di averla lasciata e quello dove è stata ritrovata, è altamente improbabile pensare che la giovane l'avesse percorsa a piedi. 
E' stata la tenacia dei genitori distrutti e il continuo interessamento della trasmissione "Chi l'ha visto?" a spingere chi indagava ad andare più a fondo per scoprire con esami biologici approfonditi che forse l'Anatomopatologo era stato quantomeno superficiale.
La formulazione dell'imputazione poi la lasciamo ai magistrati ma certo, dopo che la scienza aveva parlato di morte naturale, il comportamento del fidanzato con gli sms inviati alla fanciulla  a notte fonda, senza fare però una telefonata a casa del padre per accertarsi che la minorenne, che lui gli aveva affidata, fosse in qualche modo rientrata,  sembrava un depistaggio. Come sembrò strano che la mattina dopo, in un giorno di pioggia, lavasse l'auto e che chiedesse alla madre di lavargli subito gli abiti che portava quella sera... Si poteva pensare, nel caso migliore, che la ragazzina avesse avuto un arresto cardiaco durante un litigio violento e che lui vedendola esanime si sia spaventato fuggendo e cercando solo di coprire se stesso, gettando via la sua borsa mai ritrovata.  In questo caso si tratterebbe di omicidio preterintenzionale ed omissione di soccorso... Certo, però, egli si è sentito comunque colpevolmente autore della sua morte per attuare simili depistaggi. Che ci sia stata intenzionalità omicida o meno nel suo agire non so, ma di certo in Assise hanno decretato che c'è stata.
L'altro processo finito in nulla, fortunatamente per la compagna di stanza della morta, sembrò a me e ad altri, con cui ne parlai mentre era in corso, un clamoroso errore giudiziario.
La tesi dell'omosessualità e conseguente gelosia di Daniela Stuto non era provata, se non da frasi che potevano essere anche scherzose; il cianuro che lei si sarebbe procurato in Sicilia idem: non vi erano che supposizioni della donna PM. La Scienza Medica non ha aiutato affatto in questo caso dando risultati certi.
Da: WIKIPEDIA
Avvelenamento da cianuro

Definizione e meccanismo d'azione

Il cianuro è un sale derivato dall'acido cianidrico.
Il cianuro funziona come inibitore della ferricitocromo-ossidasi mitocondriale formando con essa un complesso relativamente stabile. Viene così impedito il rilascio dell'ossigeno da parte dell'emoglobina al sistema di trasporto degli elettroni. In questo modo l'ossigeno non viene consumato a livello tissutale e si accumula in circolo; infatti con avvelenamento da cianuro, anche il sangue venoso risulta di color rosso brillante. Gli effetti dell'ipossia si riflettono sul sistema respiratorio; sopraggiunge quindi una rapida depressione dell'attività cerebrale. La frequenza cardiaca dapprima aumenta per poi diminuire progressivamente. La morte avviene per anossia cerebrale e collasso cardiovascolare.

Assorbimento

Il metodo più facile per assorbire tale veleno è l’inalazione dell'acido cianidrico gassoso, eventualità che può verificarsi per esempio in incidenti in ambito chimico (l'idrolisi acida dei cianuri produce acido cianidrico gassoso) o durante la combustione di materie plastiche.

Dose letale

La dose letale per l’uomo è 200-300 mg per il cianuro di sodio o di potassio e 50 mg per l’acido cianidrico. Gli effetti tossici iniziano a manifestarsi entro pochi secondi dall'inalazione ed entro mezz'ora dall'ingestione.[1]

Sintomatologia

I primi sintomi che si presentano sono cefaleaansiavertiginebruciore alla bocca e alla faringedispneatachicardianauseavomitoipertensionediaforesi e dolore ai muscoli.
In seguito i segni clinici si fanno più gravi con convulsionitrismaparalisicomaipotensione.
Il male che affliggeva da giorni la povera ragazza era una dolorosa lombosciatalgia. Fu detto subito. A nessun perito medico è venuto in mente che forse qualcuno stava tentando di avvelenare la giovane donna da giorni con dosi minime del sale?  
Certo nel giorno della morte la dose fu forte... Ma non vi è alcuna analisi che leghi la minestrina preparatole dalla Stuto al cianuro, solo un'ipotesi...
In questi casi la Scienza Medica ha mostrato inefficienza.
Speriamo che non lo faccia nel caso di Domenico Maurantonio.