giovedì 24 ottobre 2019

Sisma - Romanzo Capitolo X

Sisma
Romanzo inedito di Rita Coltellese
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Il Romanzo viene pubblicato per capitoli, ad ogni nuovo capitolo verrà scritta la data di pubblicazione del precedente in modo che il lettore possa, tramite il calendario che appare a destra, ritrovare facilmente il precedente.


SISMA

Capitolo X
 (Il Capitolo IX è stato pubblicato il 19 ottobre 2019)

Guidando senza fretta sulla strada del ritorno, lasciando le rovine alle sue spalle, la consapevolezza raggiunta con la vita vissuta le ispirò pensieri impietosi.
In quei luoghi aveva sperimentato le prime bassezze umane, senza esserne consapevole più di tanto, perché da giovani si rimane colpiti ma si pensa che "sono quelle persone così", e non altre, che altrove sarà diverso.
Invece a poco a poco aveva scoperto che era così ovunque e anche peggio.
I tradimenti, soprattutto di donne sposate, in un luogo dove tutti si conoscevano da generazioni, non si potevano nascondere, così nessuno poteva tentare di mettersi una maschera con la gente per sembrare migliore di ciò che era. In città aveva conosciuto donne che tradivano ma si guardavano bene dal dirlo, volendo sembrare persone leali anche se non lo erano affatto.
Ed ecco che quelle povere peccatrici di paese, che facevano una vita dura, ora le apparivano si, miserabili, ma la loro miseria era esposta a tutti, non potendola nascondere.
Aveva creduto che l'immoralità di alcune dipendesse dalla loro natura fallace, ma anche dall'ignoranza, dalla rozzezza dei sentimenti... Errore! Era solo la natura sleale e amorale a farla da padrone!
L'invidia che alcuni avevano nutrito nei riguardi delle mete raggiunte da suo padre, Giovanni per tutti lì "Nanni", era un sentimento ingiustificabile, soprattutto perché aveva albergato nell'animo dei suoi stessi fratelli e di questo malanimo suo padre aveva sofferto.
Mentre il nastro grigio della strada scivolava via davanti ai suoi occhi divorato dalla sua auto, i ricordi nella sua mente si facevano immagini:
"I tuoi zii non hanno saputo progredire, tutta la vita a reggere il pitale." La voce nasale di Amedeo, fratello di suo padre che aveva sposato Filomena, l'aggressiva e volgare adolescente che aveva insultato le di lui madre e sorella, le risuonò nel ricordo sgradevole come la sua espressione cattiva, ottusamente convinta di colpirla.
Invece Sara provava per lui una  totale disistima viste le sue miserabili intenzioni e una altrettanto totale indifferenza nei riguardi degli zii materni che quegli intendeva così denigrare.
Avrebbe voluto amare gli uni e gli altri ma l'ostilità continua di Amedeo, la sua misera volontà di mettere continuamente in cattiva luce la scelta coniugale di suo fratello Giovanni, che si era permesso di sconsigliarlo dallo sposare Filomena, allargata a tutta la parentela di sua madre, impediva a quell'affetto sincero che lei sentiva di esprimersi.
D'altra parte l'indifferenza glaciale dei fratelli di sua madre, sia nei riguardi di lei, che verso Sara, faceva da schermo a qualsiasi affetto ella potesse provare per loro.
Nessuno degli zii, sia di parte materna che paterna, voleva il suo amore, preferendo la distanza a volte ostile in un caso e quella manifesta fino all'odio nell'altro.
Amedeo aveva messo su una piccola impresa ed era benestante, nonostante la sua acredine Sara ne era sinceramente contenta per lui, dunque cosa poteva mai importargliene dei fratelli di sua madre che erano stati capaci solo di fare i facchini negli alberghi e i camerieri? Quel meschino disprezzo si rivoltava contro di lui mostrandone la miseria morale. 
Nei riguardi di sua madre poi aveva avuto gioco facile, perché a differenza della sua volgare consorte, era una donna mite, religiosissima e, per dichiarati apprezzamenti di persone colte e distinte, una  signora fine, l'unico suo difetto era la sua fragilità psichica sulla quale con ferocia Amedeo si gettava per denigrare la scelta di suo padre.
Eppure sua madre era stata una educatrice migliore di Filomena visto che Sara aveva costruito una famiglia unita con il primo grande amore della sua vita e non era stata tutta fortuna, no, era stata intelligenza nella scelta e umile costruzione quotidiana basata su valori alti.
La figlia di Amedeo e Filomena aveva inanellato la sua vita di rapporti fallimentari, financo con un uomo sposato, ed ora era una donna anziana sola ed inaridita.
Sara, pur crescendo una sostanziosa figliolanza, aveva raggiunto una buona posizione in un organismo statale, studiando e lavorando con serietà ed impegno, ma sempre mettendo al primo posto i doveri verso i suoi figli. Non l'ambizione l'aveva spinta, ma dapprima la necessità di aiutare il bilancio familiare, poi la determinazione del suo carattere serio ed inflessibile.
Cosa avevano raccolto Amedeo e Filomena con la loro tracotanza? Non avevano neppure avuto la gioia di diventare nonni. E i beni ai quali si erano dimostrati tanto attaccati a chi sarebbero rimasti? Due ville in un luogo di fantasmi e altri beni in città...
L'orgoglio arido ed ottuso beffato e non solo dal sisma della terra..
Filomena si era circondata di suoi parenti dando loro lavoro nella piccola impresa e addirittura alloggio in casa sua. Quelli, dovendole tutto, avevano formato un cuscino intorno a lei che gestiva come un piccolo potere contro i parenti del marito, tenuti a debita distanza.
Il padre di Sara le raccontò che un giorno era andato in visita presso la ditta di suo fratello, per salutarlo e vederlo... Almeno una volta ogni tanto. Lui in quel momento non c'era e Giovanni si era seduto in un angolo di una vasta sala ad aspettarne il ritorno: "Ad un certo punto è arrivata la sorella di Emanuele, Gabriella. Dovevano essere d'accordo da prima e dunque la mia presenza per loro era un imprevisto. Lui è andato rapidamente all'ingresso, per placcarla prima che entrasse, con in mano un fiasco di vino e un involto. Penso preso dalla dotazione della mensa della ditta. Lei li ha presi e poi si è voltata verso di me e come mi ha visto ha avuto un'espressione colpita, come di chi è stato preso in fallo. L'espressione di quella donna è stata più eloquente di ogni parola. Mio fratello e la moglie sono stupidi, si fanno derubare scioccamente."
Così aveva commentato Sara: "E' evidente che Emanuele liscia la cugina Filomena perché così vuole il narcisismo stupido e cattivo di lei, ma fa anche i suoi interessi. La sorella è una morta di fame e lui l'aiuta a spese di zio Amedeo e della moglie. Ma io non sono buona come te che dici che sono due poveri sciocchi ingenui, perché con altri sono persone cattive: si meritano di essere ingannati da chi favoriscono così platealmente perché lei ha bisogno di una corte."  Fin da bambina vedeva oltre suo padre, sempre troppo buono
Lui aveva sopportato con silenzioso dolore l'odio di suo fratello assorbito dalla moglie e dai suoi parenti.
Sara se ne rendeva conto ma quelle persone, una volta sposata, erano ormai a lei distanti. Doveva scoprire in seguito che l'odio miserabile, alimentato dall'invidia livida per tutto quello che di buono le persone odiate possono avere, si riproduce per contagio mentale anche in soggetti lontani dalle persone oggetto di odio, ma vicine a chi quel malanimo porta nel cuore.
Sara l'aveva scoperto in modo per lei traumatizzante dopo che suo padre era morto.
Non potendo lasciare sua madre a vivere da sola, con parte dell'eredità e con un mutuo, aveva acquistato un grande appartamento in modo che sua madre potesse avere una piccola stanza per sé. Pensava che fosse la cosa migliore per lei non rimanere da sola nella casa romana di proprietà dei suoi genitori, che fu affittata. Pensava che la presenza dei nipotini potesse allietare la sua solitaria vecchiaia. Ma così non fu. Le smanie della sua psicosi la rendevano insofferente a tutto rendendo la vita della giovane difficile. 
Empatica come era sempre stata, Sara notò degli atteggiamenti non consoni nella collaboratrice domestica che l'aiutava in casa due o tre volte a settimana e ben presto ne scoprì la ragione. Una donna anziana, dalla faccia campagnola e l'espressione aspra che incrociava spesso ferma sul portone a parlare con altre donnette del palazzo, la guardava smettendo di parlare e ugualmente facevano le sue interlocutrici del momento. Le fu chiaro chi fosse una volta che sorprendentemente la incontrò nella piccola piazza del paese dal quale ora stava tornando, in una rara occasione in cui vi era andata per sistemare alcune faccende riguardanti la casa delle vacanze non ancora venduta. 
La guardò e fece per salutare, dato che non potevano nascondersi di conoscersi di vista abitando nel medesimo condominio in città. Ma quella con espressione dura e inusitata arroganza girò lo sguardo altrove.
La giovane donna pensò che una simile persona di evidente modestia sociale avesse ben poco da sentirsi superiore rispetto a lei giacché Sara, pur non essendo superba, era pienamente cosciente del suo livello sociale e culturale rispetto a quella anziana donnetta. Dava per scontato che la sua collaboratrice domestica, essendo anche la moglie del portinaio del palazzo, parlasse di lei e di sua madre con il giro di donnette, ma non avendo nulla di cui preoccuparsi la cosa per lei non rivestiva importanza. 
Capì ben presto chi fosse quella strana persona giacché di quel borgo conosceva tutto: avi e viventi. Quella donna non era del paesino dunque il legame doveva dipendere da legami di parentela acquisita. La sua banale intuizione fu confermata dal fatto che, dato l'ambiente ristretto, la rincontrò con uno dei cugini di Filomena e sua moglie lo stesso giorno.
Questi era un bell'uomo che si era mostrato anche galante con lei, dato che gli piacevano in generale le belle donne, che per un certo periodo era stato ospitato in casa di suo zio Amedeo ed aveva lavorato nella sua ditta. Accanto a lui sua moglie, una donna scostante con un bel viso, ma molto in carne: l'anziana era sua suocera.
Antonio, così si chiamava il bel cugino di Filomena, la salutò cordialmente come sempre, le due donne no.
Sara ricordò che la donna in carne era una parrucchiera, dato che Antonio l'aveva presentata come la sua fidanzata a lei e a suo padre in una circostanza estiva in cui Sara era in vacanza presso i suoi genitori. 
Sara non aveva avuto che rapporti sporadici con i parenti di Filomena e sempre improntati a rispetto ed educazione. Dava però per certo che lei sfogava il suo odio verso suo padre e, per estensione, su tutta la sua piccola famiglia parlandone male con la sua corte di parenti da lei beneficati.
E quelli restituivano il favore accontentandola nella denigrazione, pur non avendo nulla da spartire con Sara e famiglia.
Ben presto la suocera di Antonio accese la curiosità malevola del manipolo di donnette poco acculturate del palazzo dove Sara abitava. Apprezzamenti sulla salute mentale di sua madre venivano proferiti volutamente da gente che lei non conosceva quando transitava sul portone. Sara non poteva che ignorare tutto questo, anche perché aveva con sé i suoi bambini e non poteva reagire accendendo una lite con gente rozza e a lei sconosciuta.
Temendo forse una ritorsione, l'anziana spargitrice di malevola maldicenza un giorno, mentre Sara passava,  dichiarò: "Io ho servito in casa di gente importante! Guai se qualcuno mi vuole fare qualcosa!" Le donnette che aveva intorno sogghignarono.
Sara scoprì qualcosa che non conosceva, dato che le sue frequentazioni, fino a quel momento, erano state di ben altro livello. Non capiva quel linciaggio da parte di persone con cui non aveva nulla a che fare, che neppure conosceva: scoprì che esistono i fiancheggiatori del malanimo, gli odiatori per scelta, gente che nel suo caso l'aveva con lei solo perché non era dello stesso livello culturale e sociale, e per di più era bella e non mandava i suoi bambini a giocare per strada come tutte quelle donnette che davano ascolto alla suocera di Antonio.
Sua madre era tutt'altro che matta o scema come costoro si permettevano di definirla e si accorgeva di quella gazzarra diffamatoria sussurrata quando anche lei transitava sul portone dove quella genìa passava gran tempo, ma a differenza di sua figlia che ne era traumatizzata lei ne era assolutamente indifferente. Sara seppe casualmente che sua madre si serviva da una parrucchiera della zona diversa da quello dove lei andava e un giorno le disse: "Ma è strana.. Mentre mi faceva i capelli ha commentato "questa matta".. Non porta rispetto, è maleducata."
"Ma non ci andare più! Ma come si permette?! Deve essere matta lei per trattare così una cliente!" Proferì colpita la figlia.
Con il suo solito distacco la madre di Sara rispose con calma indifferente: "No, non ci vado più. Andrò da un'altra parte."
Visto che la suocera di Antonio abitava lì Sara ebbe il sospetto che "quella" parrucchiera fosse la figlia, che avesse il negozio in quella zona.
Comunque quell'assedio di idiozia fatta di insulti, maldicenza e calunnie avvelenavano l'aria a Sara che, per la prima volta, scopriva qualcosa che esiste e può dare molto fastidio.
Provò a difendersi allontanando dal servizio la moglie del portinaio, che poteva alimentare con stupidi pettegolezzi quel formicaio, dato che aveva accesso in casa sua. Ma fu peggio perché arrivò la calunnia: figlia di matta e matta pure lei. E fu un'altra scoperta di vita per la giovane vedere come la gente, certa gente, mostra di credere a una realtà che non c'è, perché quella realtà le piace.
"Se ti avessero calunniata come puttana - le disse una volta una sua amica che insegnava greco e latino nei licei - sarebbe stato più facile crederci, perché non è pecca visibile, ma farti passare per malata di mente è impossibile, tu sei la smentita vivente che non lo sei. Vogliono crederci perché così gli piacerebbe che fosse, perché questo da loro soddisfazione. Sei bella, sei naturalmente elegante, tieni bene i tuoi bambini e non li mandi in strada come mandano i loro, sei colta ed hai un marito con una professione d'élite... Lasciagli pure dire che sei pazza." Sorrise.

sabato 19 ottobre 2019

Sisma - Romanzo Capitolo IX

Sisma
Romanzo inedito di Rita Coltellese
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SISMA

Capitolo IX
 (Il Capitolo VIII è stato pubblicato il 12 ottobre 2019)

Tommaso rispose con aria stanca: "Non si potrebbe entrare, ma ormai chi controlla? Se ne sono andati tutti: militari, Vigili del Fuoco... Dopo tanto tempo.. Mica potevano stare qui a presidiare in eterno."
La donna allora lo salutò, sollevata di poter tornare alla sua esplorazione in solitudine, abbandonandosi ai suoi ricordi e ai suoi pensieri.
Nell'avviarsi nella prima strada che, in leggera discesa, portava nel cuore del paese, cominciò a sentire un turbamento più forte.
Avanzava camminando piano, con estrema cautela e qualche timore che potesse caderle qualche pietra, rimasta in bilico, sulla testa.
Il terremoto era stato spaventoso nella sua forza distruttiva. Era quella una zona sismica, ma per un secolo almeno non vi era stato nulla di distruttivo: ogni tanto qualche tremito della terra, ma poi le antiche case restavano salde, come prima.
Con emozione si avvicinò alla casa che era stata delle sue vacanze: ora era  distrutta, pietre giacevano ammassate davanti a quelle che erano state le scale di accesso, dopo tanto tempo non erano state ancora rimosse. 
L'aveva venduta molti anni prima, ma lì aveva passato le estati con sua madre e suo padre.. Pensò che quella distruzione era avvenuta ad un secolo esatto dalla nascita di suo padre.. Poco distante sorgeva la casa natale di sua madre, che uno degli eredi di un suo fratello aveva ristrutturato spendendoci molti soldi. "Poveretto!" Pensò Sara. "Un investimento non recuperabile.."
Molte di quelle case erano ormai solo seconde case, dove amanti di quei borghi tornavano in vacanza. Giornali e televisioni che parlavano di quei territori non chiarivano se i possessori di seconde case sarebbero stati risarciti dallo Stato, essendo ancora molto confusi anche gli aiuti a chi vi risiedeva stabilmente.
Volse lo sguardo dove la strada proseguiva in sempre più rapida discesa ma non si sentì di proseguire: le sembrava di stare in un cimitero, scendere ancora in quella solitudine, in un silenzio di morte, per vedere altre rovine le creò timore, quasi paura.
Tornò sui suoi passi verso la piazza, ricordando la sua scelta di non lasciare nel locale cimiterino suo padre, che era morto proprio in quella casa che poi lei aveva venduta.
Molti dei nativi lasciavano detto ai loro discendenti di voler tornare al paese da morti. Così il viaggio dai luoghi dove erano vissuti per lavoro lo facevano al contrario di quello che Sara fece fare al cadavere di suo padre.
Sarebbe stato economico e comprensibile sul piano etico e sentimentale se semplicemente lo avesse fatto tumulare lì, dove era morto. Invece lei aveva affrontato una spesa per fargli fare il percorso al contrario: lo aveva riportato dove aveva vissuto e lavorato per gran parte della sua breve e sofferta esistenza, perché lo voleva vicino, voleva andare a portargli un fiore senza dover affrontare un viaggio di chilometri.
Ora quella scelta si rivelava ancora più giusta dati i drammatici eventi: anche i cimiteri di quei paesetti avevano subito gli effetti del sisma e scene macabre erano passate davanti agli occhi dei soccorritori. Fornetti distrutti avevano vomitato fuori le bare che, cadendo rovinosamente, in alcuni casi si erano aperte.
L'orrore si era aggiunto all'orrore. Sara rabbrividì al pensiero che questo avrebbe potuto accadere alla salma di suo padre.
"Chissà se qui hanno risistemato il cimitero.." Si chiese, presa da quei pensieri lugubri. Sapeva che lì c'erano i suoi nonni, ma non potendo farci nulla allontanò ogni altra domanda da sé.
Era ritornata sulla piazzetta. Gettò uno sguardo là dove aveva lasciato Tommaso, ma non c'era più. Ne fu sollevata e, affrettando il passo, si diresse decisa verso la sua auto.
Salì e avviò il motore. Iniziò a ridiscendere verso la statale lentamente mentre i ricordi sentimentali, soprattutto legati al ricordo dei suoi genitori che lì erano nati, cominciavano a sfumare in sentimenti diversi.
Il rivedere dopo tanto tempo quei luoghi così distrutti le aveva si suscitato emozioni passate, poi una desolante pietà, ma infine se ne era sottratta quasi con paura e aveva sentito che la sua personale missione verso quei luoghi feriti era finita. Lo doveva a quella parte di sé legata alle sue radici, ma era lì che aveva iniziato a scoprire quella parte della vita che riguardava i sentimenti negativi, cattivi del prossimo, senza che allora capisse fino in fondo che quella realtà l'avrebbe ritrovata ovunque e in forme peggiori, fino a giungere, in un'età matura, alla conclusione che l'Uomo, in gran parte, è soltanto un animale malvagio e stupidamente superbo. 
Quella gente, le cui case ora erano solo rovina e addolorate piangevano sui loro beni che non valevano più nulla, in gran parte aveva covato uno dei sentimenti più miserabili e più diffusi: l'invidia. Da tale cattivo sentimento poi era scaturita la maldicenza sogghignante e financo la calunnia.

sabato 12 ottobre 2019

Sisma - Romanzo Capitolo VIII

Sisma
Romanzo inedito di Rita Coltellese
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SISMA

Capitolo VIII
 (Il Capitolo VII è stato pubblicato il 28 settembre 2019)

Da quella piazza si dipartivano due sentieri, due tratturi in terra battuta: partivano con un'unica apertura ampia per poi restringersi là dove si biforcavano, uno che saliva il fianco della collina, per poi tornare quasi pianeggiante ma avendo su un lato il terreno digradante con ripida pendenza verso la valle, l'altro che proseguiva dritto costeggiando un orto segreto agli sguardi esterni, protetto da un cancelletto di fitti rami intrecciati e da una spessa siepe da cui traboccavano in profumo e in rosea bellezza delle rose canine.
Sara gettò uno sguardo all'imbocco di quei sentieri che conducevano entrambi ad una valle interna della collina in cui sorgeva quel paesino. Era una valle in dolce pendenza in cui gli abitanti di quel borgo avevano ciascuno un piccolo appezzamento di terreno, giacché la mancanza di elasticità mentale, quando non la grettezza, aveva indotto le famiglie a frammentare i terreni vasti dividendoseli ad ogni successione. Piuttosto che dire: "A te quel podere e a me quest'altro", avevano preferito dividerne ciascuno a striscie più piccole, giacché ogni terreno poteva avere qualcosa in più o qualcosa in meno rispetto all'altro...
Il sentiero in salita portava alla parte più alta di quella valletta fertile e quello dritto alla parte bassa; Sara ricordò i suoi percorsi estivi su quei sentieri e il profumo acuto e dolcissimo ad un tempo della rosa canina... Poi a metà del percorso del tratturo che proseguiva dritto c'era a lato di esso un sorbo: non apparteneva a nessuno, era sorto rigoglioso sul ciglio della strada e Sara non aveva mai più mangiato frutta più buona di quelle sorbe...
Lasciò quei dolci ricordi e girò lo sguardo sulla piazza. L'edificio bianco costruito dal marito di Natalina era ancora lì, in piedi, segno che era stato costruito bene, nonostante fosse il primo edificio nuovo costruito in quel borgo almeno sessanta anni prima.
Un uomo di piccola statura sedeva desolato sul sedile di pietra esterno addossato alle mura.
Si guardarono in silenzio, studiandosi nel tentativo di riconoscersi.
Lei era favorita dal fatto che, se lui era lì, doveva essere uno dei numerosi figli di Natalina... Ma quale? Mentre la donna frugava nella sua mente, cercando di riconoscere con lo sguardo quel volto necessariamente invecchiato per dargli un nome, lui faceva altrettanto senza riuscirci.
"Buongiorno." Salutò lei per prima.
"Buongiorno." Rispose l'uomo scrutandola con timida diffidenza.
"Immagino che sei uno dei figli di Tommaso e Natalina?" Chiese con un gentile sorriso la donna.
"E lei chi è?"
Rispose l'uomo senza rispondere alla domanda.
"Sono la figlia di  Giovanni Cassini... "Nanni".." Aggiunse il nomignolo con il quale suo padre era universalmente conosciuto nel suo paese natale.
Il volto dell'uomo si schiarì un poco mantenendo però una patina di malinconia: "Ah! Ho capito! Come ti chiami? Non mi ricordo..."
"Sara." Disse prontamente la donna, mentre percepiva che quello non poteva essere uno dei figli di Natalina, tutti nati prima di lei, perché era un uomo che dimostrava un'età intorno ai cinquanta anni, anche se i tratti del suo volto ne ricordavano altri, in particolare quelli di un figlio di Natalina che una volta era stato in visita nella casa dove lei, bambina, viveva con i suoi genitori in un bel quartiere di Roma. Era venuto con la sua fresca sposa, una bella ragazza un po' in carne, piena di salute e di sorriso. Forse poteva essere suo figlio.
"Io sono Tommaso, sono il figlio di Giuseppe."
Sara capì. L'uomo del suo ricordo era dunque lo zio della persona con cui stava parlando, dato che Giuseppe era l'unico della numerosa prole di Tommaso e Natalina che era rimasto lì a vivere ed a gestire l'attività commerciale della famiglia.
"Hai il nome di tuo nonno." Osservò con un sorriso Sara.
"Come mai sei venuta?" Domandò l'uomo sempre rimanendo seduto sul sedile con l'aria stanca. Poi, senza attendere risposta, fece un gesto ampio del braccio verso il centro del paese: "Qui è tutto distrutto.. Non c'è più niente.."
Sara si sentì stringere il cuore davanti a quella tristezza che leggeva nei gesti e nel viso dell'uomo. Era giustamente annichilito da tanta potenza della natura che aveva distrutto tutto e si sentiva inerme di fronte a tutto questo.
Non osava dirgli nulla perché ogni parola sapeva che sarebbe suonata vana, ma qualcosa doveva pur dire: "Ora chi è rimasto in paese?"
"Nessuno, - disse sempre più desolato Tommaso - due o tre persone perché è tutto zona rossa."
"Certo la vostra attività..." Provò a dire quasi con pudore la donna, dato che la situazione era visibilmente disperata.
"Eh!" Proferì con rattenuta e rassegnata desolazione l'uomo alzando le spalle e scrollando la testa.
Non c'era nulla da dire. Cosa poteva chiedere a quell'uomo: "Come fai a vivere? Vi danno qualcosa?" Era improponibile. 
Aveva sperato di non incontrare nessuno ma era inevitabile che, sia pure in una zona desertificata dal terremoto, qualcuno ci poteva essere.
Girando la testa verso la strada che portava al centro del borgo chiese: "Ma si può entrare nella zona rossa?"

mercoledì 9 ottobre 2019

Il mondo cambia...

Il mondo cambia ogni dì... cantava Renato Rascel, ed è ovvio. Solo che ora sta cambiando molto in fretta e certe cose mi sorprendono.
La popolazione sta invecchiando in Italia come in altri Paesi che hanno raggiunto un po' di benessere, dunque il mercato dovrebbe vendere di più prodotti per noi anziani. Invece no.
Oggi avevo deciso di comperarmi una gonna di colore blù, perché ho due giacche che richiamano quel colore e nella mezza stagione volevo abbinarle.
Prima di fare la spesa nel Centro Commerciale Tor Vergata di Roma sono entrata dunque in un negozio di abbigliamento femminile di cui mi hanno fatto anche la tessera (non so a cosa serva, ma tant'è).
Mi guardo intorno e non vedo stand di gonne, mi rivolgo dunque alla commessa: "Scusi, dove posso trovare delle gonne?"
"Come la vuole? Come quella che porta?"
La gonna che indosso ferma la sua lunghezza un palmo sotto il ginocchio.
"Si ma va anche bene lunga al ginocchio, purché non lunga alla caviglia."
Mi mostra uno stand minimo e defilato vicino agli spogliatoi e ne trae una bella gonna nera di lunghezza appena sotto il ginocchio.
"Bella. Avete altri colori?"
"No, solo questa, solo nero."
Sorpresa dalla scarsa scelta dico: "Peccato, grazie lo stesso."
Spiritosamente lei fa: "Ne abbiamo ma a minigonna e non credo.."
Sorrido: "Beh, no, sono anziana ma il cervello ancora mi funziona bene!" Sorridiamo insieme. Mentre esco penso a tutte quelle poverette, vecchie come me, e magari piene delle rughe che io non ho, che si vestono come delle ragazzine risultando grottesche.  
Passo ad un secondo negozio, poi ad un terzo, un quarto... Infine li ho girati tutti quelli di abbigliamento e tutti hanno solo gonne o corte e rigorosamente nere o "longhette" a pieghe, con improbabili rifiniture in tulle, nere o, eccezione, grigie.
Conclusione: i giovani si vestono da funerale!!

Noi anziani non veniamo considerati dal mercato.
Non ho voglia di andare in giro, ho già mal di piedi così...
Fatta la spesa, mentre spingo il carrello pieno verso il parcheggio, passo davanti al negozio dei telefonini e vedo un'offerta: "Se hai TIM da un anno in regalo uno smartphone".
Mi fermo dato che è un negozio a stand aperto sul passaggio e chiedo lumi: "L'offerta è che può pagarlo a rate." Mi fa il ragazzo allo stand.
"A rate?! No, e che a rate? Lo pago subito. Ma quanto costa?"
"Dipende, ci sono da 100 euro fino a 1000 ecc.!"
"A me serve per metterci la scheda che ho su questo vecchio cellulare." E mostro il piccolo cellulare a tastiera che ho.
"Ma deve metterci subito Internet. Tutti i cellulari che abbiamo sono abilitati per Internet."
"Ma non si può avere un telefono solo per telefonare?"
"No, noi vendiamo solo telefoni già con il collegamento Internet."
"Grazie." E mi avvio verso il parcheggio sotterraneo...
Penso che non c'è scelta, altri hanno scelto per noi: tutti vestiti di nero... tutti con Internet sul cellulare... Che tristezza!