domenica 7 luglio 2019

Moni Ovadia


Ideatore, regista, attore e capocomico di un "teatro musicale" assolutamente peculiare, Moni Ovadia è il protagonista dello spettacolo “Kavanàh. Storia e canti della spiritualità ebraica”, in onda sabato 6 luglio alle 21.15 su Rai5
Ieri sera non mi andava di leggere il libro che sto leggendo di Giorgio Bassani "L'odore del fieno" ed ho tentato di vedere un poco di TV. Mentre in soggiorno mio marito vedeva l'orribile trasmissione con Bonolis, in cui l'unico che porta un minimo di ineffabile ed umile comicità è Luca Laurenti, sono andata a letto ed ho acceso il televisore senza trovare nulla che potesse essere di un minimo interesse, finché non mi è apparso Moni Ovadia e mi sono fermata, seguendo per un'oretta qualcosa che dà ristoro all'anima, non immortale ma ora viva, ed all'intelletto.
Moni Ovadia l'ho visto ed ascoltato da vicino anni fa nell'Aula Magna della Facoltà di Lettere e Filosofia dell'Università dove ho lavorato per 25 anni, Aula poi detta Auditorium che fu nominato in onore di Ennio Morricone invitato per l'occasione.
Con la direzione artistica del Maestro Luigi Lanzillotta noi dipendenti, e non solo, abbiamo potuto godere, pagando un abbonamento minimo, di stagioni di concerti ed incontri con varie personalità del mondo musicale eccezionali per qualità.
Fra queste Moni Ovadia. Non ricordo se lui in quell'occasione recitò e suonò, giacché gli incontri erano i più diversi come impostazione, ricordo che parlò molto, seduto sul palco con i suoi interlocutori, e alla fine mi sembrò troppo verboso e noioso.
Ma ieri sera era accompagnato da quattro meravigliosi violini che suonavano musica yiddish ed egli ha parlato di ebraismo e recitato preghiere in ebraico. Anche se non condivido il pensiero di Moni Ovadia egli è indubbiamente una mente, trasmette il suo pensiero, le sue riflessioni, la sua grande cultura, mantenendo vivo il tuo interesse (almeno il mio).
Non sempre in personalità di cultura e formazione ebraica appare la religione, un esempio è Philip Roth in cui è totalmente assente.
E' molto presente in Oz, come argomento dei suoi scritti, anche se non so, come ho già scritto, se Oz fosse o meno credente.
Moni Ovadia è agnostico. E già questo non mi piace. Sospendere l'idea vuol dire non averne nessuna. 
Dopo un inizio della mia vita in cui credevo nelle storie raccontatami della religione della mia famiglia, una vita trascorsa sempre riflettendo sulla realtà oggettiva, ho raggiunto l'equilibrata certezza che Dio invisibile e perfetto che abbia eletto l'Uomo a sua immagine non esiste, né per i cattolici, né per le varie confessioni cristiane, né per gli ebrei, né per i musulmani. Le tre religioni che si figurano un Dio così per avere una Consolazione e una Guida.
Come diceva ieri sera dagli schermi TV di RAI 5 Ovadia, non è importante che Dio ci sia, importante è seguire la propria etica, nel suo caso, e di molti ebrei atei o agnostici, seguire gli insegnamenti della Torah. 
La sofferenza millenaria del popolo ebraico, spesso sottoposto ad oppressione, limitazione dei suoi diritti rispetto a quelli di altri, persecuzioni e infine l'orrore indicibile dello sterminio hitleriano con la complicità di Mussolini, mi toccano l'animo da quando l'ho scoperto a 14 anni. Dopo, leggendo, ho scoperto e vado scoprendo molto di più. Ad esempio leggendo Oz ho scoperto che già ai primi del '900 dell'era cristiana nella Russia zarista gli ebrei avevano interdetto l'accesso alla scuola superiore dello stato e dovevano, volendo, continuare gli studi in scuole ebraiche gestite e finanziate dalle comunità israelitiche. Dunque non è stata solo la Russia comunista a discriminare come io credevo dopo aver letto il copione di "Mosca addio": una volta, parlando con una mia collega di questa storia vera di un'astrofisica russa ebrea, mi si chiuse la gola e non riuscii a controllare le lacrime. Perché nulla mi ferisce di più dell'ingiustizia.
Posso fare poco, solo scrivere quello che penso e, come faccio da anni, dare il mio 8xmille alle Comunità israelitiche.
Oz è moderatamente critico sul piano etico e politico con l'agire di Israele verso i palestinesi. Ovadia lo è ancora di più, fino al punto di essere uscito dalla Comunità israelita di Milano e in seguito ha rilasciato a spiegazione la seguente dichiarazione:
Da: IL MANIFESTO

Perché lascio la comunità

Lunedì scorso tramite un’intervista chiestami dal Fatto Quotidiano, ho dato notizia della mia decisione definitiva di uscire dalla comunità ebraica di Milano, di cui facevo parte, oramai solo virtualmente, ed esclusivamente per il rispetto dovuto alla memoria dei miei genitori. A seguito di questa intervista il manifesto mi ha invitato a riflettere e ad approfondire le ragioni e il senso del mio gesto, invito che ho accolto con estremo piacere. Premetto che io tengo molto alla mia identità di ebreo pur essendo agnostico. Ci tengo, sia chiaro, per come la vedo e la sento io. La mia visione ovviamente non impegna nessun altro essere umano, ebreo o non ebreo che sia, se non in base a consonanze e risonanze per sua libera scelta. Sono molteplici le ragioni che mi legano a questa «appartenenza».
Una delle più importanti è lo splendore paradossale che caratterizza l’ebraismo: la fondazione dell’universalismo e dell’umanesimo monoteista – prima radice dirompente dell’umanesimo tout court – attraverso un particolarismo geniale che si esprime in una “elezione” dal basso. Il concetto di popolo eletto è uno dei più equivocati e fraintesi di tutta la storia.
Chi sono dunque gli ebrei e perché vengono eletti? Il grande rabbino Chaim Potok, direttore del Jewish Seminar di New York, nel suo «Storia degli ebrei» li descrive grosso modo così : «Erano una massa terrorizzata e piagnucolosa di asiatici sbandati. Ed erano: Israeliti discendenti di Giacobbe, Accadi, Ittiti, transfughi Egizi e molti habiru, parola di derivazione accadica che indica i briganti vagabondi a vario titolo: ribelli, sovversivi, ladri, ruffiani, contrabbandieri. Ma soprattutto gli ebrei erano schiavi e stranieri, la schiuma della terra». Il divino che incontrano si dichiara Dio dello schiavo e dello Straniero. E, inevitabilmente, legittimandosi dal basso non può che essere il Dio della fratellanza universale e dell’uguaglianza.
Non si dimentichi mai che il «comandamento più ripetuto nella Torah sarà: Amerai lo straniero! Ricordati che fosti straniero in terra d’Egitto! Io sono il Signore!» L’amore per lo straniero è fondativo dell’Ethos ebraico. Questo «mucchio selvaggio» segue un profeta balbuziente, un vecchio di ottant’anni che ha fatto per sessant’anni il pastore, mestiere da donne e da bambini. Lo segue verso la libertà e verso un’elezione dal basso che fa dell’ultimo, dell’infimo, l’eletto – avanguardia di un processo di liberazione/redenzione. Ritroveremo la stessa prospettiva nell’ebreo Gesù: «Beati gli ultimi che saranno i primi» e nell’ebreo Marx: «La classe operaia, gli ultimi della scala sociale, con la sua lotta riscatterà l’umanità tutta dallo sfruttamento e dall’alienazione».
Il popolo di Mosé fu inoltre una minoranza. Solo il venti per cento degli ebrei intrapresero il progetto, la stragrande maggioranza preferì la dura ma rassicurante certezza della schiavitù all’aspra e difficile vertigine della libertà.
Dalla rivoluzionaria impresa di questi meticci «dalla dura cervice», scaturì un orizzonte inaudito che fu certamente anche un’istanza di fede e di religione, ma fu soprattutto una sconvolgente idea di società e di umanità fondata sulla giustizia sociale.
Lo possiamo ascoltare nelle parole infiammate del profeta Isaia. Il profeta mette la sua voce e la sua indignazione al servizio del Santo Benedetto che è il vero latore del messaggio: «Che mi importa dei vostri sacrifici senza numero, sono sazio degli olocausti di montoni e del grasso dei giovenchi. Il sangue di tori, di capri e di agnelli Io non lo gradisco. Quando venite a presentarvi a me, chi richiede da voi che veniate a calpestare i Miei Atri? Smettete di presentare offerte inutili, l’incenso è un abominio, noviluni, sabati, assemblee sacre, non posso sopportare delitto e solennità. I vostri noviluni e le vostre feste io li detesto, sono per me un peso sono stanco di sopportarli. Quando stendete le mani, Io allontano gli occhi da voi. Anche se moltiplicate le preghiere, Io non ascolto. Le vostre mani grondano sangue. Lavatevi, purificatevi, togliete il male delle vostre azioni dalla mia vista. Cessate di fare il male, imparate a fare il bene, ricercate la giustizia, soccorrete l’oppresso, rendete giustizia all’orfano, difendete la causa della vedova».( Isaia I, cap 1 vv 11- 17).
Il messaggio è inequivocabile. Il divino rifiuta la religione dei baciapile e chiede la giustizia sociale, la lotta a fianco dell’oppresso, la difesa dei diritti dei deboli. Un corto circuito della sensibilità fa sì che molti ebrei leggano e non ascoltino, guardino e non vedano. Per questo malfunzionamento delle sinapsi della giustizia, i palestinesi non vengono percepiti come oppressi, i loro diritti come sacrosanti, la loro oppressione innegabile.
Qual’è il guasto che ha creato il corto circuito. Uno smottamento del senso che ha provocato la sostituzione del fine con il mezzo. La creazione di uno Stato ebraico non è stato più pensato come un modo per dare vita ad un modello di società giusta per tutti, per se stessi e per i vicini, ma un mezzo per l’affermazione con la forza di un nazionalismo idolatrico nutrito dalla mistica della terra, sì che molti ebrei, in Israele stesso e nella diaspora, progressivamente hanno messo lo Stato d’ Israele al posto della Torah e lo Stato d’Israele, per essi, ha cessato di essere l’entità legittimata dal diritto il internazionale, nelle giuste condizioni di sicurezza, che ha il suo confine nella Green Line, ed è diventato sempre più la Grande Israele, legittimata dal fanatismo religioso e dai governi della destra più aggressiva. Essi si pretendono depositari di una ragione a priori.
Per questi ebrei, diversi dei quali alla testa delle istituzioni comunitarie, il buon ebreo deve attenersi allo slogan: un popolo, una terra, un governo, in tedesco suona: ein Folk, ein Reich, ein Land. Sinistro non è vero? Questi ebrei proclamano ad ogni piè sospinto che Israele è l’unico Stato democratico in Medio Oriente. Ma se qualcuno si azzarda a criticare con fermezza democratica la scellerata politica di estensione delle colonizzazioni, lo linciano con accuse infamanti e criminogene e lo ostracizzano come si fa nelle peggiori dittature.
Ecco perché posso con disinvoltura lasciare una comunità ebraica che si è ridotta a questo livello di indegnità, ma non posso rinunciare a battermi con tutte le mie forze per i valori più sacrali dell’ebraismo che sono poi i valori universali dell’uomo.
  8 novembre 2013
Io, non ebrea, di formazione cattolica, oggi serenamente atea, pur rispettando il pensiero di Ovadia non lo condivido, posso accettare la critica, frutto della domanda e del dubbio che sempre deve abitare l'uomo intelligente, ma come avevo avvertito dal suo argomentare quel giorno nell'Auditorium "Ennio Morricone" il suo pensiero stride sul mio che ha altre basi ed è giunto a diverse conclusioni.
Le mie sono che chi vuole la mia distruzione e spreca i soldi che Arafat ed altri hanno raccolto nelle banche svizzere e altrove per la causa palestinese, non può pretendere che io non mi difenda, altrimenti sono e sarò sempre l'ebreo millenario che subisce senza colpe che non siano quelle di tutti gli uomini che abitano questo pianeta.