martedì 28 marzo 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

 Capitolo XI

La raccomandazione dei Medici, degli Infermieri e delle Terapiste della Riabilitazione era, per tutti i ricoverati di quel Reparto, fare attenzione a non compiere gesti o movimenti che potessero interessare lo sterno segato in due e ricucito. La minaccia era che se si fosse riaperto malauguratamente avrebbero dovuto essere riaperti per risaldarlo.

Il trauma che tutti quegli operati al cuore avevano subito rendeva solo l'idea un incubo. Dunque gli esercizi studiati e fatti eseguire dalle Terapiste nella palestra del Reparto erano tutti tesi a non far accadere un simile evento.

Elena ogni mattina ed un po' nel pomeriggio doveva sottoporsi agli esercizi di riabilitazione guidata da Terapiste pazienti e molto ben preparate sul piano psicologico per aiutare quegli zombi che si trascinavano a tornare alla normalità.

Fra gli ospiti Elena riconobbe un uomo che era con lei in Terapia Subintensiva nell'Ospedale dove era stata operata. Egli sfuggiva il suo sguardo quasi temendo di dirle che l'aveva riconosciuta, né Elena lo forzò ad esprimersi dando le viste di riconoscerlo. Era un uomo molto più giovane di lei che si sforzava di recuperare prima possibile le forze. Dopo le frasi di dolore proferite da Elena in Terapia Subintensiva l'uomo si era convinto che ella non si desse il coraggio che si dava lui. Ma così non era, Elena cercava di recuperare le forze ma non era energica come quell'uomo la cui età dimostrata era sui 60 anni: 16 meno della protagonista della nostra storia. Finalmente si fece coraggio e incrociandola nel corridoio le chiese: "Ma lei era all'Ospedale S. Domenico?"
Elena annuì sorridendo pallidamente. Parlarono un poco. L'uomo era stato operato prima di lei, dunque la sua convalescenza era iniziata prima, infatti era già in Subintensiva quando Elena vi era arrivata. Ricordando quei momenti Elena fece una gaffe: " Ricordo quando è venuta in visita sua madre." 
"Non era mia madre, - disse l'uomo con un filo di imbarazzo - era mia moglie." Continuando nel suo equivoco sulla condizione psicologica di Elena l'uomo la incoraggiò a muoversi e a tirarsi su. Elena pensò che era un uomo buono e forse pensarla fragile e darle il buon esempio con il suo muoversi, fare esercizi e camminare velocemente per i corridoi del piano, lo aiutava a sentirsi forte. Si unirono alla conversazione altri ricoverati e parlando con loro l'uomo rivelò che a creargli i problemi cardiaci per i quali era stato costretto a subire una operazione così importante era stato il suo accanito vizio del fumo. Temeva di non riuscire a debellarlo una volta uscito di lì tanto doveva averlo condizionato.
Adriano veniva ogni giorno all'ora delle visite. La loro casa era molto vicina a quel bellissimo Ospedale e questo era confortante per la malata dato che Adriano, anche se non dimostrava i suoi anni, li aveva e fare un viaggio per vederla ogni giorno, come Elena vedeva fare al marito di Lina ad esempio, anche lei ritrovata lì perché non aveva un simile ospedale nella città dove viveva, il quale ogni giorno faceva in auto 100 km. per abbracciare la moglie, sarebbe stato per lei angosciante.
Una sera incrociò in corridoio l'uomo dall'aspetto molto giovanile con la moglie in visita. Si salutarono. Le apparve meno anziana abbigliata in modo diverso da quando l'aveva vista la prima volta, ma ugualmente lui sembrava molto più giovane anche avendo subito un intervento così pesante.
La sera molti passeggiavano nei bei corridoi e si fermavano in una specie di veranda dove i cellulari potevano avere un buon segnale. Scambiavano qualche educata confidenza ed Elena apprese così che persone di 62, 64 anni avevano dovuto subire interventi come il suo.. Alcuni dimostravano molti più anni dell'età svelata e la donna se ne stupì ... Si disse che non aveva dunque di che lamentarsi visto quello che le si stava disvelando in quella esperienza che stava facendo in quel posto.

La notte era lunga e non era facile dormire senza poter stare su un fianco ma solo ed esclusivamente supini. Motivo: sempre la precarietà dello sterno tagliato. I pensieri erano tanti. Il suo carattere quieto e riflessivo sopportava bene quanto le era accaduto. Senza quell'esperienza dolorosa che aveva richiesto coraggio lei sarebbe morta. La vita era dietro le spalle. Senza quella "riparazione" il suo corpo avrebbe finito di lì a poco il suo cammino.
Dunque era tutto qui. Il bene e il male della sua vita le scorrevano davanti.



giovedì 23 marzo 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

  Capitolo X

Nei colloqui che Elena aveva avuto con lo Specializzando in Cardiochirurgia a cui il grande Cardiochirurgo, che l'aveva poi operata, l'aveva affidata, avevano parlato della circolazione extracorporea.

"Non dura tutto il tempo dell'intervento, - disse il giovane Medico - no, al massimo mezz' ora.."  L'intervento era durato 6 ore. Il suo cervello aveva registrato qualcosa: il ricordo di un'immagine di sofferenza. Può una parte del cervello registrare qualcosa nonostante la sedazione profonda? Elena non lo sapeva, ma l'immagine era nitida e la sensazione di dolore, tutto mentale freddo e disumano, un ricordo preciso.

Ne avrebbe parlato a suo marito quando fosse uscita da quel percorso di dolore. Doveva arrivare ad un momento in cui si fosse trovata in pace e calma senza più essere un corpo con tubi, aghi, sensori applicati al corpo, ferite.

E venne il giorno delle dimissioni. Queste non potevano avvenire se non con l'ambulanza che l'avrebbe trasferita dall'Ospedale dove era stata operata a quello dove sarebbe avvenuta la riabilitazione. 

L'autista-infermiere dell'ambulanza era un giovane uomo dai modi sicuri che vinse la sua incertezza a sdraiare il suo corpo fragile e dolente sulla stretta e alta barella. Lo accompagnava una giovane volontaria bella come un'attrice del cinema.

Un bravo Operarore Socio Sanitario che l'aveva assistita in una spiacevole circostanza, andando oltre il suo orario di lavoro, l'aiutò a completare la valigia. Come era grata a tutte quelle persone così professionali... E allo stesso tempo umane e gentili. Era della professionalità di cui si aveva bisogno, soprattutto in quei frangenti in cui non si era più padroni del proprio corpo.. Non delle suonatrici che erano entrate in Terapia Subintensiva pensando di sollevare dei quasi zombi dalla loro sofferenza, né di preti, né di pie donne che facevano volontariato negli ospedali chiedendo ai malati se avevano bisogno di compagnia... Erano i gesti di gente addestrata e professionale che sollevavano dal dolore, che confortavano nel malessere... Non altro.

Salutò la professoressa che era stata sua ultima compagna di stanza e si affidò all'autista-infermiere dell'ambulanza. I suoi modi sicuri la confortavano. Una volta dentro rimase sola con la bellissima volontaria. Parlarono pochissimo durante il tragitto di circa mezz'ora fino all'Ospedale Specializzato per la Riabilitazione, e quel poco fu stimolato dalla giovane con poche domande che facevano parte dell'aspetto psicologico di assistenza verso il malato. Elena rispose volentieri e sinceramente al suo cortese interessamento.

L'Ospedale era in una zona collinare che Elena conosceva benissimo, dato che da 40 anni aveva scelto quelle colline intorno alla sua città per vivere fuori dal caos e dal degrado in cui l'involuzione dei tempi l'avevano gettata.

Fu accolta, fatto subito un elettrocardiogramma, e assegnata al Reparto. Tutto era pulitissimo, tranquillo e il personale gentile ed efficiente. Dapprima le fu assegnata un'ampia stanza singola con bagno. Elena sapeva che tutto questo era pagato dal Servizio Sanitario Nazionale ma si stupì di tanta comodità chiedendosi se per caso non ci fosse un supplemento da pagare. Poi si disse che lei non aveva chiesto nulla e dunque l'Ospedale avrebbe dovuto informarla se c'era una scelta e conseguentemente un supplemento. Ne parlò con suo marito quando giunse in visita nel pomeriggio, ma anche lui escluse che la stanza fosse a pagamento. Avere un bagno tutto per sé era molto confortante, anche se nell'Ospedale da dove proveniva era stata molto fortunata a dividerlo con due compagne, Lina prima e la professoressa dopo, di grande pulizia e civiltà. Rosa, la donna sfinita dai problemi respiratori, non aveva mai potuto usufruirne dato il suo stato di salute: la poveretta era stata sempre a letto con il catetere finché non l'avevano portata via per operarla.

Il giorno dopo ricevette la visita del Medico del Reparto di Riabilitazione Cardiologica. Come nell'Ospedale dove l'avevano operata aveva potuto apprezzare la professionalità di un Medico palestinese, qui apprezzò la simpatia e disponibilità del Cardiologo croato.

Era questi un omone alto, sempre intelligentemente ironico. Facendole l'intervista iniziale apprese che Elena all'Università aveva lavorato con un Professore di Cardiologia che aveva impostato quel Reparto di Riabilitazione Cardiologica, praticamente creandolo. Lo disse a tutto il resto del personale come se quel fatto fosse una investitura di stima che rendesse Elena speciale.

L'ambiente in cui Elena doveva soggiornare almeno un mese si rivelava quanto mai umanamente piacevole e questo era un sollievo in più.

Gli infermieri erano tutti giovani, bravi, addirittura affettuosi, sia le infermiere che i giovani uomini. Le medicazioni non altrettanto piacevoli.




GOCCE DI VITA - La vendetta del "monnezzaro"

GOCCE DI VITA 

Argomento: Giustizia

Suonò al cancello della villa un omino di mezza età, disse di essere il responsabile della Ditta Pollai addetta al ritiro della mondezza. La signora fu gentilissima, non lo tenne sul cancello, ma lo fece accomodare e gli chiese anche se gradiva una bibita, un caffè. Lui rifiutò stupito da tanta cortesia e con cautela iniziò una spiegazione su come dovevano essere conferiti i rifiuti organici: 
"Lei può mettere anche dell'erba nei sacchetti, ma poca.." 
"Ma non ci penso affatto, - disse la donna stupita - io metto l'erba del giardino in sacchi neri che compero e quando sono pieni vi telefono e prenoto il ritiro come da vostre indicazioni. Così è scritto nel vostro sito, queste sono le vostre indicazioni."
A questo punto la donna capì l'equivoco in cui era incorso l'omino a causa della dabbenaggine dei suoi operai: nel giorno del ritiro settimanale dell'organico, che lei metteva in sacchetti dentro un bidoncino dato in dotazione dalla Ditta Pollai, aveva visto che erano spariti anche i sacchi neri degli sfalci di cui lei aveva prenotato il ritiro che, al telefono, le avevano assegnato per quel giorno. 
L'omino, invece di rimproverare i tonti, aveva creduto che la donna avesse esposto quei sacchi come organico.
L'eccessiva delicatezza della signora le impedì di dirgli schiettamente che quei sacchi erano prenotati per altra via, peraltro indicata nelle loro istruzioni. Sperò però che dalla sua risposta molto educata colui avesse capito che c'era stato un equivoco.
Suo padre l'aveva educata, anche con l'esempio, al rispetto di chi svolgeva un lavoro umile. Si lasciarono con l'omino che cerimoniosamente volle darle il suo nome e numero di telefono: per qualsiasi cosa era a sua disposizione. Lei lo ringraziò ma non aveva bisogno di niente sotto quell'aspetto essendo una ambientalista e persona precisa e pignola nel rispettare le regole.  
Molto tempo dopo iniziarono dei pesanti disservizi da parte della Ditta Pollai: si era in un periodo festivo, Feste di Natale, ed era importante pulire bene il giardino, ma al telefono della Pollai non rispondeva nessuno: come fare per far portare via i residui degli sfalci?
Chiamò l'Ufficio del Comune preposto al controllo dell'operato della Ditta appaltatrice del Servizio Ritiro Rifiuti e segnalò l'impossibilità di contattare tale Servizio. Evidentemente il Comune fece il suo dovere richiamando la Ditta, ma la signora scoprì che l'omino responsabile della zona non era solo incapace di capire quello che combinavano i suoi operai sbagliando i ritiri, ma era privo dell'umiltà di riconoscere quello che nella sua organizzazione non andava. Invece di giustificarsi aggredì la signora via telefono inalberando scuse che non stavano in piedi e addebitando l'assenza per quindici giorni del Servizio telefonico al fatto che "lei aveva sbagliato numero"!
"Ma come può dire una simile sciocchezza?! Si indignò la donna. "Per quindici giorni di fila sbaglio numero? Un numero fatto tante volte?"
Ma siccome quello insisteva con molta maleducazione aggressiva la signora gli fece notare che molta gente si lamentava del disservizio anche se non tutti segnalavano al Comune non essendo precisi e accurati come lei.
Intanto la Ditta Pollai proprio in quel periodo aveva saputo di aver perso l'appalto anche se continuava per il momento ad assicurare il Servizio, in attesa di passare la mano alla Ditta subentrante.
Forse per questo non era stata più in grado di dare lavoro alla signora che rispondeva al telefono tenendo l'agenda dei ritiri?
La donna ambientalista della villa non lo sapeva e dopo questo episodio, dovendo un suo parente, che abitava nell'altra parte della bifamiliare, smaltire dei mobili vecchi, telefonò al Comune all'Ufficio preposto per chiedere se quel Servizio fosse attivo e se quel tipo di rifiuto ingombrante fosse smaltibile: l'impiegata rispose di si su tutto e disse che però l'agenda dei ritiri l'aveva la Ditta Pollai che ancora per un po' avrebbe assicurato quel Servizio.
La donna telefonò, i rifiuti furono esposti in uno spazio privato esterno della villa accessibile ai mondezzai che avrebbero operato il ritiro.
Passarono mesi. La signora, evidentemente abbiente, possedeva un'altra villa in un altro Comune e fu in questa che, con sua sorpresa, i Vigili Urbani del posto  le consegnarono una multa indirizzata  a suo marito, emessa dai Vigili Urbani del Comune dove era la Ditta Pollai per violazione amministrativa del conferimento rifiuti.
Suo marito era il titolare della loro cartella TARI in quel Comune dove era la villa bifamiliare ed ivi aveva la residenza.
Prima stranezza: perché tale notifica l'avevano indirizzata dove lei aveva la residenza e non suo marito?
Ma non fu quella l'unica anomalia che lessero su quel verbale corredato di foto fatte in giorni diversi all'ingresso della villa, ciascuna foto interpretata in modo scorretto, in particolare quella che mostrava i rifiuti ingombranti, il cui ritiro era stato prenotato dalla signora ma per il suo parente abitante allo stesso indirizzo e titolare di una sua cartella TARI. A tal proposito il "monnezzaro" responsabile dichiarava alla vigilessa che aveva firmato il verbale che erano stati esposti senza prenotazione!
La signora e suo marito si indignarono e dato che in tale verbale era ammesso ricorso solo al Sindaco esposero i fatti veri e lo presentarono.
Inoltre, dato che era ammesso essere ricevuti dal Sindaco, il marito della signora chiese di esserlo e fu ricevuto.
In esso scrissero anche delle aggressioni telefoniche avute dal soggetto a seguito delle loro lamentele per il disservizio e delle assurdità che tale soggetto si era permesso di millantare arrivando a dire che "loro non abitavano in tale villa" per questo lasciavano la mondezza quando capitava...
Il Sindaco non procedette all'ingiunzione e tutto sembrava finito lì.
Ma il Sindaco si dovette dimettere per alcune denunce e ci furono nuove elezioni.
La signora e famiglia appoggiarono una persona che era già stato Sindaco e che stimavano, ma la campagna elettorale prese una piega triste con accuse e sfottò anche nei riguardi di chi sponsorizzava l'ex Sindaco, soprattutto da parte di un individuo rancoroso e vendicativo come il "monnezzaro". Costui appoggiava un personaggio del tutto nuovo per quel Comune, il quale vinse e di lui fece il Vicesindaco. 
Voci sui social misero in risalto l'ostilità della nuova amministrazione nei riguardi di chiunque non avesse appoggiato il nuovo Sindaco e là dove si poteva iniziarono le vendette.
Fu così che, dopo tre anni, il verbale del "monnezzaro" bugiardo e vendicativo venne rispolverato, venne scritto che, in pratica, tutto quello che il marito della signora aveva dichiarato nel suo ricorso erano balle e che doveva pagare la multa maggiorata.
La vendetta del "monnezzaro" era compiuta.

lunedì 13 marzo 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

 Capitolo IX

Nelle ore passate nel letto, fra un'interruzione e l'altra delle giovani infermiere e di un paio di giovani uomini infermieri che le portavano pillole da ingoiare o le mettevano aghi per effettuare i prelievi ematici, o controllavano che tenesse bene il tubicino dell'ossigeno, Elena pensava: la Morte l'aveva visitata, e quegli attimi in cui all'improvviso il respiro si era quasi del tutto interrotto, riducendola ad una marionetta ancora pensante e cosciente che si trattava di un evento fatale ma che non poteva chiamare aiuto né camminare, le tornavano lucidissimi nella mente.

Il suo corpo aveva accumulato grasso nelle arterie in quei 76 anni tanto da non irrorare più il cuore che si era quasi fermato, poi si era ripreso ma non sarebbe durato a lungo se non si fosse sottoposta a quel lavoro di alta macelleria. Da una gamba, dove era una lunga fasciatura, avevano prelevato un pezzo del suo corpo per usarlo per irrorare il cuore, creando una via artificiale... Ma per la Natura lei doveva essere morta: quindi la sua fine naturale era a 76 anni. Come sua nonna Giulia che era morta di botto proprio a quell'età. Nessuna medicina, nessun controllo in quei 76 anni... Quando era morta Elena aveva 4 anni. Era il 1950. Una donna nata alla fine dell'ottocento in un piccolo paese rurale, senza cure di nessun tipo, era stata forte a giungere a quell'età... Elena invece aveva fatto controlli, preso medicine... Eppure.. 

Pensava ai due cardiologi, un uomo ed una donna, che l'avevano visitata a giugno di quell'anno... Avevano fatto l'Elettrocardiogramma: all'uomo lei aveva detto che aveva una gamba gonfia, lui restando seduto dietro la scrivania aveva gettato un'occhiata alla sua gamba e aveva detto che doveva farla vedere ad un Angiologo... Elena pensava che potesse dipendere dalle pastiglie che prendeva per la pressione arteriosa alta... Sapeva che potevano dare di questi disturbi: era accaduto quando le avevano cambiato farmaco. Poi era passata alla stanza accanto. La visita Cardiologica di controllo l'aveva prenotata tramite il Centro Regionale del Servizio Sanitario Nazionale e, non si sa perché, nella Casa della Salute della sua zona l'avevano data divisa fra due cardiologi... La donna per tutto il tempo della visita parlò con l'infermiera: entrambe avevano modi sciatti e svogliati. Si davano del tu e l'infermiera era una donna rozza e sussiegosa. La Cardiologa consigliò di fare un ecocardiogramma, e fu tutto.

Elena aveva pensato che è triste ridursi così dopo tanto studio.. Non amare più il proprio lavoro. Dal 26 giugno, giorno di quell'inutile spreco di denaro del Servizio Sanitario, al 31 ottobre, giorno della sincope, erano trascorsi solo 4 mesi...

Questi erano i suoi pensieri: lucidi e in fondo sereni, perché la vita per la donna era accettazione ormai.

Una sera sentì un gran correre in corridoio, poi un nome: "Frassinetti si è collassato!" Capì che qualcuno doveva essersi sentito male in Terapia Subintensiva. Più tardi chiese all'infermiera che era entrata per le terapie, e quella con triste pudore ammise che Frassinetti era morto. Non tutti ce la facevano in Subintensiva...

Da una stanza vicina arrivava una voce d'uomo che chiamava con tono perentorio: "Antonio!!"  Lo faceva ogni 5 minuti, in modo ossessivo. Dapprima Elena pensò che chiamasse un infermiere, ma poi capì che chiamava qualcuno che era solo nella sua mente. Nei giorni successivi cambiò nomi, anche uno di donna, ma sempre gli stessi e Antonio era sempre presente. Qualche voce provò a tacerlo bonariamente, forse infermieri, ma senza troppa convinzione essendo evidente che l'uomo era fuori di testa.

Come promesso le arrivò sul cellulare il messaggio di Lina: era risalita dalla Sala Operatoria e dopo una breve sosta in Terapia Intensiva era in Subintensiva. Elena le rispose che era felice. Capiva perfettamente quello che provava: il sollievo di essersi risvegliata perché tutti hanno il timore che questo non avvenga.

Ma c'era nella mente di Elena un ricordo nitido e drammatico di cui non parlò con nessuno: voleva parlarne solo con suo marito perché, oltre il loro legame, c'era la consapevolezza che lui solo avrebbe potuto avvicinarsi ad una spiegazione, dato che suo marito era un uomo che della scienza aveva fatto il suo lavoro e la sua passione nella vita.

Intanto la sua voce era sempre azzerata e i giovani Medici Specializzandi in Cardiochirurgia vennero a toglierle i drenaggi:  "Faccia un bel respiro signora e lo trattenga che facciamo presto presto!"  E lei lo fece, mentre risolutamente ed in modo energico il dottore estrasse dal suo corpo i tubi che lo attraversavano dalla sede cardiaca fino sotto il seno. Fu rapido e così il dolore. Dopo sotto i seni ebbe a lungo delle ferite che venivano giornalmente medicate.

Con l'estrazione dei drenaggi si avvicinava sempre più la data delle dimissioni ed il suo trasferimento nell'Ospedale dove sarebbe avvenuta la riabilitazione.

Lo stesso gentile Medico palestinese, che aveva scritto la richiesta per la consulenza Otorinolaringoiatrica per la sua voce scomparsa, venne al suo capezzale per chiederle in quale Ospedale voleva andare per la riabilitazione. Ne suggerì due lontanissimi dalla sua abitazione ed Elena pensò a suo marito, sempre efficiente ma con tanti anni sulle spalle... Uno dei due Ospedali faceva parte di una catena di Cliniche Private Convenzionate con il Servizio Sanitario Pubblico ed una sua sede era vicinissima a casa sua. Propose quella.



venerdì 10 marzo 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

 Capitolo VIII

Forse si era anche pentita di quello squarcio che aveva aperto sul suo dolore, sui drammi della sua difficile vita, perché quando la portarono via dalla stanza, perché finalmente l'avrebbero operata, Rosa Lucarelli non rispose al saluto che, soffiando con fatica, Elena cercò di darle. Tenne gli occhi serrati per non scambiare neppure uno sguardo...

Ed arrivò animosamente un'ennesima compagna. Animosamente nonostante fosse stata operata al cuore come Elena: la stessa pesante apertura del torace, ma a lei avevano solo sostituita una valvola che non reggeva più... Ciò nonostante era provvista dell'energia necessaria per protestare contro le infermiere della Terapia Subintensiva da cui proveniva. Una bella donna nonostante gli ottanta anni che non dimostrava affatto. 

"E' una professoressa". Si disse Elena con l'intuito sensibile che faceva parte di lei. Di tutte le compagne di stanza che aveva avuto da quando era stata ricoverata questa era la più fine nei tratti del viso e nei modi. E professoressa lo era veramente. Una donna energica con le sue fragilità.. Come in seguito Elena ebbe modo di scoprire..

Si piacquero perché di simile educazione e cultura.

Elena ripensò alla sua amica Giovanna... Professoressa di latino e greco nei licei, grande lettrice di letteratura e amante del Teatro. Diversa da lei, eppure vicina per interessi culturali.. Giovanna che non c'era  più. Se ne era andata a 69 anni sapendolo, perché sei mesi prima della sua scomparsa proprio suo figlio le aveva diagnosticato un tumore che da dentro, solo con qualche dolore non devastante, la stava uccidendo. 

"Ho sempre dei dolori alla schiena..."  Si lamentava. Ma furono i suoi figli, tornati in ferie dall'estero dove lavoravano, a rivolgersi al loro compagno d'infanzia Marco, il figlio Chirurgo di Elena, perché visitasse Giovanna che l'aveva visto crescere: e lui dovette dare loro la sentenza. Ascoltatala chiesero quanto tempo avesse: "Sei mesi."  Disse Marco, e sei mesi furono.

In quei sei mesi Giovanna non fece trapelare nessun tormento, paura o smarrimento per quella morte così vicina che l'attendeva. Eppure era così giovane nei suoi 69 anni affatto dimostrati. Alta, bella, elegante, con quegli occhi che facevano pensare a laghetti di montagna e il bel sorriso. Pranzarono insieme tutti invitati a casa di Marco... Lei sorrideva. Poi nella villa di campagna di Elena: quel giorno portava un tailleur bianco che le stava benissimo. Ai saluti, fuori del cancello, si scostò appena la camicetta sul petto e con un velo di tristezza le disse: "Vedi: questo è il port."  Ad Elena sembrava tutto irreale... Ed invece era terribilmente vero e dopo un po' Giovanna non riuscì più a reggere i dolori con i farmaci che prendeva e chiese di essere ricoverata. Da quel momento in poi Elena la sentì solo per telefono poche volte e non la vide più.

"Stanno discutendo fra i Perfusionisti e i Chirurghi: i Perfusionisti vorrebbero siringarlo, i Chirurghi operare e toglierlo.."  Elena ascoltava smarrita la bella voce della sua amica ormai alterata dal dolore, non osando fare domande. Chiese poi a suo figlio cosa intendessero fare e le fu risposto che qualcuno del Reparto dove era ricoverata aveva ipotizzato di siringare il rene ormai invaso dal cancro, ma era azione rischiosa di complicanze essendo l'organo gonfio di urina. Il fatto era che, essendo il cancro in fase avanzata, non voleva toccarla nessuno per il rischio di morte sul tavolo operatorio, cosa che i Chirurghi rifuggono. Seppe poi che suo figlio si era deciso a farlo lui. Temendo per suo figlio pose alla sua amica la domanda: "Ma sei sicura di volere che te lo tolga il rene? Te lo ha proposto lui oppure...?"

"No, gliel'ho chiesto io di togliermelo.. Non ce la faccio più.."  Aveva risposto la voce sofferente della sua amica.

Seppe poi, dal coraggioso Chirurgo che aveva liberato Giovanna da quel dolore restando colpito lui stesso, che "Era grande come un pallone da calcio e le metastasi al fegato, alcune necrotizzate dalla chemio, erano grandi come palle da tennis...".

Dopo un po', come da prassi, il Chirurgo volle che si alzasse:"Bisogna alzarsi dopo ogni intervento chirurgico."  

"Ho dolore come metto i piedi in terra... Dicono che è fessurato l'osso pubico.."  Forse fu l'ultima telefonata che Elena le fece. Giovanna aveva risposto alla sua chiamata obnubilata dal dolore, credendo che fosse suo figlio che la chiamava: "Vincenzo..."  Aveva proferito la sua flebile voce incrinata dal dolore, e ad Elena era dispiaciuto dirle che invece era lei, Elena... Chiese poi spiegazioni a suo figlio su quel dolore all'osso pubico: "E' andato in metastasi ossea..."  Rispose lui con le labbra piegate all'ingiù in una smorfia. Pur conoscendo la prognosi aveva fatto il possibile per aiutarla, ma sentiva l'amarezza della sconfitta del Medico che subisce la potenza della Morte.



lunedì 6 marzo 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

  Capitolo VII

Non aveva peli sulla lingua il figlio di Elena: "Una simile afonia totale è dovuta al fatto che ti hanno toccato il nervo ricorrente... Speriamo che l'abbiano solo toccato e non leso."  Chiese ed ottenne una visita specialistica otorinolaringoiatrica che evidenziò la paralisi della corda vocale di sinistra. Tutto fu scritto in cartella clinica. Se la voce non fosse ritornata c'era da chiedere i danni. Gli specializzandi di Cardiochirurgia tendevano a minimizzare e ad addebitare il fenomeno all'anestesia e dicevano che era un fatto transitorio, che la voce sarebbe tornata presto.

La mattina si presentava un prete. Era un uomo di mezz'età. Elena rifiutò la Comunione dicendo che non era più credente. Il prete volle indagarne la ragione ed Elena la disse con amare lacrime, dovute anche alla debolezza e al dolore in cui era immersa, ma pure perché era una ferita che per lei non poteva guarire: a causa della malvagità di persone odiose si era trovata in condizioni economiche difficili e proprio in quel momento era arrivato un figlio a cui si era vista costretta a rinunciare. Era stata l'ultima volta in cui si era rivolta a Dio, che le desse un segno della sua presenza e lei avrebbe avuto la forza di fare quel salto nel buio: mettere al mondo un altro essere umano in una situazione economica difficilissima.

Ma le aveva risposto il silenzio. Nessun segno, in nessuna forma. La vita non era stata facile per la donna e aveva visto sfumare tutte le cose in cui credeva, incontrato un mare di ingiustizia, disonestà e cattiveria, aveva dunque dubitato che il Dio dei cattolici esistesse: di fronte al muro di un valore per lei irrinunciabile aveva sperato di nuovo... La sua anima nuda era stata come una parabola di un radiotelescopio che attende un segnale... Nulla. Aveva capito che non c'è alcun Essere invisibile che sia collegato all'Uomo. L'Uomo è solo e chi immagina un Dio, che lo chiami Allah o Geova non cambia, si illude perché la solitudine fa paura.

Ma il prete non si arrendeva: "Io la assolvo, perché Dio l'ha perdonata!" Le disse stringendole la mano, preoccupato solo di darle la particola.

"Sono io che non mi perdono."  Gli rispose sincera la donna. Ma il prete non capiva, l'unica sua preoccupazione era recuperare quella pecorella smarrita e l'atto del suo successo era infilarle in bocca l'ostia e legare la sua coscienza al magistero della Chiesa, unica proprietaria delle coscienze private delle loro responsabilità, di esse alleggerite con l'assoluzione, il perdono di Dio che la Chiesa si fregia di amministrare.

La donna comprese che quell'uomo non capiva cosa significa prendere su di sé decisioni amare che creano rimpianto per sempre, inconsolabili perché privazioni di sé, come il navigatore si libera dei suoi beni gettandoli nel mare in tempesta per alleggerire il carico e salvare il natante.

L'uomo la deluse. In fondo era un prete poco intelligente poverino, pensò. Quello continuava a tenerle la mano insistendo e scuotendole il braccio, senza rendersi conto che la donna era operata di fresco e le braccia non doveva muoverle per lo sterno segato e ricucito e per i drenaggi che, dall'interno del suo corpo, rimettevano all'esterno i liquidi prodotti dal corpo ferito.

Alla fine egli si arrese e se ne andò. Lei gli disse: "Mi dispiace."  Le dispiaceva veramente di non averlo potuto accontentare, capendo come quello fosse chiuso nel suo mondo semplice di prete che riduceva tutti i guai degli Uomini alla consolazione dei riti.

Nel frattempo alla sua compagna di stanza, con la quale ormai si davano del tu, avevano di nuovo imposto un trasferimento: lei la salutò dicendo che se non l'avessero operata entro l'inizio della settimana se ne sarebbe tornata a casa. Elena capiva la sua esasperata attesa ma, allo stesso tempo si chiedeva cosa mai avrebbe fatto a casa, visto che, come era accaduto a lei, il suo cuore per continuare a vivere doveva per forza sottoporsi all'intervento chirurgico. Si scambiarono i numeri di cellulare per messaggiarsi, visto che Elena non parlava: soffiava.

La nuova compagna era una donna molto anziana, dall'aspetto popolano. Elena pensò che magari aveva la sua stessa età ma, poverina, portava gli anni molto male. Aveva una tosse cavernosa e terribile che faceva sentire quantità di catarro mostruose... Gli infermieri e i medici che l'assistevano parlando fra loro dissero che la donna doveva essere operata al cuore ma in quelle condizioni non era possibile. Elena pensò che di certo era impossibile ripensando al catarro che comunque si forma nell'immobilità post chirurgica. La donna aveva girato vari ospedali che si erano guardati bene dal metterci le mani e fra questi uno famoso, soprattutto per la propaganda che si faceva autoincensando i suoi medici, alcuni di immeritata buona fama.

"La verità è sempre lontana."  Pensava Elena assistendo al gran d'affare di medici e infermieri attorno a quella donna, ridotta in uno stato tale che per operarla serviva davvero un gran coraggio.

Via via che le attente cure del personale sanitario la facevano stare meglio anche questa donna iniziò a parlare. Ma a differenza di Maria e di Lina non dimostrava empatia verso chi l'ascoltava, parlava solo di sé e con una sottaciuta reticenza che la sensibile Elena avvertiva. Le disse che aveva 6 figli e solo molto dopo nel parlare venne fuori che uno era morto, dunque ora ne aveva solo 5, e quello morto non era mai stato bene essendo nato con un ritardo mentale. Era comunque diventato adulto, in qualche modo aveva vissuto... Poi era morto senza diventare vecchio. Poi c'era stato anche un nipote, figlio di un altro dei suoi figli, che era morto anche lui, ma in un'età ancora giovane... Nel fluire doloroso di quegli eventi Elena sentì che il più doloroso era stato proprio la perdita di quel nipote: la donna si avvertiva essere stata una persona che aveva affrontato una vita difficile con forza, ma un dolore duro era pietrificato dentro di lei. Parlarne ad un'estranea in circostanze che scioglievano alle confidenze persone come Maria, Lina ed Elena era un sentimento anche suo, ma troppo doveva essere quello che quella donna aveva sopportato per sciogliersi del tutto nel suo intimo dolore. Quasi parlando a sé stessa vennero fuori particolari spezzettati di quel dramma: il nipote aveva dei problemi comportamentali, ma era buono e le voleva bene, disse, poi era ricoverato in un posto, non si capì bene se ospedale o altro...

"Quella domenica dovevo andare a trovarlo.. Ma non potei.. Ero sempre andata.. E lui mi telefonò rimproverandomi: "Nonna - disse - Non sei venuta! Mi avevi promesso che venivi!"  ...E quando andai ..non ce lo trovai più..."  Il racconto si fermò qui, il dolore e il rimorso che la donna provava erano sospesi nell'aria e lei era lontana da lì, immemore di chi l'ascoltava. Elena rimase in silenzio e non fece domande.




venerdì 3 marzo 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

 Capitolo VI

La stanza era a due letti, con una grande finestra da cui si vedeva il cielo e le cime di alberi altissimi. Segno che il reparto di Cardiochirurgia si trovava ai piani alti. Elena realizzò dunque che anche la Terapia Subintensiva si trovava in alto, dato che non era lontana da quella stanza dove l'avevano trasferita. Per tutti i giorni che era stata lì non si era resa conto di dove fosse.

La sua compagna di stanza era una donna dolce che le disse di essere in attesa da qualche giorno di essere operata e non ne poteva più di quell'attesa. Le avevano già cambiato più volte stanza e se non l'avessero operata al più presto se ne sarebbe tornata a casa.

Elena pensò che lei era stata fortunata (non c'è mai limite al margine della fortuna) giacché grazie al professore a cui era arrivato suo figlio aveva atteso solo un giorno nel Reparto di Urologia dove aveva conosciuto Maria, la donna rumena operata di cancro allo stomaco.

Pur con l'impedimento dell'assenza totale di voce di Elena, le due donne in due giorni che stettero dentro la stessa stanza si raccontarono tutto. L'una si esprimeva a gesti e fiato emesso con fatica, l'altra capiva tutto e subito. Stessa cosa che era avvenuta con Maria.

Come il dolore estremo avvicina le persone, facendo cadere le convenzioni che le separano! Sono solo esseri umani spogliati di ogni sovrastruttura. Lina era molto più giovane di Elena eppure il suo cuore aveva bisogno di riparazione come quello della donna più anziana, che iniziò a capire con umiltà quanto fosse stata fortunata ad essere arrivata fin lì senza ciò che a Lina era toccato in sorte a sessantaquattro anni. Raccontò infatti che anche lei aveva dovuto firmare per uscire dal Reparto di Cardiologia dove aveva fatto degli accertamenti, perché anche a lei era stato detto che con il cuore in quelle condizioni non si prendevano la responsabilità di dimetterla. L'intervento era inevitabile: un bypass e la valvola aortica.


La donna già operata raccontò che a lei avevano dovuto applicare tre bypass dato che le sue coronarie erano in gran parte chiuse. 

"A me basterà l'arteria mammaria per fare il bypass, mentre a lei hanno dovuto togliere la vena safena dalla gamba per fare gli altri due."  Disse con competenza professionale Lina che era Tecnico di sala operatoria. Elena annuì. Oltre ai drenaggi che le attraversavano il torace e la ferita sternale aveva infatti una lunga ferita alla gamba sinistra che, insieme al resto, faceva parte del quadro del dolore, attenuato solo in parte dagli antidolorifici che le somministravano. Aveva inoltre il catetere con annessa sacca per le urine e l'ossigeno. Quando iniziò a poter alzarsi per andare in bagno doveva portare dietro tutto l'armamentario, bombola d'ossigeno compresa. Tutto con l'aiuto di un carrellino.



Quando le tolsero il catetere poté farlo senza la sacca e, ormai attaccata all'erogatore di ossigeno fisso, bastava sfilarsi il tubicino dal naso per poi reinserirlo quando tornava a letto.

Intanto chiese soffiando quando le sarebbe tornata la voce. Gli specializzandi di Cardiochirurgia che seguivano i pazienti operati dissero al massimo un mese. La colpa fu ripetuto essere dell'anestesia. Ma suo figlio Chirurgo era terribilmente contrariato da quella conseguenza dell'intervento, ritenendola abbastanza infrequente, e capì subito la causa spiegandola a sua madre.

giovedì 2 marzo 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

 Capitolo V

Nei sotterranei erano le Sale Operatorie. La sua barella fu lasciata in un grande salone disadorno. Di lato a lei, un poco discosta, c'era un'altra barella in attesa di entrare in Sala Operatoria. Elena provò a sbirciare la donna anziana che era come lei in attesa e la vide assorta e insieme assente: Elena pensò all'ansia e paura, che erano anche sue. 

"Si sente ormai rassegnata come un animale che va al macello." Pensò Elena interpretando la sua espressione assente. Un uomo con camice e cappello-fazzoletto calzato in testa, divisa da Sala Chirurgica, uscì da una porta a vetri diversa da quella dove era entrata la sua barella e si avvicinò a lei: "Sono il suo Anestesista."  Si presentò. Le fece alcune domande di tipo medico e si congedò dopo averla rassicurata che tutto sarebbe andato bene. Il resto si svolse per tappe successive in cui lei era ormai un oggetto rassegnato ed inerme.

La Sala Operatoria era un luogo freddo, metallico, superilluminato, in cui figure professionali diverse compivano gesti precisi, ripetitivi e perfetti. Poi fu il buio.

Si risvegliò. E già questo era un successo. Era in una sala piena di monitor, di luci innaturali, senza finestre che facessero intravedere la luce naturale. Tutto era azzurro scuro. Due infermieri, un giovane ed una donna, la lavavano con dei guanti, era nuda e piena di fili. Aveva dolore ma i due addetti a quel compito non se ne preoccupavano, maneggiando il suo corpo ferito con perizia crudele. Quella doveva essere la Terapia intensiva. La passarono quasi subito alla Subintensiva: un grande stanzone dove uomini e donne erano in letti pieni di fili e di monitor, coperti solo di un camice aperto dietro. Alcuni già si alzavano camminando piano per andare in bagno e il camice aperto dietro, tenuto solo da un laccio intorno al collo annodato dietro di esso, lasciava intravedere il sedere. Questa promiscuità sembrò orribile ad Elena. Ma capì che lì si combatteva per restare vivi, essendo tutti in una situazione clinica estrema, dove il pudore ed altri aspetti legati alla formazione culturale non erano più contemplati...

Il dolore, la fatica ad emettere il catarro che si formava nei bronchi  per la stasi, furono i ricordi di quei giorni. Un esercito di infermiere giovanissime si occupava della Subintensiva. Una si chinò sul suo corpo disteso suggerendole di tenersi stretto con le braccia il busto quando tossiva per emettere il catarro, così da proteggere lo sterno che era stato tagliato e ricucito.

Un'altra, con modi sicuri e senza cedimenti alla pietà, la costrinse a scendere dal letto alla sedia per bere il suo primo tè. Era alta, bella e con due grandi occhi scuri. La sua fermezza  professionale si imponeva sulla sua insicurezza e paura. Dopo un giorno o due le mise davanti un carrello e la fece alzare dalla sedia per andare in bagno a lavarsi. Lì le dette dei guanti impregnati di un liquido per lavarsi. Le chiese se ce la faceva da sola. Elena coraggiosamente disse di sì.

Il suo coraggio non c'era sempre. In alcuni momenti in cui l'avevano mossa per esigenze di cura, con tutti i fili a cui era attaccato il suo corpo, aveva emesso dei gemiti di dolore e detto: "Meglio morire!" Questo aveva attirato la dolorosa attenzione di un uomo dall'apparente età di sessanta anni, il quale cercava di reagire all'intervento di cardiochirurgia che aveva subito, e la prostrazione di Elena non gli giovava. 

Anche in Subintensiva erano consentite visite. Suo marito nel vederla in quello stato riportava sul viso tutto il suo dolore smarrito e quasi piangeva. L'uomo dall'apparente età di sessanta anni aveva ricevuto la visita di una donna anziana, con gli occhi pesantemente cerchiati di nero: Elena pensò che avesse qualche strana malattia perché non aveva mai visto occhiaie così impressionanti. L'uomo manifestò il suo turbamento per l'abbattimento della sua compagna di esperienza chirurgica indicandola alla visitatrice: "Questa signora sta proprio giù..."  Lui si faceva forza e coraggio e, sentire Elena che diceva "Meglio morire!" piuttosto che soffrire quell'iter doloroso, lo scoraggiava. I visitatori erano infagottati in camici sanitari, sovrascarpe e mascherine. Elena pensò che la donna con le occhiaie, che la salutò facendole auguri di guarigione, fosse la madre dell'uomo che dimostrava un'età così giovanile.

Egli passò in reparto prima di Elena, dato che quando lei era arrivata lui già era lì.

Ben presto toccò anche ad Elena. Da quando aveva ripreso conoscenza si era accorta di non avere più voce. Riusciva solo ad emettere un soffio quasi senza suono. Le dissero che era conseguenza dell'anestesia.