venerdì 18 gennaio 2019

Io e l'ebraismo

Io e l'ebraismo

Sto leggendo Amos Oz e credo che attraverso lui mi sto immergendo nell'ebraismo di Israele, del moderno Stato di Israele: ho acquistato 4 libri suoi e sto leggendo il primo: "Una storia di amore e di tenebra".
Non avevo mai acquistato suoi libri finché è stato in vita. Appreso della sua morte e delle notizie su di lui mi è venuta voglia di conoscerlo.

Non si possono leggere tutti gli scrittori del mondo viventi, giacché tanti ne leggiamo che sono vissuti prima di noi ma possono ancora parlarci attraverso i loro scritti..
Quindi a volte la nostra scelta è casuale. Di certo però a me l'ebraismo interessa da quando a 14 anni feci la traumatizzante scoperta che qualcuno, poco prima che io nascessi, aveva deciso che chi era ebreo non aveva diritto a vivere e doveva sparire dalla faccia della Terra.
L'ho già scritto in altri miei scritti: avevo 14 anni ed era di pomeriggio nella mia casa di Via Ottaviano, a Roma. Ero da sola, mio padre lavorava di turno pomeridiano quel giorno e mamma era uscita o per andare in Chiesa, dove si recava fino a tre volte al giorno, oppure per sbrigare qualche commissione. Guardavo la TV in bianco e nero, non ricordo se già ci fosse il secondo canale RAI o se fosse solo il primo, so che cominciarono a scorrere le immagini girate dagli statunitensi quando aprirono i campi di sterminio nazisti. Non sapevo nulla di quanto era accaduto appena prima che io nascessi: 1946. Provai un sentimento di tale smarrimento che pensai che non avrei mai voluto essere nata in un mondo in cui era stato fatto questo da uomini ad altri uomini. 
Per quei 14 anni i miei genitori mi avevano preservato dall'orrore: cattolici in modo diverso, comunque credenti che esista un Dio invisibile e soprannaturale che ha messo l'Uomo al centro della Creazione. Mio padre aveva una pessima idea della Chiesa Cattolica perché ne conosceva la nefanda Storia, ma diceva: "Credo ci sia un Ente Superiore a me." Indicando con il dito indice verso l'alto. Aveva un'idea di Gesù Cristo, l'ebreo, sublime e di grande rispetto, ma non credeva che fosse più figlio di Dio di quanto non lo fosse ciascuno di noi.
Mia madre, invece, era una cattolica perfetta: non c'era precetto della Chiesa di cui ella mettesse in dubbio la veridicità. Credeva dunque che Gesù fosse davvero Dio incarnato, credeva nella sua resurrezione dalla morte, credeva che Maria non fosse mai stata toccata da uomo, tantomeno da suo marito Giuseppe, e sapeva tutta la storia di questi ebrei, dei loro parenti, S. Anna, S. Gioacchino, S. Elisabetta, cugina di Maria e madre di Giovanni Battista, e della loro terra, la Galilea e la Giudea... Mia madre conosceva tutte le loro vicissitudini fino a trasmettermi una vera cultura storica su di loro, basata sul Vangelo dei 4 evangelisti riconosciuti dalla Chiesa Cattolica. Ma mi parlava anche della Bibbia, il libro storico in cui si parla solo del popolo ebraico. In particolare dei 10 comandamenti che i cattolici hanno adottato dagli ebrei che li ebbero da Dio tramite l'ebreo Mosè.
La divisione fra l'ebraismo e il cristianesimo ci fu perché gli ebrei non credettero affatto che Gesù fosse Dio incarnato, ma soltanto un predicatore come era stato suo cugino Giovanni Battista, che aveva fatto una brutta fine prima di lui.
Questo è quanto sapevo degli ebrei fino ai miei 14 anni.
Scoprire che qualcuno, seguendo un livido folle, un caporale, un imbianchino, avesse ritenuto come normale e giusto prendere casa per casa ogni ebreo: in fasce, fino al vecchio fragile, passando per le donne incinte, i bambini, gli adolescenti come ero io in quel momento che lo scoprivo, i giovani, uomini e donne, colti o meno che fossero e, strappandoli alle loro case, ai loro averi, trascinarli meno che animali in vagoni piombati, in campi per sterminarli.. fu scioccante.
Fino a quel momento, un po' a scuola dove si apprendeva poco o nulla della vera Storia, un po' a casa, un po' in parrocchia, essendo questi i luoghi che frequentavo, tutto quel che sapevo delle atrocità commesse dall'uomo era relegato in tempi di brutale ignoranza degli uomini, non in tempi così recenti e proprio nel secolo in cui l'Uomo aveva raggiunto la massima conoscenza scientifica della sua Storia.
Mi persi in un buco nero di scoperte che non davano alcun appiglio ad alcuna spiegazione di un simile orrore. La Germania aveva scienziati, musicisti, letterati.. Non era un primitivo villaggio sperduto in una parte isolata del mondo: era in mezzo all'Europa.
Fu una scoperta che, senza esagerare, posso dire che ha segnato il mio pensiero che allora era privo di vera conoscenza.
Non avevo amici ebrei e nemmeno ne ho ora. Ma la ferita inferta al mio concetto di Umanità è profonda e dolorosa. Vivendo poi ho scoperto che Dio non c'è come concepito dai cattolici, ma nemmeno dagli ebrei e nemmeno dai seguaci di Maometto. L'Uomo è una creazione biologica che fa parte del Creato. E nemmeno la più nobile. 
Proprio perché qualcuno si è permesso di perseguitarli con tanta dissennata ferocia ho per loro un particolare interesse. Ma già prima di apprendere questa orrenda pagina della Storia recente la piccola Rita aveva una sua peculiarità, come ciascuno di noi ne ha, che si estrinsecava in un sentimento di vergogna e di mortificazione per il modo in cui la maestra Lelli, nella Scuola Elementare "Luigi Pianciani" che frequentavo, si rivolgeva quasi ogni mattina all'unica bambina ebrea della mia classe: Disegni.
Ogni mattina dovevamo dire la preghiera in piedi, e rigorosamente cattolica, prima dell'inizio della lezione. La "Luigi Pianciani" era una scuola pubblica. Con il volto verso la maestra, la vedevo guardare verso il fondo della classe, con un'aria che mi metteva disagio, fredda, severa, si rivolgeva a Disegni con tono quasi di rimprovero, un atteggiamento di cui provavo vergogna e mi sentivo umiliata nel sentirle dire: "Disegni! Alzati in segno di rispetto!" Tutte ci giravamo a guardare Disegni che, essendo alta, era stata messa all'ultimo banco. Lei si tirava su in silenzio, strusciando la schiena lungo la parete di fondo, con un'espressione timida e vergognosa. Ed io sentivo tutto questo come sommamente ingiusto: per il tono con cui la maestra le si rivolgeva, per la richiesta che le faceva di alzarsi chiedendole un rispetto che, a me sembrava, a lei con quel gesto veniva negato, additandola come diversa da noi tutte. E questo mi dispiaceva. Non ho mai notato in nessun'altra il mio stesso sentimento. Una volta che provai ad esprimerlo con Silvestri, la "cocchetta" della maestra che sedeva come me ai primi banchi essendo come me piccoletta, lei mi rispose che era giusto: "Lei è ebrea e non prega come noi ma deve alzarsi per rispetto."
Silvestri era visibilmente la più ricca della classe: per i vestiti che portava e per gli oggetti che aveva. Era molto carina e anche molto cattiva e, sempre per questo mio strano cuore che mi sono trovata in sorte, arrabbiato per quello che stava facendo, non a Disegni, ma ad un'altra compagna di classe grande e grossa che non sapeva difendersi e piangeva, le strappai dalle mani il quaderno che lei le aveva sottratto sventolandolo per la classe dileggiandola: "Guardate, - diceva alle altre che ridevano - zero, zero, zero! Ha il quaderno pieno di zeri!" 
Piccola ma decisa, Rita, togliendoglielo dalle mani, le disse: "Ridaglielo! Questo non è tuo!" E anche le fiancheggiatrici ridanciane smisero di ridere, mentre io restituivo il quaderno alla compagna.
La maestra Lelli si faceva chiamare con il cognome del marito, quando nel posto di lavoro si dovrebbe usare il cognome di nascita, ed era molto orgogliosa di essere la vedova del generale Lelli. Come lo era di suo figlio che, ci informava, era laureato in Economia e Commercio. A me sottrasse le letterine di Natale che avevo ingenuamente portato a scuola per farle vedere alle mie compagne le quali non ne avevano di altrettanto belle, essendo le mie con la porporina e le finestrelle con disegni che si aprivano su altri disegni.. Non me le restituì più, dicendo compiaciuta: "Con queste farò giocare i miei nipotini!" L'aver distratto le compagne con quelle intime letterine scritte a mio padre negli anni mi costò il loro sequestro.
E' una scuola che non esiste più per fortuna.
Disegni se ne andò dopo la quarta elementare e la maestra Lelli disse:"Gli ebrei sono commercianti, a loro basta imparare a fare le somme, un po' di aritmetica, la cultura a loro non interessa".
La famiglia di Disegni aveva un negozio di abbigliamento a Piazza Risorgimento, la stessa Piazza dove affacciava la nostra scuola.
La rincontrai anni dopo proprio mentre passavo nei paraggi del suo negozio: lei era diventata una splendida adolescente, molto elegante e i passanti si giravano a guardarla.
La maestra Lelli non sapeva nulla di gente come Einstein ed altri per fare l'affermazione che fece...
Mio padre, uomo di sinistra, autodidatta, che mi parlava di poeti come Foscolo, Giuseppe Giusti e altri, che mi parlava di Storia come a scuola nessuno, facendomi riflettere sulla figura di Napoleone non come un eroe, ma come un ambizioso sanguinario che, per la sua gloria, aveva fatto morire tanti uomini unici ed irripetibili per le loro madri, mogli, figli, sugli ebrei dimostrò una certa ignoranza.
Un giorno che passavamo sul Lungotevere davanti alla Sinagoga disse che dentro era peccato entrare per i cattolici e che avevano sull'altare una testa di bue.
Ero un'adolescente che aveva i suoi 14 anni alle spalle da un po' e, indignata, gli risposi che non era vero e che era rimasto all'immagine biblica di quando Mosè, sceso dal Monte Sinai, li trovò che adoravano un bue tutto d'oro. "E' un'immagine simbolica, - dissi - per dire che adoravano le cose materiali. Lui però portò loro le Tavole della Legge per riportarli sulla buona strada, Tavole che anche i cattolici e i cristiani in genere hanno adottato."
Pensai che mio padre, che veniva da un piccolo paese di agricoltori, e che tanta fatica aveva fatto per crearsi un minimo di cultura, avendo dovuto iniziare a lavorare molto presto, era perdonato se aveva delle lacune.
Tornammo a parlare di ebrei solo una volta: ero ormai sposata e lui, socialista nenniano, deluso, si era messo a votare per il PCI, e parlava bene dell'U.R.S.S.. Sapendo che anche in Russia gli ebrei non avevano vita facile, obiettai che, senza arrivare agli orrori del nazismo, certo dal lato opposto i comunisti non si dimostravano tanto migliori su questo aspetto. E lui disse una cosa che mi dispiacque moltissimo, perché amavo mio padre, lo ritenevo un uomo intelligente, e tale era ritenuto da tutti coloro che lo conoscevano, dote riconosciutagli anche dai suoi detrattori, disse che gli ebrei facevano enclave fra di loro, escludendo gli altri, e mi raccontò dei tanti commercianti che lui conosceva nel quartiere Prati, dove avevamo la nostra casa: "Loro mettono regolarmente dei soldi in una cassa comune e se uno di loro fallisce con quei soldi lo aiutano a rimettersi in sesto. Così nessuno mai arriva ad un vero fallimento."
"A me sembra una cosa buona, - risposi - dovremmo prendere esempio da loro noi cattolici che ci riempiamo la bocca di solidarietà ma non ci aiutiamo affatto gli uni con gli altri."
"Ma così facendo loro danneggiano l'economia degli altri, in ogni Paese sono un'enclave chiusa. Per questo li perseguitano e lo fecero anche i nazisti."
La mia indignazione crebbe insieme al dispiacere di sentire mio padre cercare una qualsivoglia giustificazione anche ai nazisti: lui che odiava Mussolini!
"I bambini! Cosa c'entravano i bambini?!" Proferii verso quel nonno innamorato dei miei bambini. E lui mi rispose quanto di peggio io mi aspettassi da lui: "Poi i bambini diventano adulti."
Poco tempo dopo mio padre morì all'improvviso e quindi non potei più ritornare sull'argomento per verificare che forse ci aveva ripensato e che ammettesse di aver detto cose sbagliate.
Ho il copione originale del film "Mosca Addio" che Liv Ullmann lasciò graziosamente in dono a mio marito quando girò una delle scene del film nella Stazione Osservativa che lui gestiva in quel momento. Il film è tratto dalla storia vera di un'Astrofisica ebrea russa e di come veniva vessata nel suo Paese sotto il comunismo, fino a che si trasferì in Israele. Leggendo quel copione mi si è chiusa la gola e ho pianto.

Oggi, leggendo Oz, scopro che al tempo dello Zar gli studi superiori erano preclusi agli ebrei.
La Storia della persecuzione è dunque lunga e sotto qualsivoglia regime.. 
Non mi è mai piaciuta la parola ghetto, e tantomeno che a Roma fosse chiamato così il quartiere dietro la Sinagoga.
Ma leggendo ho scoperto che in altre città e nella Storia esistevano quartieri in cui abitavano gli ebrei che erano chiamati Ghetto.
Non capisco e per me tutto questo non ha senso.
Eppure in anni recenti, parlando con un ingegnere polacco che lavorava, pagato stentatamente a parcelle professionali, presso l'Università dove lavoravo, egli mi disse che anche al suo Paese gli ebrei erano malvisti "perché si aiutavano fra di loro escludendo gli altri, quindi così danneggiandoli". Mi ritrovai davanti la teoria di mio padre, come una nemesi. Risposi, turbata, più o meno quello che avevo risposto a mio padre. 
L'ingegnere ed io stavamo parlando del professore ordinario della mia Università, di origini polacche, che lo aveva fatto venire in Italia per svolgere quel lavoro che, chi aveva avuto il finanziamento per farlo, non sapeva fare. L'ingegnere era stato studente del professore polacco, il quale se ne era andato in Gran Bretagna per poi approdare in una cattedra nella nostra Università. Egli spesso commentava i fatti che riguardavano Israele fino a dirmi a denti stretti che lui odiava gli ebrei. Gli rispondevo indignata sul fatto che, se veniva attaccata, Israele faceva bene a rispondere e, se lo sapeva fare meglio di chi la voleva distruggere, peggio per chi ci provava.
Ma parlando con il suo ex allievo feci una scoperta sorprendente: "Ma se lui è ebreo." Mi disse.
Rimasi di sasso. Quanto deve aver sofferto sotto il comunismo in Polonia per rifiutare la sua origine? Mi chiesi smarrita. E ripensai ad un librino che mi era capitato di leggere dal titolo "Ebraismo ed odio di sé" di Otto Weininger. Vale la pena ricordare che Weininger abbandonò definitivamente l'ebraismo facendosi battezzare protestante.
Cosa dire. Per me tutti gli uomini sono uguali e in questo la penso come Einstein: apparteniamo tutti alla razza umana.
Il resto per me è aberrazione del pensiero.
Oggi molti si riempiono la bocca della parola razzismo a totale sproposito quando si dice che non si possono accettare masse di gente che arriva dai più svariati Paesi del continente africano, togliendo la sostanza del problema, fin troppo ovvia, e sostituendola con il razzismo e, peggio, con il fascismo.
E' una deriva, una manipolazione della realtà oggettiva del pericolo che corre un Paese praticamente invaso, non con le armi come in passato, ma con la destabilizzazione sociale ed economica.
Sono i cattivi modi di pensare che, falsando la realtà oggettiva, creano disastri nella Storia.
Questa fissa storica, che vuole ghettizzare i cittadini di una qualsivoglia nazione di religione o semplice cultura ebraica, è un'aberrazione del pensiero.
Siamo tutti uguali e coloro che vogliono entrare a forza nel mio Paese, senza rispettarne le Leggi, non sono diversi da me in quanto razza, ma in quanto persone che pretendono di non rispettare le Leggi giuste e necessarie per ogni Paese che mantiene la propria economia chiedendo le giuste tasse ai suoi cittadini.