mercoledì 22 febbraio 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

  Capitolo IV

Adriano ed Elena abitavano in una villetta a due piani. Lui decise che lei non doveva fare più le scale e la confinò al piano di sopra costringendosi a sobbarcarsi di tutti i lavori domestici cucina compresa. Lei capì che l'annuncio ricevuto quel 31 ottobre era qualcosa che prima o poi, in una forma o nell'altra, sarebbe dovuto accadere. 

Si riteneva sempre fortunata, perché qualche giorno dopo quell'evento aveva potuto compiere 76 anni. Un'età ragguardevole.. Quanta gente che aveva avuto una parte anche minima nella sua vita aveva visto sparire... Nei modi più diversi... Non era vero che di fronte alla Morte siamo tutti uguali... Perché non si muore tutti alla stessa età e non tutti allo stesso modo. Ci sono modi crudeli e tempo di vita per alcuni così breve da non poter capire quasi nulla di cosa si è... E cosa rimane di ciò che una persona è stata? Nulla. I suoi sentimenti, i suoi pensieri, si dissolvono... Alcuni lasciano mirabili scritti, che fanno compagnia a chi vive, dando spunti di verità, altri musiche meravigliose, altri ancora dipinti e statue... Ma la rete neuronale di ciò che sono stati non c'è più.

Questo è ancora più concreto per la maggior parte di noi. Tutte le cose vissute, le gioie, le sofferenze... Dissolte. Alcuni saranno ricordati per qualche generazione se avranno una discendenza.. Poi non più, il loro ricordo si dissolverà come un sogno.

Elena si preparò ad affrontare l'operazione che le avrebbe consentito di continuare a vivere, vedendo la disperazione di suo marito e l'angoscia dei suoi figli.

Il grande Cardiochirurgo che l'avrebbe operata le disse che nel 95% dei casi quel tipo di intervento andava bene, poi c'era una percentuale che... e sorridendo bonariamente indicò con il dito in su l'imponderabile.

Il giorno prima dell'intervento programmato la ricoverarono al reparto Urologia, perché non c'erano posti letto. La sua compagna di stanza era anche lei ospitata in quel reparto dovendo essere operata per un tumore allo stomaco e dunque era una paziente del reparto di Chirurgia Gastroenterologica. Era rumena e più giovane dei suoi figli. Era sola, nessuno accanto a lei. Nel breve tempo, un giorno e mezzo, che stettero insieme Elena apprese che era stata sposata e che era divorziata perché lei era venuta in Italia a lavorare come badante e colf e mandava i soldi in Romania dove lui ne spendeva frequentando altre donne.

"Avete avuto figli?" 

 No."  

"Per fortuna."  Commentò Elena con triste sollievo.

Quando venne suo marito in visita lei gli parlò di quella che considerava una ragazza, dato che  le aveva detto di avere 51 anni, con partecipazione al suo problema:"Un tumore allo stomaco, povera piccola."  Ma Adriano era diverso da sua moglie e le sussurrò: "Abbiamo il nostro problema da risolvere, pensiamo a noi."  Ma Elena, nonostante le tante delusioni ricevute dal suo prossimo nella sua lunga vita, era fortemente empatica e provava partecipazione emotiva per l'altrui sofferenza. Il suo problema era grave, affrontare l'intervento che l'aspettava una prova pesante, ma questo non la rendeva impermeabile al dolore degli altri. Per Adriano era diverso; l'angoscia per sua moglie lo permeava totalmente.

A sera venne una bella donna elegante nella sua divisa di Operatrice Sanitaria. Il volto coperto dalla mascherina non consentiva di vederne i lineamenti, ma ad Elena sembrò bella perché era curata, con un taglio dei capelli, biondi per le méches, ben fatto. Con garbo le disse che aveva l'incarico di prepararla per la Sala Operatoria: dunque clistere e depilazione totale. Nel compiere questa operazione con grande delicatezza e professionalità le parlò di sé: sua madre era stata una portantina e lei aveva detto a sé stessa che mai avrebbe fatto quel lavoro, poi aveva fatto il corso per OS ed ora il suo lavoro le piaceva. Le disse che era sposata senza figli, ma non le pesava il non averne: "Siete voi pazienti i miei figli." Disse.

Elena sentì gratitudine e rispetto per quella donna. La mattina dopo era il giorno del suo intervento e anche di quello della sua compagna di stanza. L'Operatrice Sanitaria passò per dare loro un'occhiata. La "ragazza" rumena aveva mal di testa. Aveva chiesto invano un analgesico dalla sera prima. Elena era andata dalle infermiere ad insistere perché le dessero qualcosa giacché la donna le chiedeva aiuto. Ma quelle, dovendo la paziente osservare il digiuno per l'operazione del giorno dopo, non cedettero.

Al mattino, mentre suo marito ed i suoi figli stavano entrando nel reparto per una breve visita, vennero a prendere la sua compagna di stanza per condurla in Sala Operatoria: Elena era nel corridoio con i suoi e, vedendo passare la barella si avvicinò alla rumena e le strinse la mano facendole coraggio, mentre gli occhi le si riempivano di lacrime e la gola le si chiudeva. 

Suo marito non capiva. Lei con la strozza in gola provò a dirgli: "E' sola. Ha tutti i parenti in Romania. Qui ha solo un compagno che le telefona sul cellulare ma non può venire perché lavora, fa il muratore, è un suo connazionale, ma non ha l'automobile e abita lontanissimo da qui, impossibile venire con i mezzi pubblici..."

Il suo intervento era in schedula per le due del pomeriggio. Li avvertirono che dopo non sarebbe tornata in quel reparto, che era solo per appoggio prima dell'operazione, ma dopo sarebbe andata in Terapia Intensiva, poi in Subintensiva e da lì nel Reparto Specialistico di Cardiochirurgia. Invitarono dunque suo marito a portare via tutti i suoi effetti personali tranne il necessario che sarebbe stato trasferito al nuovo reparto. Suo marito andò via baciandola angosciato. La paura sottaciuta era che non sapeva se ne sarebbe uscita viva.

Verso mezzogiorno riportarono in stanza la donna rumena. Smaniava e si lamentava ancora stordita dall'anestesia. Via via che il dolore si faceva più evidente nonostante i calmanti ella si agitava sempre più, muovendo smaniosamente le gambe, scoprendosi... Elena soffriva per lei. Cominciò ad invocarla: "Signora, signora, ho male, signora..."  Elena le accarezzò i piedi nudi che lei muoveva nella smania del dolore, poi la fronte, cercando con quei gesti di darle conforto. Le chiese l'acqua, ma Elena sapeva che non poteva bere perché in quelle circostanze induce il vomito. La vedeva come una figlia, avendo solo pochi anni meno del suo figlio minore.

Quando si fece l'ora che toccava a lei Maria, così si chiamava la sua compagna di stanza, stava meglio. Probabilmente anche grazie agli antidolorifici. Era venuto anche il Chirurgo che l'aveva operata e le aveva spiegato che il tumore era grosso, per questo non lo avevano tolto tutto e il resto l'avrebbero distrutto con adeguate terapie.

Maria la salutò facendole tanti auguri.



 

sabato 18 febbraio 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

 Capitolo III

Al giovane medico che stilò il verbale dell'intervento di Pronto Soccorso la donna chiese perché aveva avuto quella forte nausea insieme alla mancanza quasi totale di respiro: "E' la risposta vagale. - rispose gentile il dottore - Alcuni vomitano. Il nervo vago è intervenuto quando il suo cuore, stimolato dallo sforzo a cui lei l'ha sottoposto salendo di corsa la scala, ha diminuito la frequenza cardiaca, ma per fortuna ha compensato e lei si è salvata dall'infarto. Dovrà fare degli accertamenti approfonditi per capire da cosa è dipeso. Noi ora vediamo che è tutto a posto dagli esami a cui l'abbiamo sottoposta, ma va rivisto il comportamento del cuore nel momento dello sforzo."

Qualche giorno dopo Elena compì gli anni: 76. Pensava che è un'età giusta per morire. Sua madre diceva saggiamente che l'età media dell'uomo è 70 anni. Naturalmente nel ventesimo secolo e in Europa... Essendo la durata media della vita legata alle condizioni in cui si vive: il tempo e il luogo sono fattori importanti.

Si sottopose ad una TAC coronarica su consiglio medico che evidenziò senza dubbio una diffusa ostruzione delle arterie che irrorano il cuore. I Cardiologi dunque la sottoposero ad una Coronarografia nell'intento di applicarle degli stent.

Le avevano spiegato cosa fosse e un assaggio lo aveva già provato con la TAC coronarica quando le avano inettato il mezzo di contrasto: le avevano detto che avrebbe sentito un calore diffuso... Non piacevole, ma se si deve fare si sopporta.. Per la Coronarografia successiva sapeva che avrebbero infilato nelle sue arterie una sonda per arrivare fino alle coronarie e lì mettere gli stent: dalle ostruzioni evidenziate dalla TAC ne servivano 5 o 6. L'idea che privilegiassero la via femorale non le piaceva e fu sollevata quando vide che il Cardiologo Emodinamista aveva scelto la via radiale.

Sopportò... Si doveva fare... Altrimenti il suo cuore non era più alimentato dal sangue.. Ma ad un certo punto capì che non le avrebbe messo gli stent. Si preoccupò. Fino a quel momento si era fatta forza. Aveva sopportato e tenuta a bada la paura e l'ansia, ma il fatto nuovo le creò uno stato di ansiosa attesa. L'emodinamista spiegò che le sue arterie di diabetica non avrebbero tenuto a lungo gli stent e che in capo ad un anno o due potevano muoversi e si sarebbe dovuto intervenire d'urgenza per rimuoverli.

Era stato tutto inutile. I Cardiologi la passavano ai Cardiochirurghi per mettere almeno tre bypass. 

L'idea non le piacque affatto. Suo figlio Chirurgo era arrabbiato con lei: "Ecco cosa hai combinato fregandotene del tuo diabete e mangiando ugualmente dolci!"  La sua preoccupazione di fronte a quanto detto dal suo collega Emodinamista nasceva dalla consapevolezza dell'intervento a cui sua madre andava incontro.

"E' un intervento di Chirurgia maggiore e come tale comporta alti rischi."  Le disse amareggiato.

Elena pensava ancora di poterlo evitare e decise di firmare ed andarsene dicendo ai Cardiologi perplessi che ci doveva pensare. "Per noi lei non può andarsene in giro con un cuore così messo, signora, dunque non possiamo dimetterla perché lei è a rischio che, uscita di qui, le prenda un infarto e noi non possiamo prenderci una simile responsabilità. Noi la passiamo ai colleghi Cardiochirurghi al di là del corridoio e loro potranno risolvere il problema."  Il tono era gentile, molto comprensivo per l'incertezza e i timori della paziente, ma Elena firmò e uscì dall'ospedale.

A suo figlio disse: "Ma se sto attenta a non fare sforzi?"

"Mamma, allora tu non hai capito, può succedere in ogni momento, il tuo cuore non è più irrorato, è come se tu avessi una bomba sotto il sedere."  Concluse con la sua solita franchezza.

Suo marito era terrorizzato ora che la situazione medica di sua moglie gli era chiarissima. Lei si manteneva calma, ma una sera lui si mise a piangere. "Ma amore mio.. Mi piangi già per morta?"  Disse lei triste e commossa. La vita all'improvviso li aveva messi di fronte alla fine di uno dei due in modo chiarissimo, come mai prima. 

Coronarografia



venerdì 17 febbraio 2023

Pensiero perfetto

 

Pensiero perfetto

Conscio di esistere

con il Pensiero Perfetto

cercò un contatto:

nessuno rispose.

Galassia a spirale simile a quella in cui è la Stella Sole ed il sistema planetario che gli gira intorno, fra cui la piccola Terra.
Le piccole luci al di fuori di essa sono altre galassie, formate anch'esse da miliardi di stelle.
Per secoli l'Uomo non sapeva neppure dove stesse...
Da pochissimo tempo della sua Storia ha potuto vedere grazie ai Telescopi.


giovedì 9 febbraio 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

 Capitolo II

Giunsero all'Ospedale più vicino in 20 minuti. Era noto, ma loro non vi erano mai stati.

Elena scese dall'auto reggendosi sulle sue gambe, insicure, ma fu un sollievo constatarlo. Monica la sorresse premurosa, mentre Adriano spostava l'auto dall'ingresso del Pronto Soccorso dove già gli si era affiancata un'ambulanza. Nell'androne la figlia la fece sedere su una delle sedie di metallo: altre persone erano già sedute in altre sedie. Anche se il respiro era tornato Elena non stava bene e sperava che la visitassero subito. Sua figlia e suo marito si accostarono al vetro oltre il quale c'era personale sanitario. Li vide parlare e sperò che si rendessero conto che il suo essere ora apparentemente normale non voleva dire che il suo malessere non fosse stato grave.

La fecero passare, segno che la spiegazione dei suoi cari era stata convincente. 

Una capace infermiera le misurò subito l'ossigeno nel sangue e la sottopose ad altri test il cui risultato sembrava confortante. In una sala attigua le fecero l'elettrocardiogramma ed i prelievi ematici per le analisi.

Poi rimase qualche ora in attesa in una sala d'aspetto sul retro del Pronto Soccorso. Una donna alta e allampanata, che trovò già lì, dava segni di insofferenza. Le disse che era lì dalle otto del mattino, ed era ormai oltre mezzogiorno. Le chiese cosa avesse e appresolo ne rimase impressionata. Elena minimizzò dicendo che alla sua età, 76 anni, non c'era da stupirsi se qualcosa prima o poi accade.

"Non li dimostra affatto! Almeno 10 di meno! Ma comunque non dica così... Non è detto che sia l'ora di morire!"  Elena era abituata allo stupore sull'età che dimostrava: era stato sempre così. Da giovane la scambiavano per la sorella maggiore dei suoi figli. Capiva, comunque, che per la maggior parte della gente qualsiasi fosse l'età, anche avanzata, non era mai l'ora di morire, come se la vita umana potesse durare all'infinito... La Morte era qualcosa di inaccettabile e quindi da rimandare oltre i confini della realtà biologica. Di fronte alla sua tranquillità, solo un poco mesta, la donna si lanciò in riflessioni filosofiche confuse ed agitate in cui balenavano timori sull'inquinamento ed altre oscure forze che ci stavano portando tutti alla rovina.

Alla fine la chiamarono e si ritrovò in Sala Raggi accolta da un giovane Tecnico di Radiologia di gradevole aspetto ma, soprattutto, di gradevoli modi. Gentile fino alla signorilità l'aiutò a togliere e, dopo i Raggi x, a rimettere, la sottilissima catenina di oro bianco con pendente una piccola acquamarina circondata da brillantini, a cui lei teneva molto perché era un regalo collettivo dei suoi figli per i suoi 60 anni. Apprezzò i modi di quel giovane, stupendosi della differenza abissale con i suoi colleghi degli ospedali romani che Elena aveva conosciuto nel corso della propria esperienza, gente sciatta, quando non addirittura rozza, che sembrava odiare il proprio lavoro.

C'era un episodio, di quelli che restano per sempre nella memoria perché ci colpiscono per la loro anomalia, avvenuto nel periodo in cui in Italia imperversavano le Brigate Rosse. Fu quello per Elena un periodo difficile e doloroso. Dopo la morte improvvisa di suo padre, che non aveva neppure compiuto 56 anni, avevano acquistato un grande appartamento in una zona popolare, dato che i loro mezzi non consentivano di scegliere un quartiere più borghese o signorile. Erano comunque felici perché era in un edificio a cortina, solido e c'era anche la stanza per sua madre, in modo che non fosse sola dopo la vedovanza. Pensavano di vivere lì per sempre. Ma in breve tempo, dopo aver attirato l'ammirazione e la simpatia di alcuni per la sua grazia e per come curava i suoi bambini, fu oggetto anche di invidia da parte di persone scarsamente scolarizzate, che notarono la differenza, di modi, di cultura e la professione di Adriano, professore all'università, rispetto a ciò che erano loro. Qualcuno pensò bene di punirla per questi aspetti offendendola, chiamando sua madre "scema" giacché, pur non essendolo affatto, sua madre aveva a volte l'abitudine di parlottare fra sé e sé inseguendo suoi tristi pensieri. Elena si era difesa chiudendo la confidenza data ad alcuni, ma non bastò. Scoprì così che esiste gente che vuole distruggere gli altri e credette che dipendesse dal posto dove erano andati ad abitare, dove la percentuale di gente di basso livello culturale e sociale era elevata. La vita poi le insegnò che semplicemente quella realtà può esistere ovunque ci sia gente frustrata ed infelice, rosa dall'invidia e affetta da miserabili sentimenti meschini.

Era molto giovane quando scoprì questo aspetto infame di certi esseri umani, che fanno sempre gruppo o branco, cercando appoggio con la maldicenza, la calunnia, dato che da soli sanno di essere meno di nulla.

Capitò così che di bocca in bocca le avevano creato la nomea di "scema", legando l'offesa a sua madre a tutta la famiglia. E non importa se, come le disse un giorno la sua amica Giovanna, insegnante di Lettere, Greco e Latino nei Licei, "Tu sei la migliore smentita di questa calunnia. La gente crede a ciò a cui le piace credere" .

Il suo figlio più piccolo si scoprì avere una cisti ossea congenita. Iniziò un calvario di cure e Raggi x di controllo. Alla Clinica Ortopedica del Policlinico, dove doveva fare controlli periodici, le capitò di riconoscere in una donna che lavorava allo sportello di tale Clinica una che abitava nel suo palazzo e, dall'atteggiamento e dai modi anormali, capì che era inquinata dalle dicerie. Fra queste, nell'intento di denigrarla ed attirarle addosso ostilità, qualcuno si era inventato che fosse nata in un piccolo borgo ma diceva di essere romana perché se ne vergognava. Un'invenzione totale, come tutto il resto, segno e prova del livello di stupidità di tali menti malevole che evidentemente proiettavano su di lei i loro complessi sulle loro origini. La grassa donna dello sportello doveva aver propalato il pettegolezzo ad una sua collega la quale ad Elena, costretta a passare per quegli sportelli per le pratiche relative alle visite del suo bambino, aveva fatto un ironico discorso sul fatto che lei amava il suo paesello natìo e di esso ricordava anche i sentieri e i cespugli... Elena avrebbe voluto dirle che anche lei amava la sua città, Roma, e i luoghi dove aveva trascorso la sua primissima infanzia, come la Barcaccia del Bernini a Piazza di Spagna, che lei considerava la "sua fontanella" perché le piaceva abbeverarvisi entrandovi fino alla cannella quando scendeva dal Pincio dove sua madre la conduceva a sfrenarsi nei giochi. Ma quella donna avrebbe sorriso di scherno, convinta dalla voce riportata dalla collega a sua volta convinta da altre bocche pur non conoscendo affatto Elena se non di vista. Ma l'episodio che colpì Elena per la sua abietta miseria fu quello di un anziano tecnico radiologo, a riprova di come limitati ambienti possano inquinarsi di chiacchiera in chiacchiera alimentando odio sociale, soprattutto in un periodo in cui ogni modo o aspetto signorile veniva tacciato di essere "borghese" e di essere segno di disprezzo per il popolino proletario. Mentre faceva sciattamente il suo lavoro rivolse con disprezzo il termine di "scemo" al suo bambino che, per fortuna, non colse l'insulto gratuito, dato che nulla aveva fatto mentre lo squallido soggetto lo sottoponeva alla radiografia di routine. Elena tacque, come fece per tutto il tempo che dovette sopportare questi atti che in seguito, molti anni dopo, furono socialmente denunciati come "Bullismo" o "Stalking" e definiti reati. Sapeva di essere isolata e qualsiasi sua reazione le si sarebbe ritorta contro, servivano prove e testimoni, e a quelle canaglie non sarebbe sembrato vero poter dire: "Se lo è immaginato perché è pazza." Però una giovane, che era lì per fare delle radiografie, ebbe una reazione di meraviglia: "Ma è un bambino!" Esclamò sbarrando gli occhi. L'ometto bofonchiò con espressione ostile delle spiegazioni incomprensibili del suo stolto agire, che dimostrò ancora di più ad Elena quanto di follia ci fosse in quello strisciante sentimento di odio in persone che lei non conosceva affatto e che nulla avevano a che fare con lei e la sua famiglia. Passato quel periodo, in cui l'odio sociale aveva fatto ben altre vittime, ci furono anni più sereni ma, proprio nel periodo che stiamo narrando, era riemerso fino al punto che le Istituzioni ne avevano preso conto emanando leggi contro ogni forma di persecuzione, con l'unico difetto di definirle con termini inadeguati come bullismo, sicuramente riduttivo, o stalking, il solito inglesismo nebuloso perché linguisticamente non chiaro a tutti.

Il ricordo sgradevole passò. Ma capitava di sovente che fatti che viveva nel presente ne rievocassero altri vissuti che facevano parte del "sogno" che era la sua vita, come quella di ciascuno, sogno che si dissolverà con la morte. Infatti cosa resta della memoria di chi non c'è più..? Qualcosa nella memoria di chi vive ancora e conserva in sé memoria di chi si è dissolto... 



martedì 7 febbraio 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

 PREFAZIONE al Romanzo di Rita Coltellese

Ho scelto come titolo per questo Romanzo la geniale e poetica sintesi che un Genio Universale come Shakespeare ha saputo esprimere.

Con questo Romanzo intendo svolgere il tema che con tale mirabile intuizione William ci ha lasciato.

Capitolo 1

Esattamente un anno prima, era il 21 ottobre, erano stati in quella stessa spiaggia in un giorno di sole caldo per quei lidi, che sempre a quel punto della stagione erano ormai avvolti dai primi cenni del clima autunnale.

Ora era l'ultimo giorno di ottobre e sembrava ancora estate. Il clima stava cambiando e suo marito decise di tornare in quel chilometro scarso di sabbia dorata chiusa fra rocce possenti che la rendevano raggiungibile solo dal mare, avendo alle spalle la collina. La figlia era venuta con loro. Amante come il padre delle immersioni nelle limpide acque del mare di scoglio. I due fecero lunghe nuotate. Lei si immerse fino al bacino per avvicinarsi all'imbocco di una grotta che si apriva nella roccia a destra, guardando il mare. Le piaceva guardare, esplorare... In tutta la spiaggia c'erano poche rade presenze, e questo la rendeva più godibile. L'estate protratta così a lungo non aveva però indotto gli stabilimenti arroccati sul costone a tenere aperti i loro lettini ed ombrelloni.. Regnava una pace meravigliosa e la Natura era tutta per loro.

Al ritorno percorsero la lunga scala con i gradini di legno e l'intelaiatura di solido ferro che dalla spiaggia conduceva al piano strada dove avevano lasciato l'auto. Monica, la figlia, la percorse agevolmente e sparì alla vista di Elena avendo raggiunto il pianerottolo panoramico in cima e svoltato verso sinistra, lungo il marciapiede al lato del quale era parcheggiata una fila di automobili, fra cui la loro.

Adriano si girò verso la moglie che saliva lentamente prendendola affettuosamente in giro: "Vecchietta! Vai lentamente.. Sei vecchietta!"  Poi terminata agevolmente la salita si avviò lungo il marciapiede sparendo alla vista di Elena che, in un moto di orgoglio, fece gli ultimi gradini di corsa. Arrivata quasi al pianerottolo panoramico si spostò leggermente a destra per lasciare spazio ad una giovane coppia che scendeva. Posto il piede sulla larga piattaforma panoramica constatò con soddisfazione che non aveva affanno per quegli ultimi gradini percorsi di corsa e si avviò sul marciapiede: ma di botto il respiro le si bloccò.

Immediato il pensiero che le si affacciò: "Ah! Così.. A 76 anni....Ci posso stare."  Nessuna paura nonostante l'immediata consapevolezza di ciò che le stava accadendo. Dopo aver compiuto i 70 anni aveva pensato molte volte a come sarebbe stata la sua Morte. Aveva accettato l'evento inevitabile e si era detta che da quel momento ogni giorno era da considerarsi come un regalo, cercando ancora di più, di quanto non avesse già fatto nella sua vita, di apprezzare ogni cosa: gli affetti, la Natura, i pochi piaceri che amava. Questo perché aveva visto la fragilità della vita umana e tante persone che in qualche modo avevano fatto parte della sua vita se ne erano andate da tempo. 70 anni era la durata della vita media in Italia nel suo tempo. Accettare la realtà era il suo equilibrio. Non rassegnazione passiva, ma consapevolezza.

Anche ora cercò realisticamente di guidare l'evento che stava vivendo senza rassegnazione e senza paura, con un solo desiderio: che il malessere che le aveva quasi azzerato il respiro e contemporaneamente dato ondate di nausea durasse meno possibile e arrivasse prima possibile il buio che interrompe ogni sofferenza. Si appoggiò alla balaustra che dava verso il mare per sorreggersi, cercò di guardare avanti intravedendo la figura di suo marito che era giunto alla macchina e, dal lato opposto, quella di sua figlia che si accingeva a mettersi alla guida. Provò a chiamare per avvertire di quanto le stava accadendo ma la voce non uscì e non riuscì neppure a tenere il capo dritto, per cui guardava di sotto in su avendo il capo chino, provò allora a camminare verso di loro, magari lentamente... Ma mettere un piede davanti all'altro le costò uno sforzo tremendo e la nausea aumentò. Pensò allora che doveva sollevare il cuore dallo sforzo che stava facendo di tenerla in piedi, visto che non era caduta ma sarebbe potuto accadere da un attimo all'altro. Girò il capo verso il bordo del marciapiede cercando con lo sguardo uno spazio fra i paraurti delle auto parcheggiate lungo di esso, ne trovò uno subito alla sua destra e valutò che con due passi lunghi di lato avrebbe potuto raggiungerlo e sedersi senza cadere di botto come temeva accadesse. Ci provò. Ci riuscì e si sedette accasciandosi in quello spazio. Ora suo marito e sua figlia si sarebbero accorti che qualcosa non andava.

Intravide con la coda dell'occhio che suo marito stava avvicinandosi. Non ebbe la forza di alzare la testa: "Cos'hai?"  Disse chinandosi verso di lei. Rapida, in un soffio, lei rispose: "Non respiro e ho nausea.. Portatemi in ospedale.."  Intanto oltre le auto in sosta era giunta anche la figlia. Ne intravide la figura dalla vita in giù, non potendo alzare la testa, piegata come un burattino a cui si stavano recidendo i fili.

Non parlarono più: si mossero rapidissimi. L'auto, guidata dal marito, fu accanto a loro, spalancarono lo sportello di dietro e lei si accasciò sul sedile posteriore in posizione scomoda, essendo una parte di esso occupato dalla grossa borsa da mare di paglia  di Monica. Non c'era tempo di scostarla, bisognava correre e questo i suoi cari l'avevano capito. L'auto filava veloce e l'aria, entrando dai finestrini aperti in quel dolce inizio d'autunno, era fresca e la faceva stare meglio. Li avevano aperti appena saliti giacché l'auto, ferma e chiusa per l'insolito caldo quasi estivo, lo richiedeva nell'immediato. 

"Ti da fastidio l''aria?"  Chiese Monica girandosi verso di lei. "No.. Anzi... Ho bisogno d'aria.."