giovedì 9 febbraio 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

 Capitolo II

Giunsero all'Ospedale più vicino in 20 minuti. Era noto, ma loro non vi erano mai stati.

Elena scese dall'auto reggendosi sulle sue gambe, insicure, ma fu un sollievo constatarlo. Monica la sorresse premurosa, mentre Adriano spostava l'auto dall'ingresso del Pronto Soccorso dove già gli si era affiancata un'ambulanza. Nell'androne la figlia la fece sedere su una delle sedie di metallo: altre persone erano già sedute in altre sedie. Anche se il respiro era tornato Elena non stava bene e sperava che la visitassero subito. Sua figlia e suo marito si accostarono al vetro oltre il quale c'era personale sanitario. Li vide parlare e sperò che si rendessero conto che il suo essere ora apparentemente normale non voleva dire che il suo malessere non fosse stato grave.

La fecero passare, segno che la spiegazione dei suoi cari era stata convincente. 

Una capace infermiera le misurò subito l'ossigeno nel sangue e la sottopose ad altri test il cui risultato sembrava confortante. In una sala attigua le fecero l'elettrocardiogramma ed i prelievi ematici per le analisi.

Poi rimase qualche ora in attesa in una sala d'aspetto sul retro del Pronto Soccorso. Una donna alta e allampanata, che trovò già lì, dava segni di insofferenza. Le disse che era lì dalle otto del mattino, ed era ormai oltre mezzogiorno. Le chiese cosa avesse e appresolo ne rimase impressionata. Elena minimizzò dicendo che alla sua età, 76 anni, non c'era da stupirsi se qualcosa prima o poi accade.

"Non li dimostra affatto! Almeno 10 di meno! Ma comunque non dica così... Non è detto che sia l'ora di morire!"  Elena era abituata allo stupore sull'età che dimostrava: era stato sempre così. Da giovane la scambiavano per la sorella maggiore dei suoi figli. Capiva, comunque, che per la maggior parte della gente qualsiasi fosse l'età, anche avanzata, non era mai l'ora di morire, come se la vita umana potesse durare all'infinito... La Morte era qualcosa di inaccettabile e quindi da rimandare oltre i confini della realtà biologica. Di fronte alla sua tranquillità, solo un poco mesta, la donna si lanciò in riflessioni filosofiche confuse ed agitate in cui balenavano timori sull'inquinamento ed altre oscure forze che ci stavano portando tutti alla rovina.

Alla fine la chiamarono e si ritrovò in Sala Raggi accolta da un giovane Tecnico di Radiologia di gradevole aspetto ma, soprattutto, di gradevoli modi. Gentile fino alla signorilità l'aiutò a togliere e, dopo i Raggi x, a rimettere, la sottilissima catenina di oro bianco con pendente una piccola acquamarina circondata da brillantini, a cui lei teneva molto perché era un regalo collettivo dei suoi figli per i suoi 60 anni. Apprezzò i modi di quel giovane, stupendosi della differenza abissale con i suoi colleghi degli ospedali romani che Elena aveva conosciuto nel corso della propria esperienza, gente sciatta, quando non addirittura rozza, che sembrava odiare il proprio lavoro.

C'era un episodio, di quelli che restano per sempre nella memoria perché ci colpiscono per la loro anomalia, avvenuto nel periodo in cui in Italia imperversavano le Brigate Rosse. Fu quello per Elena un periodo difficile e doloroso. Dopo la morte improvvisa di suo padre, che non aveva neppure compiuto 56 anni, avevano acquistato un grande appartamento in una zona popolare, dato che i loro mezzi non consentivano di scegliere un quartiere più borghese o signorile. Erano comunque felici perché era in un edificio a cortina, solido e c'era anche la stanza per sua madre, in modo che non fosse sola dopo la vedovanza. Pensavano di vivere lì per sempre. Ma in breve tempo, dopo aver attirato l'ammirazione e la simpatia di alcuni per la sua grazia e per come curava i suoi bambini, fu oggetto anche di invidia da parte di persone scarsamente scolarizzate, che notarono la differenza, di modi, di cultura e la professione di Adriano, professore all'università, rispetto a ciò che erano loro. Qualcuno pensò bene di punirla per questi aspetti offendendola, chiamando sua madre "scema" giacché, pur non essendolo affatto, sua madre aveva a volte l'abitudine di parlottare fra sé e sé inseguendo suoi tristi pensieri. Elena si era difesa chiudendo la confidenza data ad alcuni, ma non bastò. Scoprì così che esiste gente che vuole distruggere gli altri e credette che dipendesse dal posto dove erano andati ad abitare, dove la percentuale di gente di basso livello culturale e sociale era elevata. La vita poi le insegnò che semplicemente quella realtà può esistere ovunque ci sia gente frustrata ed infelice, rosa dall'invidia e affetta da miserabili sentimenti meschini.

Era molto giovane quando scoprì questo aspetto infame di certi esseri umani, che fanno sempre gruppo o branco, cercando appoggio con la maldicenza, la calunnia, dato che da soli sanno di essere meno di nulla.

Capitò così che di bocca in bocca le avevano creato la nomea di "scema", legando l'offesa a sua madre a tutta la famiglia. E non importa se, come le disse un giorno la sua amica Giovanna, insegnante di Lettere, Greco e Latino nei Licei, "Tu sei la migliore smentita di questa calunnia. La gente crede a ciò a cui le piace credere" .

Il suo figlio più piccolo si scoprì avere una cisti ossea congenita. Iniziò un calvario di cure e Raggi x di controllo. Alla Clinica Ortopedica del Policlinico, dove doveva fare controlli periodici, le capitò di riconoscere in una donna che lavorava allo sportello di tale Clinica una che abitava nel suo palazzo e, dall'atteggiamento e dai modi anormali, capì che era inquinata dalle dicerie. Fra queste, nell'intento di denigrarla ed attirarle addosso ostilità, qualcuno si era inventato che fosse nata in un piccolo borgo ma diceva di essere romana perché se ne vergognava. Un'invenzione totale, come tutto il resto, segno e prova del livello di stupidità di tali menti malevole che evidentemente proiettavano su di lei i loro complessi sulle loro origini. La grassa donna dello sportello doveva aver propalato il pettegolezzo ad una sua collega la quale ad Elena, costretta a passare per quegli sportelli per le pratiche relative alle visite del suo bambino, aveva fatto un ironico discorso sul fatto che lei amava il suo paesello natìo e di esso ricordava anche i sentieri e i cespugli... Elena avrebbe voluto dirle che anche lei amava la sua città, Roma, e i luoghi dove aveva trascorso la sua primissima infanzia, come la Barcaccia del Bernini a Piazza di Spagna, che lei considerava la "sua fontanella" perché le piaceva abbeverarvisi entrandovi fino alla cannella quando scendeva dal Pincio dove sua madre la conduceva a sfrenarsi nei giochi. Ma quella donna avrebbe sorriso di scherno, convinta dalla voce riportata dalla collega a sua volta convinta da altre bocche pur non conoscendo affatto Elena se non di vista. Ma l'episodio che colpì Elena per la sua abietta miseria fu quello di un anziano tecnico radiologo, a riprova di come limitati ambienti possano inquinarsi di chiacchiera in chiacchiera alimentando odio sociale, soprattutto in un periodo in cui ogni modo o aspetto signorile veniva tacciato di essere "borghese" e di essere segno di disprezzo per il popolino proletario. Mentre faceva sciattamente il suo lavoro rivolse con disprezzo il termine di "scemo" al suo bambino che, per fortuna, non colse l'insulto gratuito, dato che nulla aveva fatto mentre lo squallido soggetto lo sottoponeva alla radiografia di routine. Elena tacque, come fece per tutto il tempo che dovette sopportare questi atti che in seguito, molti anni dopo, furono socialmente denunciati come "Bullismo" o "Stalking" e definiti reati. Sapeva di essere isolata e qualsiasi sua reazione le si sarebbe ritorta contro, servivano prove e testimoni, e a quelle canaglie non sarebbe sembrato vero poter dire: "Se lo è immaginato perché è pazza." Però una giovane, che era lì per fare delle radiografie, ebbe una reazione di meraviglia: "Ma è un bambino!" Esclamò sbarrando gli occhi. L'ometto bofonchiò con espressione ostile delle spiegazioni incomprensibili del suo stolto agire, che dimostrò ancora di più ad Elena quanto di follia ci fosse in quello strisciante sentimento di odio in persone che lei non conosceva affatto e che nulla avevano a che fare con lei e la sua famiglia. Passato quel periodo, in cui l'odio sociale aveva fatto ben altre vittime, ci furono anni più sereni ma, proprio nel periodo che stiamo narrando, era riemerso fino al punto che le Istituzioni ne avevano preso conto emanando leggi contro ogni forma di persecuzione, con l'unico difetto di definirle con termini inadeguati come bullismo, sicuramente riduttivo, o stalking, il solito inglesismo nebuloso perché linguisticamente non chiaro a tutti.

Il ricordo sgradevole passò. Ma capitava di sovente che fatti che viveva nel presente ne rievocassero altri vissuti che facevano parte del "sogno" che era la sua vita, come quella di ciascuno, sogno che si dissolverà con la morte. Infatti cosa resta della memoria di chi non c'è più..? Qualcosa nella memoria di chi vive ancora e conserva in sé memoria di chi si è dissolto... 



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