venerdì 26 marzo 2021

Delitto e castigo: rilettura a distanza di oltre mezzo secolo..


Credevo di aver letto "Delitto e Castigo" intorno ai miei vent'anni, finché non ho deciso di rileggerlo acquistando un'edizione in cui è scritto integrale.

Ho scoperto così che quella che lessi più di 50 anni fa era un'edizione non completa dell'Opera. Era un libro con la copertina di cartone su cui spiccava un disegno a colori che voleva riprodurre Raskolnikov, il protagonista, vestito alla russa con un copricapo dalla visiera rigida e con la classica casacca con la cintura in vita, un po' come il disegno della copertina di questa vecchia edizione che qui riproduco:

solo che qui è disegnata la scena di Raskolnikov in riva al fiume, quando già sta in Siberia nel bagno penale, con accanto Sonia che lo ha raggiunto e siede con lui in un momento di pace grazie ad una momentanea distrazione della guardia, mentre nel disegno del libro che io lessi in gioventù  Raskolnikov era raffigurato nel momento in cui compie il suo delitto, con la scure insanguinata in mano e l'usuraia colpita a morte, mentre sullo sfondo appare Lizaveta sulla scena del delitto.

Non so perché, forse perché l'edizione non era integrale e forse anche per la mia giovane mente, avevo riportato da quella lettura l'orrore per il delitto ma anche una pena per il povero studente che l'aveva commesso, per la sua estrema povertà, per il fatto che non poteva neppure pagare l'affitto, mentre l'usuraia gli centellinava pochi soldi in cambio degli oggetti che egli non aveva quasi più da impegnare.

Quel libro, che forse trovai nella casa dei miei suoceri, andò distrutto in quanto era in carta economica e i fogli legati tra di loro con il filo ed incollati alla copertina di cartone. Una rilegatura economica che si chiama brossura filo refe e che oggi è diventata costosa e si consiglia solo per libri di pregio.

Così ho ricomperato l'Opera integrale che consta di ben 636 pagine. Ho letto tutto il romanzo con grande piacere, scoprendo quanto sia moderno ed attuale, anche nello stile della scrittura, Fëdor Michajlovič Dostoevskij. Di lui ho letto "Il Giocatore", "L'idiota", i racconti ed altro, e già conoscevo la potenza e la bellezza della sua scrittura ma, forse sarà per l'età matura e la tanta esperienza di vita, in questo libro ho scoperto un'analisi psicologica e a tratti psichiatrica che anticipano Freud. 

Oltre questo ho scoperto in me stessa una condanna totale del protagonista: Rodiòn Romànovič Raskòl'nikov, un nevrotico, egoista, lucidamente folle nelle sue teorie disumane sull'uomo speciale che si erge al di sopra della morale comune, quella che seguono gli uomini ritenuti da costui mediocri, pidocchi, per cui egli può decidere di uccidere senza umana pietà.

E uccide la vecchia vedova usuraia colpendola con una scure al capo ed anche la sorellastra di lei, una donna mite, solo perché arrivata inaspettatamente sulla scena dove egli ha appena compiuto il delitto.

Un personaggio che potrebbe benissimo essere dei giorni nostri, in cui delitti atroci vengono commessi con lucida follia e senza alcun pentimento. 

Ben diverso dunque mi è apparso il protagonista e non capisco come mai ne avevo un ricordo pietoso.. Questo studente fallito potrebbe guadagnarsi da vivere dando lezioni, ha un amico puro e sincero che gliele procura anche, ma il suo orgoglio non si piega alla necessità che tutti noi nella vita umilmente affrontiamo, lui preferisce odiare l'usuraia, che non è una bella figura umana ma è come tanti misera e meschina, cattiva anche perché maltratta la buona Lizaveta che vive con lei, ma non per questo merita di essere uccisa.

Come gli assassini della cronaca attuale mente, teme vilmente di essere scoperto, dimostrando così che le sue elucubrazioni, in cui si crede un superuomo al di sopra della morale comune, sono solo follie e lui è solo un miserabile verme.

Un verme fortunato che deve scontare solo sette anni per un duplice omicidio, ed anche in questo il romanzo è attualissimo, ed è soprattutto fortunato per l'amore puro che non merita della povera Sonia, lei si peccatrice, ma come agnello sacrificale per dare agli altri; in questo caso ad una matrigna e ai suoi piccoli sfortunati fratellastri a causa di  un uomo indegno, suo padre, che beve e gioca riducendo la sua famiglia nel degrado, fino al punto da accettare che sua moglie tisica e sconvolta dagli stenti dica alla povera Sonia di buttarsi in strada a prostituirsi per portare soldi per sfamarli tutti.

Eppure il moralista Raskolnikov, che odia l'immorale usuraia, prova comprensione e pietà per Marmeladov, lo squallido padre di Sonia, incapace di mantenere la sua famiglia perché si beve e gioca tutti i soldi e in modo abietto accetta quelli della prostituzione della innocente figlia di primo letto.

Una psicologia singolare davvero questo Raskolnikov.. Eppure Freud ancora non aveva scritto le sue Opere...

Il genio di Dostoevskij anticipa l'analisi scientifica freudiana.

Colpisce, nelle ultime pagine, il racconto di un sogno fatto da Raskolnikov ormai nel bagno penale dei lavori forzati in Siberia: "...tutto il mondo era condannato ad esser vittima di un'epidemia letale spaventosa, inaudita e mai vista, che avanzava verso l'Europa dalle profondità dell'Asia."


Dante Alighieri: il mistero della scomparsa di ogni suo scritto autografo

Nella ricorrenza della celebrazione dei 700 anni dalla morte di Dante viene fuori la notizia, conosciuta dagli studiosi, che di Dante non esiste alcuno scritto autografo.

Non soltanto le opere letterarie scritte di suo pugno, ma nemmeno una lettera autografa..

Questo è un vero giallo incomprensibile alla luce di varie riflessioni storiche.

Il più antico ritratto documentato di Dante Alighieri conosciuto, Palazzo dell'Arte dei Giudici e NotaiFirenze. Databile intorno al 1336-1337, l'affresco è di scuola giottesca ed è il ritratto iconografico del poeta più vicino a quello ricostruito nel 2007 grazie a una squadra guidata da Giorgio Gruppioni, antropologo dell'Università di Bologna. Si riuscì a realizzare un volto i cui tratti somatici corrisponderebbero al 95% a quello realeNel 1921, in occasione del seicentenario della morte di Dante, l'antropologo dell'Università di Bologna Fabio Frassetto fu autorizzato dalle autorità a studiare il cranio del poeta, risultato mancante della mandibola.Partendo dal cranio ricostruito dallo studioso Frassetto nel 1921, il volto reale di Dante è risultato (grazie al contributo del biologo dell'Università di Pisa Francesco Mallegni e dello scultore Gabriele Mallegni) sicuramente non bello, ma privo di quel naso aquilino così accentuato dagli artisti di età rinascimentale e molto più vicino a quello, risalente pochi anni dopo la morte del poeta, di scuola giottesca.


Dalla data più o meno presunta della sua nascita, 1265, fino a quella più certa della sua morte, 1321, chi sapeva scrivere ha lasciato degli scritti autografi, magari frammenti per la deteriorazione delle pergamene in uso a qual tempo, ma qualcosa è rimasto: di Dante nulla!

Ma vediamo come era la situazione storica della scrittura del tempo.

La carta in uso, oltre la pergamena, era la Carta Amalfi o Charta Bambagina: introdotta in Italia dal mondo arabo e successivamente prodotta nelle cartiere italiane. Questa carta ebbe innovazioni e siccome Fabriano, nel XIII e nel XIV secolo, aveva acquistato l’egemonia dei mercati, su base di argomentazioni storiche si ipotizza che Dante Alighieri possa aver usato tale carta per scrivere le sue opere.

La carta di Amalfi deve il suo secondo nome, Charta Bambagina, al particolare procedimento di produzione, che, prescindendo dall’utilizzazione della cellulosa ricavata dal legno, parte da raccolte di cenci e stracci di lino, cotone e canapa di colore bianco. Le stoffe erano ridotte in poltiglia per mezzo di magli chiodati mossi da mulini a propulsione idraulica mentre oggi, con macchinari più sofisticati, ha  una maggiore raffinatezza. La fibra, disciolta nell’acqua è trasformata, a mano, in fogli per mezzo di telai formati da fili di ottone e bronzo. Questo supporto per la scrittura apparve subito molto più pratico della pergamena fatta di pelle essiccata per trascrivere le transazioni soprattutto da parte dei mercanti. Perché più leggera, più maneggevole, più leggibile con addirittura la possibilità di far apparire in filigrana il nome del produttore o delle famiglie che l’avevano ordinata. Questa carta fu, per un breve periodo, proibita per gli atti notarili nel 1220 da Federico II in quanto meno duratura della pergamena.

I fogli di Carta di Amalfi più antichi risalgono al XIII e XIV secolo.

Proprio il periodo in cui visse Dante. Dunque se quei fogli sono arrivati fino a noi non può essere l'eventuale uso di quel tipo di carta che ha provocato la sparizione dell'intera opera autografa di Dante. Si può ipotizzare che in parte può essersi dissolta, ma che non sia rimasto nemmeno un frammento, neppure di una lettera, è non spiegabile.

Quello che rimane a noi oggi di più antico è la versione della Divina Commedia trascritta  dal copista Antonio da Fermo ritrovata a Genova nel 1336 . Oggi quel manoscritto in pergamena è conservato a Piacenza presso la Biblioteca Comunale Passerini Landi ed è per questo chiamato “Manoscritto Landiano”.

Ma come arrivavano le opere letterarie alla gente? Attraverso i codiciin epoca medievale con l'istituzione di vere e proprie scuole di scrittura i codici furono scritti prevalentemente da monaci; famose sono le sale chiamate scriptoria all'interno di conventi e abbazie in cui venivano copiati e decorati.

Il codice è il libro come lo conosciamo oggi, un insieme di fascicoli legati fra loro e magari chiusi tra due copertine.


Esempio di codice decorato risalente fra il 1220 e il 1250, poco prima della nascita di Dante Alighieri.

Si tratta di un manoscritto de La canzone dei Nibelunghi in tedesco del tempo.


Tornando dunque sugli scritti di Dante, dell'intera sua opera, rimane il mistero della totale assenza di un suo scritto autografo. Neppure della sua provata attività politica vissuta dolorosamente in esilio presso le corti di Signori del tempo che si servirono di lui anche come ambasciatore.