sabato 25 settembre 2021

Novella pubblicata nella Raccolta "Mostri e ritratti" - Dietro il sipario

 Dietro il sipario

    "Non fumare quella roba Renato..." La preghiera di Francesca  era maternamente dissuasiva. Lui le sorrise e, in silenzio, infilò il grano di hascisc nella sigaretta. Erano nel piazzale antistante l'università, di fatto un parcheggio. La madre di Francesca non capì. Parlarono un altro pò. Renato propose alla genitrice della sua compagna di studi un gioco nuovissimo: "Dangeons and Dragons".

"Di cosa si tratta? - Chiese la madre di Francesca.

"Un gioco di ruolo: ognuno assume un ruolo...Può durare anche giorni..."

La donna sorrise alla proposta che le sembrò un poco bizzarra, anche se Renato le piaceva, era un ragazzo dolce e fine, un'amicizia di sua figlia che lei approvava.

Si salutarono e Francesca promise a Renato che sarebbe andata a casa sua in settimana per studiare insieme.

In auto, mentre tornavano a casa dall'università dove la madre lavorava e Francesca studiava a Lettere e Filosofia, chiacchieravano: "Ma cosa ha messo nella sigaretta, quando tu gli hai detto....".

Francesca non la fece finire: "Un grano di hascisc." Rispose con un lieve imbarazzo. "Lo fuma abitualmente."

La madre si stupì: "E' strano. Non è il solito sinistrorzo che fuma gli spinelli quasi per ideologia, non va in giro con i jeans sdruciti e la "kefia", non capisco. Mi hai detto che il padre è Nicola Padre, il direttore del quotidiano "Notizie del mattino", viene da una buona famiglia dunque."

"Va bè, mamma, ma che vuol dire..."

"Vuol dire, vuol dire eccome! Se una famiglia insegna ai figli ad avere dei valori non si capisce perché un ragazzo dolce, tranquillo, che veste con giacca e cravatta, debba sentire il bisogno di fumare droga, definita leggera!" Terminò polemicamente.

"Certo io lo ritengo sbagliato, infatti glielo dico come hai visto, ma lui lo fa comunque...."

"Ma la madre gli è vicino? Il padre capisco che può essere molto occupato, anche perché il suo giornale non sta a Roma."

"La madre lavora per Francesco Sassu."

"Caspita! E' vicina al potere!"

"Si“, è una sua stretta collaboratrice. Un giorno che ero a casa loro lei ci parlava al telefono chiamandolo semplicemente Francesco."

"Beati loro!" Commentò la madre con un sospiro.

    Francesca andava a casa di Renato anche con altri compagni di studio. A volte si fermava a cena. Nei fine settimana il padre era sempre a casa, lasciava il giornale nelle mani del vicedirettore. Francesca era colpita dalla sua semplicità di modi: non disdegnava di lavare qualche stoviglia lasciata nell'acquaio. La sorellina minore del suo compagno di università era sordomuta e questo creava un forte legame protettivo fra i genitori. Naturalmente erano state fatte e si continuavano a fare tutte le cure riabilitative possibili per la piccola ed erano stati acquistati tutti i mezzi che la tecnologia metteva a disposizione per la sua infermità.     

    "Ho notato che la madre, soprattutto, controlla le amicizie di Renato." Confidò Francesca a sua madre.

"Se le controlla allora dovrà essere contenta se frequenta una ragazza come te, pulita e studiosa, che non usa droghe e cerca anche di dissuaderlo dall'usarle." Disse con una punta di acredine sua madre.

"Magari non lo sa che suo figlio fuma l'hascisc." Disse la giovane con un sorriso conciliante.

"Se lavora per quell'importante uomo politico non avrà molto tempo da dedicare a suo figlio, è possibile che non se ne accorga." Convenne la madre.

"Ma penso che lavori anche stando a casa, - rifletté la ragazza - perché abitano nello stesso palazzo dove lui ha il suo studio privato."

Sorpresa la donna guardò sua figlia: "Hanno preso la casa apposta lì perché lei possa lavorare per l'On. Sassu?"

"Non lo so... Forse ce l'avevano da prima."

"Strano che un uomo così importante si scelga una collaboratrice che abita nel suo stesso palazzo."

"Allora l'avrà presa lì per stare vicino a lui e non allontanarsi troppo dai figli..." Concluse con indifferenza Francesca.

"Certo è un ménage un pò sacrificato quello dei genitori di Renato. Per lavoro vivono in due città diverse." Chiuse il discorso sua madre.

    L'anno accademico si concluse e per l'anno successivo Renato si trasferì di università, scegliendone una nella città dove era il giornale diretto da suo padre. Non vi era un motivo intuibile dato che tutta la famiglia, a parte suo padre, viveva a Roma e la città dove si trasferiva non aveva università più prestigiose.

Passò un altro anno. Finì sui giornali ed anche sui telegiornali un duro scontro tra l'On. Sassu ed il direttore delle "Notizie del mattino". L'argomento era una divergenza sull'agire politico di Sassu su una questione marginale che il direttore di quel quotidiano aveva aspramente criticato. Sassu aveva reagito altrettanto aspramente attaccando il giornalista. Tutto era apparso a molti esagerato e sopra le righe, anche perché Sassu era dello stesso schieramento politico a cui si ispirava il giornale.

In casa dell'ex-compagna di studi di Renato Padre si commentò: "Ma come farà la mamma di Renato che lavora per On. Sassu se suo marito ci litiga pubblicamente? Si dovrà licenziare!" Disse la madre di Francesca.

"Bè certo il marito non le facilita il lavoro così." Commentò la figlia.

"Poi non è che c'è distacco, tu mi hai detto che gli dava del "tu" e lo chiamava semplicemente per nome... Non deve essere facile per lei questo momento..."


E non lo era, infatti. Renato aveva i capelli biondo rossastri come quelli di sua madre che, come aveva riferito la sua ex-compagna di studi alla sua, era molto graziosa. Aveva il viso dai tratti delicati come quelli di suo figlio. A Sassu, un uomo dai tratti forti, maschi, quel viso era piaciuto subito. Le donne gli erano sempre piaciute molto e per questo sua moglie era precipitata in una depressione da cui non si era più ripresa. Non lo accompagnava mai nelle cerimonie ufficiali e viveva appartata e quando la si vedeva in giro colpiva per la trasandatezza della sua persona. Nonostante ciò l'uomo continuava a vivere la sua ascesa politica fino alle più alte cariche, spesso coinvolto anche in vicende oscure, da cui però usciva sempre pulito. La madre di Renato lo aveva amato fino al punto di parlarne a suo marito. Di comune accordo, avendo come buona scusa il lavoro in due città differenti, avevano mantenuto un ménage familiare per i figli, considerando anche l'handicap della più piccola.

Renato, però, crescendo aveva capito tutto e non vi è nulla di più angosciante che vivere in mezzo a situazioni false. Si era allontanato da sua madre, che rifiutava per il suo rapporto adulterino con Sassu, ed aveva chiesto di andare a vivere con il padre. Nicola Padre aveva una grande e bella abitazione nella città dove era il quotidiano che dirigeva, e fu felice della scelta di suo figlio. Quella città era anche la sua città, quella dove era nato e cresciuto. Per lui non era stato facile adattarsi alla scelta di sua moglie ma, per il bene dei suoi figli, in particolare per la piccola così sfortunata, si era adattato a raggiungerli tutti i fine settimana. Ora non si poteva più fingere con Renato; l'aveva capito da solo e questo non era bene. Si sentiva in colpa. Avrebbe dovuto parlargli prima che capisse. Così, parlargli ora, sembrava un rimedio.

    Nella sua vita solitaria si era affacciata una giovane praticante del suo giornale. Aveva il viso dai lineamenti infantili e gli stessi colori di sua moglie. Non era fine come lei, anzi, era una ragazza quasi ordinaria, anche se veniva dalla media borghesia. Aveva modi spicci ed era molto determinata. Gli sorrideva molto e lo guardava con palese interesse. Certo lui era il direttore e lei una giovane che sperava di lavorare nel giornale... La diffidenza dettata dall'esperienza cedette al bisogno di credere ad un affetto sincero. Un ente esterno, finanziatore del suo giornale, bandì una borsa di studio per praticanti di giornalismo. Lei lo pregò di aiutarla. Lui l'aiutò.

Renato mal accettava l'intrusione di quella giovane nella vita del padre, anche se, razionalmente, si diceva che non poteva stare da solo.

In una delle sue visite a Roma Nicola condusse con sé la giovane borsista e la presentò a sua moglie. Lei capì immediatamente il rapporto che doveva esserci fra i due e ne fu contenta per lui. Alla piccola fu presentata come una collaboratrice del papà. La ragazza si comportava con semplicità e simpatia soprattutto con la bambina. La madre di Renato la invitò a cena e, durante la variegata conversazione, disse che al Senato avevano bandito un concorso per un addetto all'ufficio stampa e Francesco era il Presidente della commissione esaminatrice. Lei ci stava lavorando, doveva preparare le prove.

La giovane aspirante giornalista chiese se i termini di presentazione della domanda erano già scaduti e, avutane risposta negativa, disse con semplicità che avrebbe provato a concorrere, visto che la sua borsa finiva di lì a tre mesi e dopo non avrebbe avuto più una retribuzione. La moglie di Nicola la incoraggiò a farlo e le sembrò molto positivo che la ragazza cercasse altre strade e non solo quella comoda di restare al giornale sotto l'ala protettrice di suo marito, attendendo che, prima o poi, lui le facesse ottenere un'assunzione.

Nicola era, a sua volta, piacevolmente sorpreso dall'iniziativa della giovane. Se cercava altre strade non stava con lui per solo interesse dunque. Sentì una sottile euforia dentro di sé. In fondo in fondo, il timore di non essere amato per sé stesso c'era, anche se rimosso dalla coscienza perché faceva male.

    La simpatia che la semplicità di modi della ragazza ispirava indusse la moglie ad aiutarla. Parlò con Francesco di questa giovane che era accanto a suo marito con un sorriso benevolo e complice: "Vedi se puoi fare qualcosa. In fondo Nicola è sempre stato così civile nei nostri rapporti. Ha capito che tu non potevi lasciare tua moglie per la tua carriera politica e che per noi era un dovere mantenere un focolare per i figli... Con questa ragazza lo vedo sereno. Poi vedo che si dà da fare per guadagnare, in fondo poteva rimanere sotto l'ala di Nicola, invece cerca altre strade..."

Quando la giovane si spostò a Roma per dare il concorso passò a salutare lei e la bambina che l'accolse festosa. 

"Sai più o meno su cosa verterà la prova?" Chiese mentre giocava con la bambina. Ad un attento osservatore questa domanda, fatta casualmente, doveva apparire necessariamente premeditata e frutto di simulazione: la ragazza, infatti, non aveva forse appreso del concorso proprio da colei che ne parlava perché incaricata di preparare la prova? Ma l'altra non fu sfiorata da questa riflessione, anzi, le sembrò normale che la ragazza le chiedesse un aiuto, e l'aiutò.

    Francesco non l'aveva mai vista e gli piacque subito, appena si sedette nella sedia davanti a lui. Era bionda come la sua amante, ma più giovane e grezza. Quest'ultimo aspetto della ragazza, lungi dall'essere un punto a suo sfavore rispetto all'altra, stimolava invece la sua libidine. Come tutti gli arrivisti ed arrampicatori sociali in genere, lei capì di piacergli al volo e decise istintivamente che quell'uomo importante era il suo gradino successivo nella scalata.

    Nicola sentì un gelo per tutto il corpo nel sentire singhiozzare sua moglie al telefono: "Mi ha buttata via come una cosa usata...Con un cinismo mostruoso...." Avevano perso su tutta la linea e quella piccola, anche poco intelligente, donna li aveva raggirati tutti e due.

Tutti sapevano che era diventata l'amante di Francesco Sassu e lui l'aiutava spudoratamente a fare carriera dandole incarichi sempre più importanti e di prestigio.

All'inizio, vinto il concorso come addetto stampa al Senato, Nicola aveva visto diradarsi i loro incontri, ma l'aveva attribuito all'impegno lavorativo di lei, per di più in un'altra città. Lontano dalla Capitale non ne aveva raccolto i sussurri ed i pettegolezzi. Finché un giorno un suo inviato gli aveva detto con un sorriso malizioso delle chiacchiere che giravano sulla loro ex-praticante e Francesco Sassu.

Come della relazione di sua moglie nulla si era mai potuto dire ufficialmente, così anche di questa storia nulla si poteva dire, ma questa era vissuta più sfacciatamente dai due protagonisti. Li accomunava, infatti, un cinismo sfrontato che a lui era servito a condurre una vita nel compromesso totale, sia pubblico che privato, ed a lei ad emergere dalla massa indistinta pur non avendo particolari meriti professionali


lunedì 20 settembre 2021

Barbara Palombelli linciata

 "Sono stata vittima di una diffamazione senza precedenti. Coloro che si sono resi protagonisti di questa palese falsità ne risponderanno in tribunale". Barbara Palombelli al contrattacco dopo le polemiche scatenate dalle sue parole sui femminicidi .


Le Società cambiano e anche in fretta. Io sto al mondo da quasi 75 anni e, se leviamo i primi tre di cui ho solo dei flash di memoria, dai tre in poi posso testimoniare che sono stata una bambina dalla sorprendente capacità di registrazione di ciò che mi capitava intorno, dunque sono una testimone del mio tempo per quasi 72 anni. E posso dire che se in molte cose la nostra Società è migliorata da un po’ di tempo si registra un imbarbarimento preoccupante.

E’ venuto meno il senso di responsabilità personale e ciascuno, soprattutto se scarsamente acculturato, si sente in diritto di aggredire chiunque si permetta solo di accennare un pensiero che gli appare contrario al suo, non cercando nemmeno di approfondire i concetti in uno scambio di idee appena civile, ma aggredendo immediatamente chi ha proferito questa o quella frase che egli ha interpretato a suo modo e lo fa insultando, minacciando e calunniando.

Se la TV, soprattutto la RAI di cui lo Stato pretende un canone-imposta, è scaduta a livelli di attricette assurte a conduttrici che ridono sguaiatamente e chiamano tutti “belli di zia”, i social non sono da meno e da essi ci si può difendere solo non entrandoci affatto o bannando le persone.

Ma chi sono queste persone che, ad esempio, hanno valangato la Palombelli di insulti, minacce e calunnie per aver dato uno spunto di riflessione agli ascoltatori della trasmissione che conduce su Rete 4?

Ecco cosa ha detto la conduttrice: "Parliamo della rabbia tra marito e moglie. Come sapete negli ultimi sette giorni ci sono stati sette delitti, sette donne uccise, presumibilmente da sette uomini. A volte però è lecito anche domandarsi: questi uomini erano completamente fuori di testa, completamente obnubilati oppure c'è stato anche un comportamento esasperante, aggressivo anche dall'altra parte? E' una domanda, dobbiamo farcela per forza, perché dobbiamo in questa sede soprattutto, in un tribunale, esaminare tutte le ipotesi".

Apriti cielo! L’assoluto esiste, ed è quello che queste menti senza freni hanno in testa. E l’assoluto non si tocca!

Ogni uccisione è un orrore, ha voluto dire Palombelli, ma forse in alcuni casi si può prevenire non esasperando le situazioni.

No! L’assoluto nelle teste urlanti parolacce contro Palombelli è che la vittima ha sempre ragione, in quanto vittima, e il suo comportamento non ha inciso in nulla nell’evento finale!

Se così fosse, secondo la teoria dell’assoluto, la giurisprudenza non terrebbe conto delle attenuanti, tipo la provocazione ad esempio.

Palombelli ha solo detto la verità e cioè che il nostro agire deve essere improntato alla prudenza, sia nelle scelte che facciamo sia nei comportamenti che teniamo. Basta pensare alla saggezza dei proverbi e agli insegnamenti dei nostri genitori se abbiamo avuto la fortuna di averne e perbene.

Certo non tutti hanno questa fortuna, certo ci sono persone sfortunate già dalla nascita che dunque non hanno guida e debbono imparare da sole con la propria esperienza cosa conviene fare, da quali persone tenersi lontano.

Ma la massa insultante stabilisce un canone assoluto e guai a te se non ti attieni a quello. Guai a richiamare ad un benché minimo senso di responsabilità personale!

Le donne uccise sono vittime e hanno tutte ragione in quanto tali e non ci sono differenze nei loro comportamenti: da quella fatta sparire in una notte gelida in pigiama di cui non si trova neppure il cadavere, tradita dal marito e dalla sua migliore amica, di cui si fidava, la quale lavorava nell’impresa messa su anche con i suoi soldi, e che dopo pochi mesi dalla sua sparizione si è installata in casa sua, continuando a lavorare nell’impresa anche sua, che si è presa anche i suoi figli i quali, lungi dal giudicarla, l’hanno accettata, a quella che vuole separarsi lasciando il marito in mutande e vuole rifarsi una vita con un altro uomo usando i soldi che pretende dal marito tramite il Tribunale. Uguali. Stessa situazione, per gli assolutisti.

Guai a porsi domande tipo Palombelli!

L’hanno assimilata a quelli che dicono che se una viene violentata è perché portava la minigonna.

Certo, non tutti gli uomini sono bruti che assaltano una donna in minigonna e la violentano, ma bisogna mettere in conto che esistono, e indossare la minigonna in circostanze in cui non si vada poi a passeggiare in luoghi solitari. Si chiama prudenza non "limitazione della mia libertà". 

Insomma, non viviamo in una realtà sterile né sterilizzata dalle Leggi, che pure esistono, e dobbiamo muoverci tenendone conto.

Invece questi barbari che insorgono e che si credono progrediti pretendono la libertà assoluta nei comportamenti e il discarico totale di responsabilità personali che possono renderci vittime e, a volte, carnefici.

A me, che non sono famosa come Barbara Palombelli, è capitato qualcosa di simile, e stavo anch’io per muovermi come la giornalista ha minacciato di fare, per aver rimpianto una giovane e bella vita di un ragazzo puro e generoso che è stato ucciso dall’amante pakistano di sua madre di appena 10 anni maggiore di lui e 20 più giovane di sua madre. Anch’io per una frase piena di amaro rimpianto-sarcasmo: “Se la madre non fosse stata così vogliosa suo figlio ora sarebbe vivo.” Quello che hanno scritto degli esseri umani su facebook, intrufolandosi pure sulla mia chat messenger e addirittura nel mio quasi inusato profilo Instagram, che ho aperto solo per stare in contatto con un mio nipote, è qualcosa di inimmaginabile. Questo l’articolo che ho scritto su tale fatto.

http://www.ritacoltelleselibripoesie.com/2021/05/un-fatto-di-sangue-e-un-commento-che.html

Ne consegue che la Società attuale si identifica in gran parte con chi agisce senza prudenza, senza responsabilità, e guai a dare spunti di riflessione, vengono presi come condanne, giudizi e cattiverie fuori luogo.

domenica 12 settembre 2021

MADRE Cap. XI

 

Capitolo XI

 

Rita bambina era stata lucida testimone della vita insieme ai suoi genitori, ma mancava nella sua capacità di giudizio l’esperienza.

Una capacità di giudizio innata in realtà la bimba l’aveva in sé: quando aveva avuto paura che la consegnassero a suo padre ubriaco che urlava in fondo alle scale insensatamente “Voglio mia figlia!”. Come se qualcuno gliela negasse o gliela volesse portare via. Oppure quando aveva provato umiliazione e vergogna per sé e per sua madre quando, obnubilato da un’ubriachezza estrema già all’ora di pranzo, si era buttato sul piatto del suo collega che aveva invitato provocandone il disgusto. Ma anche il disagio e il senso di vergogna provato quando suo padre l’aveva preparata all’interrogatorio a cui era stata inconsapevolmente convocata dal maresciallo dei Carabinieri a seguito della denuncia di sua madre, di cui lei, bambina decenne, nulla sapeva. E ancora, elegantemente vestita, come suo padre la voleva comperandole personalmente gli abiti, con un cappotto cammello, cappello con falda ripiegata verso l’alto di ugual colore, e scarpe e borsetta marroni, si era discostata da suo padre che, barcollante perché totalmente ubriaco in pieno giorno, le camminava accanto appoggiandosi al muro per non cadere. Si era allontanata verso il lato opposto della strada che stavano percorrendo nel tentativo di mostrare a chi li vedeva che non stavano insieme, perché lei si vergognava moltissimo di lui: non aveva più di dodici anni.

Eppure lei amava suo padre e si rendeva conto che per lui lei era tutto.

Negli anni ’50 del 1900, dopo una guerra che aveva impoverito l’Italia, già povera da prima che scoppiasse, lei si rendeva conto che grazie a suo padre aveva sempre qualcosa in più rispetto alle altre ragazzine della sua età che incontrava a scuola oppure nel palazzo dove suo padre aveva acquistato l’appartamento dove vivevano.

Oltre il completo che portava quel giorno in cui aveva provato vergogna di suo padre fino a cercare di allontanarsene camminando da sola per la strada, aveva avuto un cappottino blù, con cappellino dello stesso colore e la falda ripiegata in su come l’altro, con borsetta e scarpe blu. Vedeva che la gente la guardava ammirata perché si trattava di un’eleganza non usuale.

Dunque, nonostante questa capacità di giudizio innata, ella aveva sempre privilegiato suo padre, perché sua madre era priva di volontà e subiva quella di suo padre, attraverso il quale la figlia aveva sempre percepito che la loro infelicità era causata da sua madre, dalle sue stranezze comportamentali, causa delle reazioni di meravigliata compassione, a volte malignamente derisoria, di certa gente che, al contrario, non provava lo stesso sconcerto di fronte alle ubriacature di suo padre.

Rita, quindi, aveva subito l’influenza dei sentimenti nei riguardi di sua madre che percepiva intorno a sé: nel padre segnatamente, e nella gente.

Ma via via si sviluppava in lei, attraverso l’esperienza, una visione che modificava il suo giudizio, sempre più soggettivo e non filtrato da quello percepito attraverso suo padre e certa gente.

Aveva odiato suo padre per la sua cecità in un episodio che aveva visto protagoniste una sua zia acquisita e la sua cuginetta, minore di lei di oltre tre anni: quanto avrà avuto lei, Rita, quando avvenne? Forse tredici anni. Erano ospiti in casa sua il fratello minore di suo padre con sua moglie e sua figlia. Gente che viveva nel piccolo paesino dove i suoi genitori erano nati coltivando la terra, che era anche di suo padre, e che suo padre beneficava in molti modi che agli occhi intelligenti di sua figlia non sfuggivano.

Sua madre aveva preparato un buon pranzo, cucinava bene, e la cognata non si alzava neppure per fare il gesto di aiutarla. Era seduta a tavola di fronte a Rita ed aveva accanto l’innocente cuginetta che seguiva con occhi meravigliati i gesti di Serena che li serviva a tavola, mentre suo padre, seduto a capo tavola avendo accanto il fratello, parlava con lui fitto fitto, e quello lo ascoltava come sempre apparentemente remissivo e sottomesso, non perché condividesse sempre quello che quel fratello maggiore diceva, ma perché ne riconosceva la generosità che nessuno di loro aveva mai dimostrato per gli altri fratelli.


Guardando la madre di Rita lo sguardo della cuginetta  si era riempito sempre più di candida e quasi smarrita meraviglia che le affiorò sulle labbra innocenti proferendo una domanda rivolta alla madre: “Mamma, ma tu dici che zia Serena è matta! Ma a me non sembra!” La squallida donna, scoperta così dall’innocenza di sua figlia, lanciò un’occhiata terrorizzata alla nipote che le sedeva di fronte e la guardava, certa che quella aveva sentito tutto ed ora non sapeva dove nascondersi visto che la sua cattiveria meschina veniva svelata e clamorosamente scoperta la sua falsità. Con lo sguardo sfuggente sussurrò qualcosa alla figlia cercando di farla tacere, che non se ne uscisse con altro… Ma la cuginetta non disse altro, smarrita, senza capire il contrasto fra quello che vedeva e quello che abitualmente sentiva da sua madre. Rita temette solo che sua madre avesse sentito l’innocente domanda della nipotina e ne potesse restare ferita, ma lei volgeva le spalle andando verso la cucina con qualcosa in mano e sembrò non aver sentito distratta come era, allora Rita guardò suo padre, sperando che invece lui avesse sentito e capito finalmente chi beneficava e rispettava. Ma lui era troppo preso a parlare con quel fratello più ignorante di lui, meno intelligente di lui, ma, come diceva Serena, interessato. E lei lo odiò, perché da lui si sarebbe aspettata la reazione che lei, troppo piccola, non poteva permettersi con degli adulti.

Lui ricopriva di regali i figli di quel fratello che aiutava anche economicamente, e non si era mai permesso nemmeno di sfiorare con un dito quei nipoti amati, mentre lei dai suoi zii aveva preso botte ben due volte. Eppure li vedeva solo d’estate e se ora erano lì e godevano della loro ospitalità era perché di qualsiasi cosa avessero bisogno in città la loro casa fungeva da albergo e da ristorante, senza ritorno alcuno se non scoprire con quale spregio veniva chiamata Serena dietro le spalle.

Serena era matta? Eppure vedeva la realtà meglio del cieco marito che sempre la metteva a tacere tacciando ogni cosa vera e saggia che diceva come frutto di malattia.

A diciassette anni Rita cominciò a contestare al padre tutto quello che di sbagliato egli aveva fatto e continuava a fare a sua madre, ormai libera dall’influenza del suo giudizio che le aveva fatto schermo della realtà, troppo piccola per averne uno suo, pur con le cose che vedeva e viveva.

A diciotto anni decise di portarla a fare una visita specialistica, lucidamente cosciente che quella povera donna ne aveva fatta una sola quando lei aveva cinque anni e mai l’aveva vista prendere alcuna medicina e fare nessuna cura.