giovedì 10 marzo 2011

Racconto inedito

CIVILTA', INCIVILTA'


Scendendo in auto dalla Via dei Laghi verso Velletri lei esclamò: "Guarda Gaetano! Si vede il promontorio!"
"Sì, ho visto." Rispose lui continuando a guidare con lo sguardo sui tornanti. Aveva gettato una rapida occhiata all'incomparabile visione: in lontananza, dopo le dolci colline, si vedeva il mare, una striscia azzurra sfumata con il cielo e la sagoma inconfondibile del promontorio del Circeo.
Anna e Gaetano andavano, per l'ennesima volta, a nord di quel promontorio, per cercare di acquistare una casetta in quei luoghi che tanto amavano. I figli erano ormai sposati e loro potevano disporre di una piccola liquidità che, con un mutuo minimo, poteva consentire loro quell'acquisto.
Uno dei tre figli, un chirurgo, li aveva sconsigliati, preferendo il mare a nord di Roma. Loro avevano a lungo girato, ma alla fine si erano decisi: Sabaudia era bella, il mare pulito e facilmente raggiungibile da Roma, soprattutto dai Castelli Romani dove, molti anni prima, avevano scelto di abitare.
Avevano fatto varie prove: raramente trovavano file di auto sulla Via Appia. Certo la Pontina era un'altra cosa: file sempre.
Certo, se il loro figlio chirurgo voleva venire a Sabaudia, abitando a Roma Nord, doveva per forza percorrere la Pontina……
Ma anche se avessero scelto Ansedonia, come suggeriva lui, le file del rientro non sarebbero mancate nemmeno da quella parte……
Giunsero al Comune di Sabaudia. Avevano appuntamento con l'Amministratore Unico di una società di costruzioni che da due anni aveva incamerato ventimila euro da loro con la promessa di iniziare a costruire la sospirata casetta ma, per oscuri motivi,i lavori non iniziavano mai. Avrebbe dovuto sorgere in uno dei Consorzi a nord di Sabaudia. Due anni prima, uno dei due soci della società edile li aveva ricevuti dentro un casottino, dopo aver sparso in giro cartelli invitanti con numeri telefonici, ed aveva mostrato loro delle deliziose villette quadrifamiliari già costruite: "Ecco, la vostra verrà così!"
"Quando inizierete?"
"Ad ottobre!"
Era d'estate ed ottobre era vicino. Dettero un primo acconto e firmarono una promessa di vendita.
Passò l'autunno ed anche l'inverno, venne la primavera dell'anno successivo. In tutto quel tempo Anna telefonava al venditore chiedendo notizie sulla desiderata casa: quello rispondeva accampando scuse tecniche che riguardavano permessi vari che tardavano ad arrivare e, senza i quali, il Comune non poteva rilasciare la concessione edilizia. Anna gli obiettava che, quando avevano firmato la promessa di vendita, lui aveva detto di averla già la concessione edilizia. Ma il costruttore mise altre scuse che non convinsero l'anziana coppia. I figli cominciarono a rimproverarli di aver dato i loro soldi a persone inaffidabili. Il sogno si allontanava e cominciava ad avere un sapore amaro.
Ora, dopo due anni, avevano dato appuntamento al responsabile legale di quella dubbia società per una verifica all'interno del Comune, presso l'Ufficio Tecnico, a cui i due soci attribuivano ogni responsabilità.
L'uomo era lì ad attenderli. La sua gentilezza suonò falsa ed imbarazzata alla sensibile Anna. Salirono all'Ufficio Tecnico. Un cortese geometra, che Anna aveva già conosciuto l'anno precedente quando, comprensibilmente diffidente, era andata a verificare a che punto era la faccenda, li accolse. Con il costruttore si davano del "tu". Come un anno prima aveva sciorinato davanti ad Anna la pianta della lottizzazione, tranquillizzandola perché il terreno aveva una concessione per edificare molti metri cubi ed esortandola a spingere i costruttori a presentare il progetto prima possibile, ora aprì la pianta del progetto finalmente presentato. Le scuse addotte dai due soci per quel ritardo erano state le più svariate: il Comune che chiedeva modifiche al progetto originario, bisognava attendere l'uscita del Bollettino Regionale che dava nuove disposizioni ecc..
Finalmente il progetto era lì, mancavano piccole cose e la concessione sarebbe stata rilasciata: dopo due anni esatti. Ma Gaetano, guardando quei disegni aperti sulla scrivania del geometra, notò qualcosa che non tornava.
"Ma la nostra casa non ha finestre se non davanti…"
Il costruttore assunse un'aria molto imbarazzata e, allungando il collo per vedere meglio i disegni, disse:
"Dove? Ah, questa?"
"E' la nostra, no? - Disse con aria tesa Gaetano. - "Non era la numero sedici?"
"Beh… Sì, sì è questa." Dovette ammettere l'Amministratore Unico.
Il geometra assisteva in silenzio alla scena con aria distaccata.
"Ma noi abbiamo acquistato una porzione di una villetta quadrifamiliare e questa non è neppure una casa a schiera: ha le finestre solo sulla facciata e nei tre lati restanti è attaccata ad altre proprietà!"
" Beh… E' come se lo fosse…" Rispose senza convinzione il costruttore.
"Come sarebbe 'come se lo fosse'?!! - Intervenne a questo punto Anna con durezza.- "Noi acquistiamo una villetta quadrifamiliare 'come se lo fosse'?!! Ma stiamo scherzando? Sono due anni che ci portate in giro: ci avete abbindolato con la falsa notizia che avevate già la concessione…"
"Non sono stato io! E' stato il mio socio!" La interruppe l'uomo arrampicandosi sugli specchi.
Gaetano disse con fermezza; "Abbiamo dato i nostri soldi per una villetta quadrifamiliare come quelle che avete già costruite ed il suo socio ha detto chiaramente e davanti a testimoni che sarebbero venute identiche. Sul compromesso, che lei ha firmato, c'è scritto 'villa quadrifamiliare'… Dunque qui c'è un raggiro."
L'uomo si rivolse allora al geometra, chiedendo il suo aiuto: "Diglielo tu Antonio…" Ma quello assunse un'aria più che neutrale e disse: "Queste sono questioni che esulano dal mio Ufficio. Sono problemi che dovete risolvere fra voi…"
Allora il costruttore ammise: "Non c'era lo spazio e abbiamo dovuto accorpare e stringere le case.. Abbiamo dovuto cambiare il progetto…"
"Rivogliamo indietro i nostri soldi, non è la casa che abbiamo acquistato…"
La disputa continuò davanti al Comune, con grande sollievo del geometra che, esaurito il suo compito, fu felice che liberassero il suo ufficio.
"Fatemi causa, - minacciò il costruttore - e riavrete i vostri soldi fra dieci anni!"
Quell'anno presero in affitto una casa nel Consorzio vicino a quello dove avevano prenotato la villetta fantasma.
Pensarono seriamente di mettere la faccenda nelle mani di un avvocato amico di famiglia che, dunque, non sarebbe costato molto. I figli criticarono la loro dabbenaggine, il fatto che avevano accettato per due anni scuse su scuse.
Anna prese allora il Codice Civile e quello Penale e, pur non essendo laureata in legge, seppe stilare una lettera in cui chiedeva indietro i loro ventimila euro, altrimenti sarebbe scattata la denuncia per truffa.
Di fronte a questi argomenti convincenti l'Amministratore Unico riconsegnò la cifra, senza interessi naturalmente, continuando ad affermare che stavano perdendo 'un affare'. Quando Anna, riavuti i suoi soldi, gli rispose che con quella cifra si poteva comperare una vera villetta quadrifamiliare nel Consorzio dove aveva preso la casa in affitto per quell'estate, il costruttore fece con sufficienza:"Ma quello è il Consorzio dove stanno 'i neri'"
"E allora?" Chiese Anna sicura.
L'uomo assunse un'aria di superiorità e disse con ironia: "E' un'altra cosa rispetto al nostro Consorzio… Lì ci sono indiani, pakistani… Affittano a questi immigrati che lavorano nelle serre, per questo le case valgono meno."
Acquistarono la sospirata villetta, come la volevano loro, proprio in quel Consorzio. Era già costruita, finita e rifinita e non soltanto un castello nebuloso di parole ed un prato con l'erbetta…
Proprio accanto c'era una lottizzazione che, dopo varie vicende di fallimenti, era in mano a qualcuno che affittava ai tanto disprezzati 'neri'. Dapprima, influenzati dalle dicerie, ebbero qualche timore di eventuali furti. Fecero montare le inferriate alle finestre. "In fondo non ci stiamo sempre… - Si dissero - E poi ormai rubano dappertutto e non sono sempre e solo gli extracomunitari…"
Infatti in città ed altrove era tutto un fiorire di porte blindate, inferriate ed allarmi. E non certo solo a causa degli immigrati.
La piccola lottizzazione dove era la loro casa si popolò a poco a poco di italiani.
Sembrava un posto tranquillo, l'unico neo, secondo la gente, erano i 'neri'.
Anna era felice: dal suo balcone si vedeva il mare. Al di là della siepe, che il costruttore aveva fatto piantare per 'non vedere' i lavoratori delle serre, le arrivavano le loro voci, sentiva le loro telefonate con le famiglie lontane… Affetti che vivevano attraverso un cellulare… Vedeva i loro poveri panni stesi ad asciugare su fili tesi in modo non estetico, che tanto disturbava alcuni italiani, e provava una sottile malinconia nel guardare quegli uomini farsi il bucato da soli, a mano… Si lavavano con tubi di plastica per innaffiamento: docce improvvisate. Poi, quando non lavoravano, li vedeva passeggiare in gruppi, puliti e con gli abiti buoni.
"Si ubriacano." Le disse con una smorfia sulle labbra una donna che abitava lì intorno. Qualcuno sì, è vero, si ubriacava. Anna ne vedeva qualcuno seduto sul gradino del marciapiede con una bottiglia di birra in mano: gli occhi che la guardavano passare erano pieni di solitudine e di malinconia. Anna pensava a quanto è dura la vita per noi nei rapporti umani, a quante cose dobbiamo subire nel lavoro ed altrove, ma siamo nel nostro Paese, di cui dovremmo capire tutto, siamo fra gente che parla la nostra stessa lingua ed abbiamo le persone care vicine.... Forse, nella loro condizione, ci ubriacheremmo anche noi.
Non conoscendone i costumi non li salutava per prima, ma se qualcuno di loro le dava il "buongiorno" lei rispondeva con il saluto ed un sorriso.
Il loro vocìo era come un alveare vivo che teneva compagnia e gli odori della loro cucina speziata erano gradevoli e mettevano appetito.
"Le nostre case valgono di meno perché ci stanno 'questi'!" Diceva un tizio dall'accento del nord che usava parlare urlando.
Gaetano pensò, ma non lo disse, che gli indiani c'erano da prima che lui comperasse la casa lì, dunque perché l'aveva acquistata? Costui girava con un grosso fuoristrada e un giorno intimò ai due anziani coniugi "che dovevano mettere la loro auto dentro il loro giardinetto". Una pretesa intimidatoria ed assurda che i due ignorarono. Una mattina, però, trovarono la loro vecchia ma curata auto segnata da un ghirigoro fatto con la chiave e una strisciata sulla fiancata fatta con un blocchetto di cemento lasciato poco distante dagli operai del cantiere.
Un altro abitante, che dichiarava essere gli indiani incivili, disse, bontà sua, "che le auto si potevano tenere fuori dai cancelli, ma solo davanti alla propria casa". Anna gli fece notare che, qualora avessero fatto come lui minacciosamente intimava, lui e gli altri che abitavano nella parte interna del piccolo lotto, non sarebbero potuti passare con le loro auto, essendo la strada stretta. Il prepotente, non volendo ammettere che aveva parlato senza criterio, cercò di cavarsela dicendo:"Non fa niente, esco dall'altra parte!" "Ma è la stessa cosa se dall'altra parte mettono l'auto lungo il proprio muro di cinta." Osservò la donna con dolcezza. Incapace di ammettere di aver detto una sciocchezza, l'uomo si allontanò borbottando oscure minacce che suonavano più o meno così:"Poi non vi lamentate se trovate l'auto segnata..."
I figli di Anna e Gaetano venivano di rado e un giorno che, con loro grande gioia, uno di questi era venuto in visita, trovarono sul parabrezza della sua auto, perfettamente parcheggiata lungo il marciapiede della strada consortile, un biglietto malamente vergato con su scritto: "Parcheggiate davanti alle vostre case!" Il viso del giovane si rabbuiò: "Ma l'ho messa lungo il marciapiede, mica sta davanti ad un cancello!" Uscì un tizio da un cancello vicino e molto teso disse che il biglietto l'aveva messo lui. Il figlio di Anna e Gaetano cominciò ad arrabbiarsi sul serio per l'affronto ingiustificato e per le ragioni espresse dall'autore del biglietto, che si rivelarono assurde ed ingiustificate. "Questo è un condominio e ognuno mette l'auto lungo il marciapiede che sta lungo il proprio muro di cinta!" Anna stupefatta spiegò all'energumeno che non esisteva alcun condominio e che quella era la strada consortile, dunque poteva parcheggiare lì chiunque facesse parte del Consorzio e non soltanto quelli del loro lotto che, peraltro, non erano costituiti in condominio. Capì dalle risposte che quello non capiva la differenza fra Consorzio e condominio ma, alla fine, con pazienza lei glielo spiegò e sembrava aver capito.
Suo figlio comunque rimase molto contrariato e dopo le disse:
"Ma perché hai perso tempo a spiegare a quel "tutero" ciò che avrebbe dovuto sapere da solo?!" Rimproverò sua madre per la sua diplomazia. "Non capisco come fanno questi a comperarsi una casa senza capire niente!"
"Ma questi da dove vengono che pretendono che la strada prospiciente le loro case sia a loro esclusivo uso. Nessuno che sia nato e cresciuto a Roma, certo in centro e non in borgata, si sognerebbe mai di avere una simile idea!" Soggiunse Gaetano.
Questa era la comunità di italiani che disprezzava gli indiani, lavoratori delle serre a basso costo.
Uno di questi aveva piazzato una vecchia barchetta di alluminio dentro il proprio cortiletto e batteva tutto il giorno su di essa, per oscuri lavori, cavandone un clangore che si sentiva dal fondo della strada consortile. Nessuno protestava. Fra simili non si mordono. Quando non batteva sul guscio di alluminio urlava i suoi punti di vista parlando con il vicinato:"Questi se ne debbono andare!!" Intendeva gli extracomunitari.
La sua vecchia genitrice aggiungeva altri commenti all'argomento sempre urlando e la sera si intrattenevano fino a tardi senza curarsi dell'eventuale bisogno di riposo di altri. Spesso l'uomo dall'accento del nord litigava con sua madre, insultandola e bestemmiando, senza rispetto per il ruolo e per l'età, e lei gli rispondeva per le rime.
D'estate è dura stare con le finestre chiuse ed Anna e Gaetano non erano liberi di dormire o di leggere e, a volte, anche di parlarsi, perché il frastuono di coloro che si reputavano civili non lo consentiva.
Altra cosa era il gradevole vocìo di coloro che venivano considerati incivili.
Gli italiani usavano salutarsi e scherzare a voce elevata, parlando con pesante accento romanesco, o di qualche paesetto del frusinate, o dei paesi intorno a Roma.
D'estate la spazzatura presso i cassonetti era sparsa ovunque, eppure Anna riusciva a trovare un posto all'interno per il suo sacchetto. "Sono gli indiani!" Diceva qualcuno. Al cambio di stagione apparivano rifiuti speciali quali: lavatrici, televisori, materassi, porte rotte con vetri e similia. Eppure, dicevano fra loro Anna e Gaetano, esisteva un numero telefonico del Comune a cui rivolgersi per quel tipo di rifiuti. Difficile pensare che appartenessero agli indiani...
D'inverno i due andavano spesso nella loro casetta e.... caso strano, quei rifiuti non c'erano. Ma gli indiani però sì. Tutto era più pulito e più vivibile.
"Loro vengono da Paesi dove sicuramente la raccolta dei rifiuti non c'è ovunque, sarebbero anche giustificati se dovessero abituarsi ai nostri costumi, ma questo schifo dell'immondizia ormai è ovunque in Italia, anche dove non esistono insediamenti di extracomunitari, dunque gli italiani sono ingiustificabili, avendo da sempre il servizio di ritiro rifiuti." Commentava Anna che, da ecologista, soffriva molto il fenomeno di imbarbarimento degli italici costumi.
Erano delusi. La spiaggia che tanto amavano aveva, sparsa, immondizia stanziale. Rari erano i bidoni di raccolta dei rifiuti e, in settembre, quando i piccoli bar, che avevano in concessione brevi tratti di arenile, smontavano e andavano via, la sporcizia aumentava.
Le dune, meravigliose in primavera con i fiori, erano insultate dalla presenza di bottiglie di plastica e vetro, lattine arrugginite ed altro ancora.
"Ma non dovrebbe pulire il Comune?" Si chiedeva desolata Anna.
"Dovrebbe." Rispondeva suo marito.
"Mi hanno detto che i soldi dei parcheggi sul lungomare servono a mantenere puliti dieci chilometri di spiaggia..."
"Forse. Ma i fatti smentiscono questa affermazione." Diceva suo marito.
"Dovrebbero multare chi insudicia." Diceva lei.
"....che non sono certo i poveri indiani-pakistani...- diceva lui - Loro non fanno i bagnanti."