domenica 31 maggio 2015

Domenico e i suoi poveri genitori

Da: OGGI

Domenico Maurantonio, la disperazione della madre: “Lo hanno buttato giù”

Antonia Comin si sfoga coi cronisti e spiega quale sia l’unica ipotesi in cui crede: “Uno scherzo disumano”. Intanto, dai cellulari dei compagni emergono nuove verità

Sempre più fosche le ombre che si allungano sulla morte di Domenico Maurantonio, lo studente padovano precipitato dal quinto piano dell’Hotel Da Vinci di Milano, dove era giunto con la scuola per vedere l’Expo 
LA MADRE- A parlare dei punti bui del caso è la madre del giovane, Antonia Comin, che si è sfogata con i cronisti di NewsMediaset, spiegando come ritiene che sia morto suo figlio: e si tratta di un’ipotesi inquietante.
L’HANNO SPINTO- Dice infatti la donna: “Visto il contesto della finestra da cui una persona, in qualunque condizione, non poteva cadere, l’unica ipotesi è che sia stato spinto giù”.
NESSUNA BRAVATA- La donna esclude bravate e goliardate e dunque ritiene plausibile l’ipotesi peggiore, quella cioè di una mano che abbia fatto precipitare nel vuoto il figlio:Domenico non era tipo da farsi coinvolgere in bravate con equilibrismi su cornicioni o davanzali, men che meno al quinto piano. Sarebbe un altro comportamento anomalo che non è assolutamente in linea con il suo modo di essere”.
SCHERZO CRUDELE- Dunque, per la mamma, non ci fu alcun incidente. Ma uno scherzo crudele finito in tragedia: “Io vedo un gesto veramente crudele, con un fine ben preciso. Purtroppo è così. Si tratta di capire chi ha messo in atto questo gesto e perché. Non so cosa pensare: se è uno scherzo, è uno scherzo crudele, disumano, messo in atto con l’intenzione di colpire in modo estremamente grave”.
AZIONE MASCHERATA- Poi va anche oltre. E dice di ritenere possibile che qualcuno abbia voluto mascherare un’azione volta ad ottenere conseguenze irreparabili: “Se è stato uno scherzo, non è stato uno scherzo ma un’azione mascherata da scherzo. Probabilmente l’intento era quello di colpire in modo definitivo o quanto meno con delle conseguenze gravissime e irreversibili”.
IL PADRE- Anche il padre di Domenico, Bruno, non sa tuttora darsi una motivazione sul fatto che nessuno abbia visto o sentito nulla: “Non riesco a capire perché continua ad esserci una versione secondo la quale nessuno era presente, nessuno ha sentito, nessuno ha visto, che appare alquanto improbabile”.


Fra tante disgrazie e tragedie che apprendiamo ogni giorno questa mi colpisce e mi mette ansia fino a pensare a questo ragazzo anche la sera prima di addormentarmi. 
Una scolaresca in gita, un albergo, il silenzio e un mattino in cui un operaio apre una porta di accesso ad un piccolo cortile interno e si trova davanti a  questa scena: il sangue, che dice di aver visto per primo.. poi il corpo seminudo del ragazzo e.. accanto, discosti, i suoi indumenti intimi... Già questo, improbabile, inammissibile dato il contesto, è l'incipit di un giallo tutt'altro che chiaro, decisamente oscuro. Salta alla mente l'immagine immediata di un delitto.
Anch'io penso quello che pensano questi dignitosissimi e sfortunati genitori a cui una sorte scellerata ha spezzato la vita.
Un figlio è amatissimo, lo si cresce con cura e lo si porta all'affacciarsi alla vita. Non si teme più nulla, come quando era bambino, ora può camminare da solo. Al massimo puoi temere un incidente d'auto, una malattia, mai di ritrovarlo morto in quell'immagine che in me suscita una desolata e dolorosa pietà... Perché è assurdo, insensato finire così, in un contesto di gioia e di svago culturale... con la Scuola... il Liceo. 

Le intuizioni di una madre intelligente, misurata, così ferita a morte nella sua esistenza ormai spezzata, sono verità che si affacciano anche nella mente di gente sconosciuta, come me, a leggere i commenti sotto i vari articoli di giornale che parlano di questa tragedia.  
Domenico è morto e questa orribile realtà non può cambiare per i suoi genitori, ma la verità deve essere documentata e spero che gli inquirenti sappiano metterla in luce formulando le possibili ipotesi e cercando le prove scientifiche che corroborino tali ipotesi, fino a rendere una sola certezza. 

Domenico in un momento sereno della sua breve vita

Ariccia: tragedia per l'autismo

Da: Il Tempo


ARICCIA

Madre e figlio giù dal "ponte dei suicidi"

Lui, autistico, scavalca la balconata e si lancia. Lei, choccata, lo segue nel vuoto

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Il primo a fare l’estremo gesto sarebbe stato il figlio, affetto da autismo, che gattonando sulla rete dopo il parapetto, si sarebbe alzato in piedi alcuni istanti per poi lanciarsi in un volo di 70 metri dal ponte di Ariccia. Sua madre, vedendolo precipitare, si sarebbe lasciata cadere appresso a lui. Si è conclusa così intorno alle 22.30 di venerdì, la vita di una madre e un figlio di Centocelle che avevano un dolore troppo grande da sopportare a tal punto da decidere di togliersi la vita. A nulla sono valse le suppliche di testimoni e agenti della polizia di Albano intervenuti dopo la segnalazione al 118: «Fermatevi, per favore non lo fate!». Ma poi è successo e dei due non è rimasto altro che l’immagine di lenzuola sui resti dei corpi, ormai irriconoscibili, sparsi nel piazzale sottostante in mezzo al bosco. Le salme, sono state trasferite al policlinico di Tor Vergata dove verrà eseguita l’autopsia. Recuperarle è stato difficile: i vigili del fuoco hanno lavorato fino a tarda notte. Il marito della donna sotto choc, rimasto a guardare il via vai delle forze dell’ordine non ha detto una parola: ha perso sua moglie e suo figlio come mai avrebbe pensato di perdere. Hanno scelto loro di andarsene. Quelle reti erano state messe dall’Anas su sollecito dell’Amministrazione comunale nel ’97. Da allora, spiega il sindaco Emilio Cianfanelli, la percentuale di suicidi su quel ponte è diminuita almeno del 90 per cento.«Dovremmo chiedere all’Anas – dice il primo cittadino – di rafforzare ancora di più le misure di protezione»”. Madre e figlio hanno dunque fatto una manovra non semplice. Forse lei avrebbe voluto dissuaderlo. M.F. le sue iniziali, una donna di media statura, moretta di 56 anni e suo figlio, L.L. di 34 anni, alto e snello un po’ stempiato, con tutta probabilità, hanno trascorso il pomeriggio insieme nella cittadina castellana, a pochi passi dal ponte monumentale di Ariccia ribattezzato dalle cronache «ponte dei suicidi». Tra le 18 e le 19 i due, avrebbero consumato due caffè e poi ancora due orzi presso l’ «Antico Caffè» in via dell’Uccelliera. Non sembravano affatto tesi, erano seduti nel gazebo del bar:«Erano tranquilli - dice Paolo, proprietario – chiacchieravano serenamente. Poi sono andati in bagno e dopodiché sono usciti». Un orzo per dirsi ancora chissà cosa, Paolo non ha ascoltato le loro parole e si dice a disagio nel raccontare di aver visto due persone poche ore prima di uccidersi. Il marito della donna, un sottoufficiale dell’aeronautica, era a casa a Roma e in sua compagnia c’era l’altra figlia, sposata. Lui, insieme alla moglie e il figlio vivevano negli alloggi degli ex militari dell’aeroporto dell’Urbe. Sembrerebbe che il ragazzo a causa dell’autismo fosse seguito da una struttura neuropsichiatrica. La madre avrebbe vissuto in simbiosi con il figlio, assorbendo i problemi del ragazzo, senza molte amicizie a causa della sua malattia, a cui sembrava non ci fosse soluzione. E sempre insieme, hanno deciso di farla finita.
Chiara Rai
Questo è l'unico articolo, fra i tanti giornali che ripetono tutti a pappagallo le stesse cose, che da notizia vera e circostanziata di questa ennesima tragedia. L'unico particolare, che qui non viene riportato ma che almeno un altro giornale ha scritto, è che la madre "aveva un forte esaurimento".
Non si capiva perché mai se lei era depressa doveva uccidersi anche lui: giovane ancora.
Ecco la spiegazione: il solito autismo, oggi così stranamente diffuso. C'è chi sa affrontarlo con coraggio e chi si sfibra e teme il futuro per il figlio e si esaurisce dietro a lui.
Le statistiche mediche dicono solo che è in aumento, ma non si sa perché. Qualcuno ha ipotizzato che ci sia sempre stato ma che prima lo si collocava in altri ambiti diagnostici e se ne parlava meno. Non so, come non lo sa nessuno, come stiano le cose, ma di certo bambini e giovani con problemi psichiatrici non ce ne erano molti nei miei ricordi dagli anni dal 1950 in poi. Ricordo a scuola una compagna di classe dolce che era un poco in ritardo con la crescita mentale, ricordo che la prendevano in giro perché si faceva la cacca addosso, più che altro andava in bagno ma poteva capitare che le scappasse prima di entrarvi: ricordo che una volta entrai e lei era nell'antibagno con la cacca che le aveva sporcato le gambette, si girò e mi sorrise quasi a scusarsi di dare un simile maleodorante spettacolo, eravamo alle elementari ma ricordo come in un fotogramma il suo sorriso fortemente espressivo, meglio di ogni parola, era ironicamente autocommiserativo... Avvertii la maestra senza deriderla e senza agitazione: "Annesi si è sporcata, bisogna pulirla." Lei si tirò su dalla cattedra seccata e chiamò la bidella, altri compagni si misero a strillare tutti contenti: "Annesi si è fatta la cacca sotto, Annesi si è fatta la cacca sotto!" A riprova che gli esseri umani sono maligni fin da piccoli e traggono soddisfazione dalle miserie altrui. Io mi ritrovavo questo carattere di paladino dei più deboli e non facevo mai parte della canea, tanto è vero che difendevo un'altra compagna di classe grossa e alta, che per questo veniva messa all'ultimo banco, che prendeva sempre "zero", anche lei non una eccellenza di intelligenza, e veniva dileggiata da una certa Silvestri, la cocca della maestra perché era ricca e molto carina. Il branco le andava dietro ed io sola andavo a protestare dall'insegnante perché le rendesse giustizia e ricordo un episodio che fu uno dei primi insegnamenti che mi svelarono l'ingiustizia insita nell'animo degli esseri umani: Silvestri aveva preso il quaderno di Palmeri e lo mostrava al branco dileggiante stropicciandone le pagine, sfogliate malamente per mostrare la sequenza di zeri! "Guardate: zero, zero, zero!" E rideva mentre la mia compagna, pur alta e grossa, cercava debolmente di riprendersi quello che era suo... Ma la maligna scantonava e il gruppo la circondava proteggendola. La "gnappetta" che io ero allora (crebbi dopo le elementari, prima mi mettevano sempre al primo banco) corse dalla maestra, intenta a parlare con una collega, a segnalare quanto stava accadendo e sperando nella cessazione dell'oltraggio e punizione dell'antipatica e cattiva Silvestri: la maestra mise fuori dalla porta Palmeri, silenziosamente e pacificamente piangente. Mi sentii in colpa per aver chiesto giustizia per lei, visto il risultato. 
Queste due compagne di scuola sono diventate donne normali recuperando il ritardo nell'apprendimento. Altre anomalie non ne ricordo: c'era un bambino che veniva considerato ritardato dal branco di bambini feroci anche nel luogo dove passavo le vacanze estive. Lui e sua sorella parlavano meno degli altri, avevano "la candeletta al naso" ed erano più tranquilli degli altri, che erano vivaci quando non scalmanati. Venivano considerati dei deficienti. Ma non lo erano affatto e lui crebbe e si trasformò in un giovane dai modi calmi,  fine ed elegante, molto bello.
L'unica persona che ricordo avesse un vero problema era la figlia di una parente di mio padre, che era rimasta in una eterna infanzia: ma era vivace e allegra, parlava molto, solo che i suoi modi erano quelli di una bimba affettuosa che ti correva incontro baciandoti e affollandoti di domande, anche pertinenti, tipo "Come stai?", ma con l'innocenza invadente di una bambina appunto.

Forse è stato dopo gli anni '70 che ho cominciato a sentir parlare di autismo che, con tutte le differenze fra i vari individui, è essenzialmente un disturbo della comunicazione, con più o meno compromissioni cognitive da soggetto a soggetto.
Certo è strano davvero. Ho comperato un libro scientifico per cercare di capirci di più, ma gli esperti nei vari campi che hanno fatto delle ricerche non fanno che ipotesi.
Dunque non se ne è capita la causa e si parla infatti di un disturbo multifattoriale.
Ci sono tanti modi di affrontarlo e la donna che si è suicidata con suo figlio dal Ponte di Ariccia forse non ha avuto aiuto a sufficienza e le sono venute meno le forze e la speranza.

Ho letto tre libri di altrettante esperienze vissute sull'autismo: uno è quello di Gianluca Nicoletti su suo figlio Tommy: scritto da lui, Gianluca, con tanto amore e tanto umorismo.
L'altro l'ha scritto uno scrittore, Ervas, per conto di Antonello, pubblicitario di successo, su suo figlio Andrea. Struggente. Andrea riesce a parlare, quindi a comunicare, attraverso il computer: riconosce le lettere e forma parole, frasi, ma non con la scrittura, bensì pigiando il tasto relativo alla lettera. Capisce ed è molto simpatico, l'abbiamo visto anche in televisione ospite di una trasmissione condotta da Mara Venier.
L'ultimo, che sto leggendo ora, lo dicono scritto in prima persona dalla persona affetta da autismo, Federico De Rosa, il quale comunica come Andrea Antonello con il PC, usando un solo dito sui tasti. La sintassi e la ricchezza di vocaboli e di concetti mi sta facendo dubitare che l'abbia scritto proprio lui, sembrandomi piuttosto un'operazione condotta da altri, a lui molto vicini, che parlano a nome e per conto suo: spero che così non sia perché sarebbe una operazione editoriale fortemente disonesta, senza neppure l'ombra della verità e della sincerità del libro di Nicoletti e di Ervas che, proprio per questo, emozionano e commuovono. Questo parlare di Federico De Rosa, che presentano come vero, appare didascalico e non trasmette emozioni.