martedì 17 novembre 2015

Il "POST" fa vera informazione

  • 15 NOVEMBRE 2015

Perché alcuni chiamano l’ISIS “Daesh”?

Di recente abbiamo sentito usare il termine "Daesh" sia da Hollande sia da Kerry: è una questione di linguistica, ma c'è di più

Da mesi alcuni importanti leader politici internazionali si riferiscono all’ISIS chiamandolo “Daesh”: è successo anche molto di recente, quando il presidente francese François Hollande ha attribuito a “Daesh” gli attentati terroristici compiuti venerdì 13 novembre a Parigi, e quando il Segretario di Stato John Kerry ha parlato della pericolosità di “Daesh” durante i negoziati internazionali sulla Siria in corso in questi giorni a Vienna. Esistono altri due modi per definire l’ISIS: “ISIL”, cioè una diversa interpretazione dello stesso acronimo che dà origine a ISIS, e ancora “Stato Islamico”, cioè il nome con cui il groppo chiama se stesso dal giugno 2014. C’è insomma molta confusione, anche se molti giornali internazionali oggi usano “ISIS”. Sintetizzando, possiamo comunque dire che usare “Daesh” al posto di ISIS o ISIL o Stato Islamico ha una valenza molto precisa, e cioè quella di escludere parzialmente l’aggettivo “islamico” dal concetto di ISIS.
ISIS o “Daesh”?
ISIL e la sua variante ISIS sono acronimi di “Islamic State in Iraq and the Levant”, la traduzione inglese dall’arabo di Al Dawla Al Islamiya fi al Iraq wa al Sham, il nome che il gruppo terroristico si è dato dal 2013 al 2014 .”Daesh” è invece l’adattamento di DAIISH, cioè l’acronimo tratto direttamente dall’arabo Al Dawla Al Islamiya fi al Iraq wa al Sham (داعش).
L’utilizzo del termine ISIS è ritenuto offensivo per molti musulmani, che ritengono che in questo modo venga legittimata un’accezione negativa dell’aggettivo “islamico”, dato che in sostanza l’espressione stabilisce un collegamento mentale fra la fede islamica e le azioni di un gruppo estremista noto per la brutalità delle sue azioni. In passato ci sono state anche diverse campagne rivolte a media internazionali per chiedere di smettere di usare il termine ISIS. Il termine “Daesh” per i musulmani è più sopportabile perché nonostante si riferisca alla stessa cosa di ISIS, la sua pronuncia in arabo è simile a una parola che stando a quanto scrive il Guardian significa “colui che semina discordia”. La traduttrice Alice Guthrie ha inoltre scritto che “Daesh” ha una connotazione “sinistra” perché «sia la forma sia la combinazione delle sue lettere rimanda alle parole della al-jahaliyya, l’età oscura pre-islamica o “era dell’ignoranza” che sebbene ricca in termini di eredità poetica e narrativa ha una connotazione negativa e “barbara” nell’immaginario popolare». Associated Press ha raccontato che a Mosul, una città controllata dall’ISIS in giugno, alcuni miliziani del gruppo hanno minacciato di tagliare la lingua a chiunque si riferisca pubblicamente a loro col termine “Daesh”.
Un’altra questione
Esiste un’ulteriore ambiguità: alcuni leader politici internazionali – fra cui Barack Obama e David Cameron – usano “ISIL”, un acronimo di “Islamic State in Iraq and the Levant” leggermente diverso da ISIS. L’ambiguità data dall’uso di “S” o “L” come lettera finale dell’acronimo deriva dalle difficoltà di tradurre il concetto che in inglese traduciamo come “Levant”. In arabo corrisponde a una regione che comprende il sud della Turchia, la Siria, il Libano, Israele, la Giordania e la Palestina e che veniva chiamata “Grande Siria”: era il nome che le diede la Francia quando ottenne il controllo della zona dopo la Prima guerra mondiale alla fine dell’Impero ottomano (ma è un concetto che esisteva già da secoli).
E noi?
Stando alle ricerche su Google il mondo si è abituato a chiamare il gruppo terroristico di cui stiamo parlando “ISIS”: un grafico pubblicato da Vox e basato sulle ricerche di Google mostra che il termine “ISIS” è cercato molto più spesso di “ISIL” e “Daesh”.


Figli perduti


Per spiegarsi i comportamenti dei figli si cerca sempre qualche colpa nei genitori: a volte ci sono. Ma a volte no.
Il padre di questo giovane assassino che aveva circa l'età di Valeria, forse vittima di un proiettile sparato proprio da lui, ha fatto di tutto per riportare a casa suo figlio. In Francia aveva un lavoro: conducente di Autobus... Il fatto che fosse cresciuto in una periferia non è spiegazione sufficiente per la fine che ha fatto: una donazione estrema all'odio, sparare su gente come Valeria, ignara e senza armi, ed infine finire in mille pezzi consapevolmente.
Lo strazio di suo padre, il viaggio faticoso e difficile per un uomo di 67 anni, mi rendono dolorosamente partecipe del suo dolore di genitore che umilmente e disperatamente cerca di recuperare quel figlio perduto. 


Da: Il Sole 24 Ore

Samy Amimour, 28 anni francese. Nato nella banlieue parigina nel 1987, originario di Drancy, nella regione della capitale francese, è tra gli assassini del Bataclan. La famiglia risiederebbe a Bobigny, una delle zone dove sono scattati raid della polizia. I servizi francesi lo tenevano d'occhio da tempo, era stato incriminato nell'ottobre 2012 per associazione a delinquere legata ad un'organizzazione terroristica «per un progetto di partenza verso lo Yemen, poi accantonato». Dopo aver «violato il controllo giudiziario nell'autunno 2013», è stato spiccato un mandato di arresto internazionale nei suoi confronti. È più o meno in questo periodo che Amimour, descritto dalla famiglia come un giovane gentile e timido durante l'adolescenza, è partito per la Siria, dove si trovava ancora nell'estate 2014. La sua famiglia ha spiegato che le speranze di vederlo tornare si sono ulteriormente affievolite perché l'assassino si era sposato in Siria.
di Angela Manganaro 


Da: TGCOM24


Attacchi Parigi, viaggio in Siria per salvare il figlio dall'Isis: ma è stato tutto inutile

Samy Amimour, 28 anni, è uno dei kamikaze del teatro di Bataclan. La storia pubblicata su "Le Monde"


Il padre di uno dei kamikaze che si sono fatti esplodere al Bataclan era volato in Siria nel vano tentativo di strappare il figlio alle file dello Stato Islamico. Nel 2014, il quotidiano "Le Monde" raccontò la sua storia che oggi, ripubblicata sul sito internet del giornale, dopo gli eventi di Parigi, assume una dimensione ancora più tragica.
Il viaggio - Dopo un lungo viaggio di tre settimane, tra mille peripezie e rischiando la vita, Mohamed, un commerciante franco-algerino di 67 anni residente nella banlieue di Parigi, riesce finalmente ad arrivare nel campo dell'Isis in Siria dove si è arruolato un anno prima il figlio ventisettenne.

L'incontro con il figlio - Siamo nel giugno del 2014. Il caldo insopportabile. E l'incontro è glaciale. Samy "era accompagnato da un altro tizio che non ci ha lasciati soli neanche per un attimo. E' stato un incontro molto freddo. Non mi ha voluto portare a casa sua, nemmeno mi ha detto come si era ferito (il futuro kamikaze del Bataclan, reduce da Raqqa, camminava allora con le stampelle, ndr.), né se era un combattente". 

Il padre tenta il tutto per tutto - Quella sera, nel campo dell'Isis, il papà a pezzi per il mutismo del figlio si gioca l'ultima carta. Sfila dalla tasca una lettera della madre: "Nella busta avevo infilato 100 euro. Lui si è messo a leggere in un angolo, poi mi ha restituito i cento euro dicendo che non aveva bisogno di soldi". Devastato da tanta freddezza e già indebolito da un'intossicazione alimentare e con il passaporto sequestrato dai jihadisti Mohamed cerca un cenno di apertura da parte dei compagni miliziani di Samy. Ma niente. Questi si limitano a mostrargli le immagini di altri jihadisti torturati dal regime di Bashar al-Assad. 

Il ritorno in Francia - L'uomo riottiene il suo passaporto, rientra in Francia, sconfitto. Presto capirà che il suo viaggio non è servito a niente. Che è stato un fallimento. Samy è perso per sempre, il figlio non tornerà più in Francia. Anzi lo farà. Ma solo per un'ultima tragica spedizione di morte al Bataclan. Ex conducente dei bus parigini della Ratp licenziatosi nel 2012, Samy Amimour era nato a Parigi nel 1987. Dal 2013 era oggetto di un mandato di cattura internazionale perché aveva violato la sua libertà vigilata, dopo essere stato messo sotto inchiesta, nell'ottobre 2012, per associazione a delinquere con fini di terrorismo.