martedì 15 dicembre 2015

Banche senza controllo e Consorzi per l'edilizia economica pure

Da: La Stampa

Conflitti d’interesse e prestiti facili. Indagati gli ex vertici di Banca Etruria

L’aumento di capitale giudicato insufficiente da Bankitalia. La Popolare in crisi già dal 2012: tre i filoni dell’inchiesta. Nel mirino i consiglieri per finanziamenti da 140 milioni
INVIATO AD AREZZO
Conflitti d’interesse, prestiti facili finiti in malora, operazioni spericolate per tappare i buchi in bilancio. La storia della Popolare dell’Etruria fino al suo commissariamento è complessa nella forma quanto scontata nell’esito. E parte da lontano.  

Intanto, la situazione dei conti era fortemente deteriorata almeno dal 2012, quando la banca vara un aumento di capitale da 100 milioni di euro insufficiente, secondo quanto emergerà dalle successive ispezioni Bankitalia, a coprire le carenze patrimoniali causate dalla pessima qualità del portafoglio crediti. Una situazione patrimoniale deteriorata, alla base della contestazione del reato di ostacolo alla vigilanza nel primo troncone di inchiesta della Procura di Arezzo nei confronti degli ex vertici dell’istituto bancario. Perché nel frattempo l’indagine si è ampliata fino a comprendere tre distinti fascicoli. Compreso uno, il più recente, sui conflitti d’interesse degli amministratori dell’istituto.   

Il primo fascicolo, quello dell’ostacolo alla vigilanza, è chiuso e dovrebbero arrivare a giorni le richieste di rinvio a giudizio. Non riguarda solo la rappresentazione scorretta della reale situazione dell’istituto. Ma anche l’operazione immobiliare fatta nel 2012 sugli immobili del gruppo. Ceduti al consorzio Palazzo della Fonte nel 2012, con una importante plusvalenza per i conti di quell’anno. Solo che tra prestiti a soci di Palazzo della Fonte e garanzie alle banche che finanziano il consorzio, alla fine il rischio resta in capo alla banca aretina. Che paga - la banca e non il consorzio - anche le spese di manutenzione e servizi. È la seconda contestazione fatta da Bankitalia agli ex vertici (il presidente Giuseppe Fornasari e il direttore generale Luca Bronchi). La banca ha finanziato indirettamente con 10,2 milioni alcuni dei soci: 2,5 milioni sono finiti alla Farmainvest, 3,9 milioni alla Mineco Real Estate di Matteo Minelli, produttore di birra amato da Renzi. Altri 3 milioni finiscono invece alla Findi Investimenti, altro socio del consorzio. Poi però c’è anche un prestito da 49,3 milioni che il consorzio prende in prestito da un pool di banche per finanziare l’operazione. Secondo quanto scoprirà Bankitalia, le clausole del contratto sono tali per cui il rischio di inadempienza resta a Banca Etruria. Ricapitolando, su 75 milioni pagati dal consorzio per il 90% del veicolo degli immobili di Etruria, 10,2 milioni arrivano dalla stessa banca e altri 49,3 sono dalla banca garantiti. Un bell’affare.  

Il secondo fascicolo nasce da una costola di questo procedimento e riguarda le false fatturazioni emesse per consulenze - secondo la procura inesistenti - pagate da Etruria. L’importo è minimo (appena 233 mila euro). Ma il nome è interessante. Si tratta della Methorios Capital, altro socio di Palazzo della Fonte, nonché legato ai fondi Optimum del finanziere Alberto Matta. Che compare anche nell’inchiesta sulla Popolare di Vicenza, legando così per altri via i due istituti in procinto anni fa di fondersi tra loro e adesso entrambi nella tempesta.  

Il terzo filone è quello più recente - al momento senza indagati - riguarda iconflitti d’interesse dei consiglieri e coinvolge anche membri dell’ultimo cda, che avrebbero ricevuto fondi per 140 milioni. Il consiglio è quello commissariato da Bankitalia a sorpresa lo scorso 11 febbraio.  

La relazione Bankitalia cita almeno due persone: l’ex presidente Lorenzo Rosi e l’ex consigliere Luciano Nataloni. Al primo, presidente della coop edile La Castelnuovese, viene contestato il finanziamento poi incagliato concesso da Etruria alla società Città di Sant’Angelo per la costruzione di outlet alle porte di Pescara. A realizzarlo avrebbe dovuto essere proprio la coop di Rosi con un altro gruppo delle coop rosse, la Unieco di Reggio Emilia. Al secondo viene invece contestato un prestito da 5,4 milioni alla Td Group.
Qualche quotidiano ha pubblicato una uscita pubblica della madre del Ministro Maria Elena Boschi: "Non abbiamo preso un euro. Verranno fuori cose sorprendenti". Più o meno queste sono le parole in sintesi.
Anche a voler prendere per buono ciò che questa signora dichiara è impossibile pensare che chi è nel Consiglio di Amministrazione di una Banca e per un certo periodo ne riveste la carica di Vicepresidente non sia responsabile di quanto accade in detta Banca. E quello che vi accadeva è che si davano prestiti a persone legate alla famiglia della Boschi e nel giro "di simpatie" dei Renzi. In sintesi: se io raccolgo soldi da risparmiatori che si fidano di me e, fatta cassa, elargisco finanziamenti a chi mi pare e piace fino a rischiare il capitale che ho versato per creare la mia banchetta, non sono innocente, non posso esserlo, in quanto sto prendendo soldi da tanti piccoli per elargire a chi fa impresa senza ritorno di quei soldi con i dovuti interessi di prestito o fido.
E' un'analisi semplificata ma questo sembra sia il motivo del fallimento di questa Banca, in cui tutta la famiglia Boschi era implicata: padre in primis, fratello e moglie del fratello della determinata Maria Elena.
In Italia, ma anche altrove, c'è il vezzo di raccogliere denaro dai piccoli risparmiatori creando, con un capitale versato, una struttura che sembra solida e da lì cominciare a dragare soldi. Il problema è poi il fine per il quale tali soldi sono stati raccolti: se per lucrare per sé e per gli amici, senza rispondere a chi quei soldi ha messo nell'impresa, o se per conseguire il fine dichiarato ai risparmiatori affinché affidassero i loro sudati risparmi.
La Legge deve garantire queste persone qualora truffate se il fine è solo un pretesto per dragare liquidità.
Le Banche non sono i soli dragatori, ci sono anche i Consorzi accreditati nei Piani di Zona per l'edilizia economica che, con il contributo dello Stato nella forma dell'Ente Locale Comune che cede i terreni in Diritto di Superficie, raccolgono denaro dai piccoli risparmiatori che investono in una casa la quale, se non più costruita, costituisce una TRUFFA, giacché quei risparmi non verranno da tali Consorzi restituiti, con la scusa che i piccoli risparmiatori sono Soci e se il Consorzio fallisce non vedranno più i loro risparmi. Esattamente come per le obbligazioni subordinate o le azioni di una Banca. Quali garanzie da lo Stato ai risparmiatori del mattone? Quali controlli opera sui bilanci spesso in rosso di questi dragatori di denaro con promesse di case costruende ma mai costruite?