venerdì 19 ottobre 2018

Esperimenti sulla vita umana

E' una storia vecchia accaduta negli USA. Come si può vedere dalla foto dei due superstiti:

Robert e David: fratelli gemelli superstiti di un parto quadrigemellare. Oggi hanno 57 anni.
Il quarto gemello presumibilmente non sopravvisse e la madre, ebrea, li abbandonò per lasciarli in adozione, operazione di cui si occupò un'Agenzia di adozioni: "Louise Wise".
I tre furono dati in adozione a tre famiglie ebree, non si sa se per desiderio di chi li ha messi al mondo o se per scelta delle Istituzioni che seguirono le adozioni perché crescessero nella stessa cultura della madre.
Furono però scelte tre famiglie di ambiente diverso: Robert finì in una famiglia ricca, David in una famiglia di operai e Edward in una famiglia della media borghesia.


I tre fratelli gemelli quando si ritrovarono, del tutto casualmente, e furono protagonisti di spettacoli televisivi e al centro dell'attenzione dei media americani.



Questo è Edward che purtroppo si suicidò nel 1995, lasciando una moglie e una figlia.
L'incontro con i fratelli e la scoperta della loro vicenda avvenne nel 1980.



La loro straordinaria storia è il soggetto di un nuovo affascinante documentario, Three Identical Strangers, che spiega dettagliatamente come la gioia della riunione ebbe una svolta più cupa: i tre fratelli hanno scoperto di essere stati utilizzati per un cinico esperimento sociologico.

L’agenzia di adozione ha rifiutato di dare delle spiegazioni ma i ricercatori che studiano il background dei tre gemelli, hanno scoperto che l’agenzia, specializzata nella ricerca di famiglie per figli di donne ebree per lo più single, dopo aver consultato uno psichiatra, aveva introdotto una politica di separazione tra coppie e terzetti di gemelli, poiché i bambini non dovevano entrare in competizione per ottenere l’attenzione dei genitori adottivi.

I genitori adottivi di Robert, David e Eddy hanno detto che facevano parte di uno studio intensivo sullo sviluppo del bambino che avrebbe dovuto continuare come condizione per l’adozione. Consapevoli della difficoltà di trovare bambini ebrei da adottare, i genitori furono tutti d’accordo.

Inizialmente l’agenzia aveva sostenuto che i genitori erano stati scelti a caso, ma quando è emerso che ogni famiglia aveva una figlia adottiva di circa due anni al momento dell’adozione dei tre gemelli, ha suscitato ancora più domande.

È emerso che i tre gemelli erano il fulcro di uno studio segreto, ma legale, diretto da Peter Neubauer, uno psicoanalista che gestiva il Child Development Center di Manhattan.

Voleva esaminare fino a che punto l’essere umano sia plasmato dai geni e in che misura dall’ambiente. I tre fratelli identici separati alla nascita gli hanno fornito un’opportunità sbalorditiva. Il suo studio, finanziato dall’American National Institutes of Health, ha avuto la piena collaborazione dell’agenzia di adozione e quasi ogni mese per 12 anni le famiglie, una all’insaputa dell’altra, sono andate a Manhattan per sottoporre i tre ragazzini a test di intelligenza, comportamento e personalità.

Ogni fase della loro vita, anche il momento in cui hanno imparato ad andare in bicicletta, è stata filmata e registrata. Gli psicologi passavano ore a osservarli mentre giocavano e parlavano con loro, interrogando le sorelle e genitori.

A volte i ricercatori andavano a trovare i ragazzi a casa ma nemmeno una volta hanno menzionato l’esistenza di altri gemelli che vivevano a 100 km l’uno dall’altro.

Per valutare gli effetti dell’ambiente socio-economico sullo sviluppo dei ragazzi, Neubauer aveva collocato ciascun ragazzo in famiglie ebraiche di classi sociali molto diverse.

Il padre di Robert Shafran era un medico, la madre un avvocato e vivevano a Scarsdale, nella contea di Westchester.

La famiglia di Eddy (Edward) Galland viveva in un sobborgo borghese di Long Island, il padre era insegnante, mentre i genitori di David Kellman, di classe operaia, vivevano nel Queens.

Eppure proprio Robert, il più socialmente privilegiato, era stato condannato per omicidio colposo: nel corso di una rapina una 83enne era stata picchiata a morte con un piede di porco. Il giudice tuttavia ritenne che Robert avesse avuto un ruolo “marginale” e lo condannò a lavorare per cinque anni in un istituto per bambini disabili.

Secondo gli standard odierni, il comportamento dei ricercatori è considerato agghiacciante, ma lo stato di New York ha iniziato a raccomandare alle agenzie di adozione di non separare i fratelli, soltanto nel 1981. Anche allora era consigliato ma non obbligatorio.

Fino alla sua morte, avvenuta nel 2008, Neubauer ha insistito di aver fatto la cosa giusta, ma oggi i due fratelli sopravvissuti sono arrabbiati per essere stati usati come pedine in quell’esperimento che Robert ha definito “da incubo, nazista”, probabilmente riferendosi a Josef Mengele, che ad ad Auschwitz conduceva esperimenti, torturava e uccideva le coppie di gemelli. Un paragone particolarmente ironico, visto che Neubauer era un rifugiato austriaco, vittima ebrea dell’Olocausto.



Episodio V - Elena e Gregorio-Furio "Mele cotte"

La “Maschera” Furio.


Carlo Verdone è un genio e nel suo attento studio dei caratteri umani ha saputo cogliere un aspetto che riguarda molti tipi umani e l’ha raffigurato caricaturalmente nella figura di “Furio”.

“Furio” può avere varie facce e svolgere professioni o mestieri diversi, ma sempre ha una connotazione ossessiva, paradossale che, in percentuale diversa, da un’impronta inconfondibile al suo agire: da lì nasce il personaggio di Verdone che suscita il riso e lo sconcerto perché il suo Autore ne fa, appunto, un’immagine caricaturale, quindi estrema.

Quello che fa ridere di più è il rapporto di Furio con la malcapitata che lo ha sposato, dipinta come una vittima che, nel caso estremo interpretato da Veronica Pivetti, si getta in mare suicida per sfuggire al suo inconsapevole aguzzino.

Oppure, come in un altro episodio, fugge con un bel tenebroso che la insidia lasciando persino i figli o, anche, in una delle prime scenette in cui Verdone abbozzava il personaggio, egli parla alla moglie che non gli risponde ormai più, annichilita dalla sua incapacità di percepire le esigenze dell’altro, e lui si risponde per lei, ottusamente inconsapevole dello stato di depressione in cui l’ha gettata e, in tale scenetta, Verdone interpreta anche il figlio di Furio il quale, uscito il padre, si rivolge con lo stesso metodo alla sempre più annichilita madre che, tristissima, continua a sferruzzare muta, e le dice con foga: “Io con quell’uomo non voglio parlare più, capito? Io quell’uomo non lo sopporto più!” Poi, senza aspettare risposta, esce dimostrando in sostanza di essere “Furio” anche lui.

Ora, come dicevo, ci sono tantissimi tipi umani che hanno in sé in percentuali diverse “Furio”: io conosco una moglie di un “Furio” il quale è posseduto da questa maschera fortunatamente in minima percentuale, ma è anche lui inconfutabilmente un “Furio” !

Vorrei prendere spunto dagli innumerevoli episodi che “La Moglie di Furio”, che io conosco, vive e racconta per scrivere delle gustose scenette comiche, a volte anche un po’ amarognole, per riderne insieme.

Li chiamerò “Episodi” e darò loro solo un numero progressivo.

La moglie del nostro  “Furio” si chiama Elena e lui Gregorio.

Episodio V

"Ciao Elena! Come stai?" Inizio allegramente la telefonata.
"Bene Rita, non mi lamento. E tu?"
"Anch'io. Lavoro molto.. Sai con due case grandi e poco aiuto domestico.. Ma finché ce la faccio va bene così."
"Te l'ho detto che fai male a risparmiare sull'aiuto. Alla nostra età dobbiamo farci aiutare. Le forze non sono più come quelle di una volta.. Vabbè che parlo proprio io che ho due case come te e quasi nessun aiuto!"
"E Gregorio come sta?"
"Bene! Sicuramente meglio di me!"
Avverto la solita nota polemica. "E' ancora in gamba anche se ha qualche annetto più di noi due eh?"
"Sì, e ne sono felice, perché gli voglio bene, ma mentre io lo stimolo a farsi aiutare, e lo fa e molto per il giardino di una delle due case, lui ha sempre qualche ideuzza infantile e pretenderebbe che io lo assecondassi, altrimenti si offende e... litigio!"
Penso che ora comincia il solito sfogo sulla "furiaggine" di Gregorio. "Non ha sensibilità per la tua fatica?"
"A chiacchiere si! Ma poi si fa venire idee che per me significano lavoro e io proprio oggi mi sono arrabbiata per questo!"
"Sai i "Furio" hanno di queste insensibilità... - dico - Anzi il tuo "Furio" non è come le caricature estreme di Verdone!"
"No, altrimenti sarebbe da scappare! Ti ricordi con quanta ostinazione ha voluto piantare un albero di mele proprio davanti alla casa? Io gliel'ho detto che le mele avrebbero sporcato inevitabilmente cadendo dall'albero..."
"Si, mi ricordo, glielo chiesi pure io perché aveva voluto piantarlo proprio lì e non con gli altri alberi da frutta più lontano dalla casa e lui mi rispose che gli piaceva vedere i fiori del melo bianchi e rosa quando si affacciava alla finestra. Che romantico però!"
Elena non si commuove né punto né poco. "I fiori durano una settimana si e no e per vedere i romantici fiori bianchi e rosa io devo raccogliere e spazzare mele per un mese almeno perché mica cadono tutte insieme!"
"Capisco." Dico desolata, perché quando vado a trovare Elena nel periodo in cui le mele maturano vedo che non le può raccogliere tutte, anche per questo ci vuole tempo e fatica, alcune poi sono troppo in alto e cadono sul vialetto di ingresso dove mi è capitato anche di inciamparvi rischiando di cadere.
"Poi, visto che non usiamo anticrittogamici, sono tutte con il verme!" Sbotta Elena.
"E vabbé, - sdrammatizzo anche se penso che ha ragione - quelle migliori le pulisci dal verme e ne mangi la parte buona."
"Infatti. Però maturano tutte insieme e non possiamo mangiarle tutte. Darle ai figli non se ne parla, ce le tirano, visto che tutte hanno il buchino nero dell'entrata del verme. Lui ne ha raccolte un po', le ha lavate e messe in una terrina, ma poi mangiare a pranzo e cena mele... Sono anche del tipo un poco asprino.. Restano lì per giorni, ogni tanto ne butto una perché diventa nera.. Così, visto che le aveva raccolte e lavate lui, un giorno che lui non c'era le ho sbucciate tutte, fatte a fettine, messo un po' di zucchero e limone e messe in forno."
"Brava!"
"Era l'unico modo di farle cotte: per intero mangiavi pure il verme... cotto."
"Lui è stato contento?"
"Contentissimo! Gli sono piaciute molto! - Sospira. - E' proprio lì ora il problema..."
"Ti ha chiesto di fargli una torta di mele?"
"No, questo no. Ormai siamo in due, cicciottelli, dobbiamo dimagrire, dicono i medici, per il diabete senile, per il cuore... per tutto! Ci mancano le torte che sempre abbisognano di burro, uova, farina... No, no!"
"Allora qual'è il problema?"
Una pausa, un altro sospiro, poi: "Si è presentato a casa con un chilo di mele e pretendeva di farmele  fare cotte a fettine come le altre!"
"Ma le altre erano finite? Ora ci spendete pure i soldi dopo aver buttato quelle dell'albero?"
"Di quelle dell'albero ne abbiamo potute salvare poche:  molte, oltre all'immancabile verme, sono piccole, stortignaccole, tutto torso e poca polpa.. Ma ormai erano finite, io le avevo utilizzate al meglio, dunque basta!"
"Lui invece voleva continuare con le mele più belle: quelle comperate?"
Elena con voce ora esasperata: " Come i bambini, anzi "il bambino Furio" voleva che io mi mettessi a sbucciare, tagliare a fettine ecc. ecc. "perché a lui erano piaciute tanto"!
"Porello, - dico ingenuamente - gli erano piaciute però e ne voleva ancora!"
"Mi sono rifiutata e lui si è offeso e abbiamo cominciato a litigare perché ha detto che allora lo faceva lui! Una cosa senza senso. Gli ho spiegato che tutto quel lavoro l'ho fatto perché non si poteva fare altrimenti per utilizzarle, avendo dentro il verme.  Ma queste che lui aveva comperato si potevano fare cotte intere, se proprio gli piacevano le mele cotte che, lui dice, la mamma gli faceva quando era bambino!"
"Ma che ti importa, se lui voleva farle a fettine come gliele avevi fatte tu potevi lasciarglielo fare, visto che gli erano piaciute tanto!"
"Altro lavoro, la cucina impicciata! Io sono stanca Rita! Sono vecchia e stanca!"
"Capisco, - dico comprensiva verso entrambi - come è finita?"
"E' finita che gli ho fatto la mele cotte al forno: ma intere!!!" Dice aspra Elena.