domenica 27 gennaio 2013

Immigrazione e malattie

Da: Il Messaggero.it

Tbc, San Camillo: «Nel Lazio 600 nuovi casi l'anno»

Presentato il progetto per la prevenzione contro la tubercolosi




ROMA - La tubercolosi rappresenta ancora oggi un problema sociale, in aumento nelle fasce di popolazione che vivono in condizioni economiche disagiate. È stato presentato questa mattina nell'aula magna dell'ospedale Forlanini, il progetto «Prevenzione contro la Tbc», per formare medici e infermieri sulla prevenzione e sul trattamento di questa malattia.
«Ogni anno si ammalano 9 milioni di persone: 450 mila casi in Europa, 4.500 in Italia, 600 nuovi casi l'anno nel Lazio» annuncia il prof. Aldo Morrone, direttore generale dell'azienda ospedaliera San Camillo Forlanini. «Il primo passo per combattere qualsiasi malattia rimane sempre la conoscenza e l'informazione - continua Morrone - Per quanto riguarda la Tubercolosi, la prevenzione va realizzata in centri specializzati o nei grandi ospedali polispecialistici, prima di tutto perché la malattia è difficile da individuare, in quanto si confonde con altre patologie polmonari e in secondo luogo perché, se si tratta per esempio di una forma che colpisce le ossa o altri organi, c'è bisogno della collaborazione di ortopedici e altri specialisti».

Nella U.O.C. di Broncopneumologia e Tisiologia del San Camillo Forlanini i pazienti stranieri affetti da tubercolosi sono il 55% «Solo perché in città grandi come Roma c'è un numero maggiore di stranieri, ma gli italiani contraggono la Tbc esattamente quanto gli immigrati. La Tbc è una malattia che interessa le classi più povere» precisa il dott. Mario Giuseppe Alma, direttore del reparto.

«Accade quando si vive in condizioni igieniche disagiate, in case sovraffollate, quando si mangia poco o male, ingerendo cibo con scarso apporto vitaminico o proteico - aggiunge l'esperto - oppure se si fa un abuso di alcolici o ci si sottopone a forti stress psichici che favoriscono l'insorgere della malattia». «Le situazioni che più frequentemente troviamo associate alla Tbc sono l'etilismo cronico, il diabete, stati di immunodepressione da malattie o da farmaci, stati di stress psichici o fisici - continua il dott. Alma -. La povertà è stata spesso riscontrata come causa dell'insorgere e del diffondersi della malattia: la Tubercolosi è un problema sociale».

«Il fumo aumenta del 50% il rischio di contrarre la Tbc» ha aggiunto intervenendo all'incontro, il dott. Alfonso Altieri della U.O.C. di Broncopneumologia e Tisiologia del San Camillo Forlanini. «Il fumo da tabacco paralizza il sistema immunitario che non riesce più a reagire a sufficienza per combattere il batterio - ha continuato Altieri -, quindi, in condizioni che favoriscono l'insorgere della tubercolosi, come la scarsa igiene, l'alimentazione non corretta, l'abuso di alcool, il fumo contribuisce a contrarla».

L'agente infettivo responsabile della Tbc è il Mycobacterium Tubercolosis, detto anche «Bacillo di Koch». Il contagio avviene più frequentemente per via aerea: attraverso le minuscole goccioline di saliva che contengono il bacillo, espulse nell'aria quando si tossisce. La malattia colpisce più spesso il polmone, ma può essere coinvolto qualsiasi altro organo. La diagnosi si effettua mediante un test cutaneo o un esame del sangue.

Sviluppare la Tbc, e anche guarirne, dipende spesso dalle condizioni generali di salute. «Se il paziente non è resistente ai farmaci e si cura nella maniera adeguata, guarisce completamente. Il rischio di recidiva (5%, a 2-3 anni) - prosegue il dott. Alma - aumenta in condizioni socio-economiche disagiate». «È necessario - aggiunge Morrone - che i pazienti seguano scrupolosamente le terapie e i controlli prescritti dal medico per tutto il tempo utile alla guarigione».

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Non vorrei apparire presuntuosa né ostile verso gli immigrati, ma alcune cose scritte in questo articolo, anche se dette da medici specialisti in malattie polmonari, non mi convincono del tutto.
Per quel che risulta a me, nata nel 1946, la Tbc era stata quasi debellata in Italia.
Ricordo mio padre che, incontrando per la strada un suo conoscente il quale, dopo i saluti, voleva baciare la bambina di circa 6 anni che allora io ero, fu respinto con ansioso timore dal mio genitore ricordandogli che lui aveva avuto la Tbc. Fu un gesto che ricordo perché mi sembrò molto scortese da parte di mio padre verso un gentile signore che, però, all'apparenza non se ne offese. Dopo mio padre commentò con mia madre, offeso invece lui: "Ma come si fa a voler baciare una bambina se sa quello che ha?!" Era scandalizzato dal comportamento imprudente di quel suo conoscente.
Questo nei primi anni '50 era ancora il timore verso questa malattia che tante vite aveva falciato in passato.
Con gli Enti mutualistici prima e con il SSN dopo era stata resa curabile perché diagnosticata per tempo. Ricordo la prevenzione nelle scuole. Durante la scuola primaria, ma mi pare anche nella secondaria, la mia classe veniva condotta a fare questo genere di controlli in ambulatori attrezzati per la prevenzione nelle scuole: ci facevano i raggi x ai polmoni e la reazione alla tubercolina.
Tutto questo mi pare che non avvenga più da anni.
Forse perché con il SSN per tutti si è pensato che non era più necessario.
In questo modo si è perso il controllo sulla prevenzione.
Ciò nonostante mi è capitato di conoscere casi, sporadici, di persone, a mio avviso predisposte, che hanno contratto questa malattia.
Intorno ai primi anni '60 ricordo un caso di un mio coetaneo che si ammalò di una grave forma di tubercolosi ossea.
Più o meno nella stessa epoca, una giovane che aveva 6 anni più di me si ammalò di tubercolosi delle vie genitali. Si curò ma pensava di non poter avere figli per questo: invece ne ebbe ben due.
Nei primi anni '70 una giovane mamma dovette lasciare i suoi due bimbi in tenera età per andare a curarsi in sanatorio per un attacco di Tbc polmonare...
Dunque posso credere a quello che dicono questi medici e cioè: "gli italiani contraggono la Tbc". Ma è mia convinzione che l'ingresso indiscriminato di persone provenienti dai Paesi più poveri abbia necessariamente riproposto il problema riportandolo a statistiche del primo dopoguerra.
Non dirlo esplicitamente fa parte di quei tabù sociali imposti dal timore di sembrare fascisti o razzisti.
Non mi piacciono i tabù, non mi piace il condizionamento sociale e politico che vorrebbe privare la gente della libertà di esprimere concetti ovvi, con la minaccia inespressa, ma sempre lì pronta, di esecrazione per un inesistente razzismo.
Qui non c'entrano né il bieco e stupido sentimento razzista, né il fascismo: c'entra solo la realtà dei fatti.
Masse di persone entrano dall'Africa, dai Paesi dell'Est, dai Paesi Sudamericani, dall'India, dal Pakistan, ma anche dalla Cina e si tratta di persone povere, poverissime, dunque cresciute malnutrite, non controllate nella salute affatto... ed entrano senza alcun filtro sanitario, e si spargono per la Penisola portando con sé quel che ne consegue.
Non tenere conto di questa immigrazione incontrollata vuol dire essere ipocriti.
Non a caso i nostri emigranti non entravano negli Stati Uniti se prima non venivano visitati da medici e messi in quarantena a Ellis Island.