venerdì 20 novembre 2015

Il ricordo di un Professore del suo Studente morto

Marcofabio Righini: Ottica e Stelle

Siamo qui riuniti per assegnare un premio. Ma nello stesso tempo siamo riuniti per ricordare un collega, un amico.
Vogliamo con questo premio, che speriamo si rinnovi nel tempo, ricordare uno scienziato che per troppo poco tempo ha lavorato con noi, ma che nonostante ciò ha lasciato una traccia. Marcofabio Righini ha lasciato una traccia che non desideriamo vada perduta.
Il mio intervento non riguarda lavori scientifici in ottica od altro, lascio questo compito ai miei colleghi, a coloro che hanno condiviso le ultime ricerche di Marcofabio o che hanno operato in campi affini.
Io vi vorrei parlare di un tempo lontano, lontano ormai più  di 20 anni.
Eravamo nel 1984 quando proposi per l’esame di Laboratorio del IV anno del corso di laurea in Fisica alla Università  La Sapienza, alcune esperienze di astronomia da svolgere utilizzando il telescopio dell’Istituto di Astrofisica Spaziale e gli strumenti di rivelazione ad esso connessi.
Si presentarono molti studenti e fra loro notai subito un ragazzo alto, prestante, con lo sguardo aperto e sempre sorridente.
Fu così che conobbi Marcofabio Righini.
L’esperienza si svolse regolarmente, l’esame ebbe risultati positivi ed io ebbi modo di apprezzare il lavoro di quello studente che alla serietà dell’impegno univa sempre un atteggiamento allegro, direi quasi gioioso nei rapporti con gli altri.
Circa un anno dopo, nel frattempo Marcofabio aveva quasi terminato i suoi esami, lo ricontattai per proporgli un argomento di tesi per la laurea. Accettò, come sempre con entusiasmo.
Si trattava di un lavoro difficile. Era un momento di transizione in cui i rivelatori astronomici stavano subendo una evoluzione epocale. Le lastre fotografiche che avevano dominato l’acquisizione delle immagini in astronomia per quasi 90 anni e con le quali erano state effettuate la maggior parte delle misure di posizione, di fotometria, di spettroscopia dell’astronomia moderna stavano lasciando il posto ai rivelatori CCD.
Non si trattava certo delle CCD attuali; erano degli oggetti a bassa definizione, pieni di difetti di riga e di pixel. Costosi perché prodotti solo per applicazioni particolari, coprivano un campo modestissimo rispetto alle lastre fotografiche: ma avevano una efficienza quantica eccezionale per l’epoca.
Potevano arrivare con dei coatings particolari al (30-40)% su quasi tutta la banda ottica, contro il (2-3)% delle lastre fotografiche (più recentemente con le CCD cosiddette back-illuminated si arrivava al (85-90)% coprendo anche l’UV vicino).
Valeva la pena quindi fare qualsiasi sforzo per utilizzarle. E di sforzi se ne dovevano fare di notevoli poiché le immagini ottenute in forma digitale (oggi è del tutto ovvio, ma allora non era così), dovevano essere acquisite, dal rivelatore, elaborate e visualizzate con i mezzi di calcolo dell’epoca.
Eravamo nel 1986, la Intel aveva prodotto l’80286 a 4MHz ma la maggior parte dei computer IBM montava ancora l’80186, e la Motorola aveva prodotto il 68000 a 8 MHz che sembrava un miracolo perché indirizzava a 32 bit.
Le elaborazioni di immagini si potevano fare solo con dei Main Frames e software specifici per astronomia non ne esistevano che uno  o due al mondo. In Italia uno di questi girava nel VAX dell’Istituto di Astronomia di Padova, ed un altro nel VAX dell’Istituto di Astronomia di Roma all’Università La Sapienza.
Per dare un'idea del momento che sto descrivendo basti pensare che per visualizzare una immagine di appena 512x512 pixel a 16 bit/pixel, uno di questi Main Frames poteva impiegare decine di secondi. Non parliamo poi del tempo necessario per fare anche semplici elaborazioni, valutabili in alcuni minuti/frame.
In questo contesto proposi a Marcofabio di utilizzare un rivelatore CCD che io ed altri collaboratori stavamo mettendo a punto per il telescopio Schmidt di Campo Imperatore, per rivelare in tempo reale l'esplosione di Supernovae in galassie esterne. All'epoca si conoscevano solo alcune centinaia di questi eventi ed il loro studio spettroscopico nelle fasi iniziali dell'esplosione era limitato a poche decine di oggetti. Riuscire a rivelarli in tempo reale avrebbe significato aumentare enormemente la statistica e conoscere in modo dettagliato la fisica dei primi istanti di dell'esplosione.
Questi eventi erano, e sono tuttora, fondamentali nel ricostruire l'origine di moltissime caratteristiche dell'attuale Universo: dalla distinzione delle diverse popolazioni stellari, all'origine di molte nebulose galattiche, degli elementi
pesanti, dei raggi cosmici, ed addirittura alla definizione di candele standard per la misura delle distanze cosmologiche, e molto altro ancora.
Per fare questo, era necessario disporre di un opportuno rivelatore con un campo relativamente grande, un telescopio ed un sito astronomico con la giusta profondità di rivelazione, un sistema di acquisizione, controllo, ed elaborazione delle immagini che lavorasse in tempo reale.
Le statistiche di accadimento di questi eventi suggerivano che per avere dei risultati significativi senza aspettare mesi o anni si dovevano studiare e misurare alcune centinaia di galassie esterne per notte.
Quindi:
*       si doveva realizzare uno strumento di rivelazione affidabile,
*     lo si doveva installare al fuoco di un telescopio al largo campo come un telescopio Schmidt, e questo non era mai stato tentato prima,
*   per ogni campo di galassie appena acquisito si doveva rinormalizzare l'immagine in tempo reale, ed elaborarla,
*       si doveva verificare tramite la misura fotometrica di tutta la galassia divisa in opportuni settori la presenza o meno di un evento, confrontando sempre in tempo reale i risultati con misure della stessa galassia ottenute in notti precedenti,
*     passare in caso negativo ad altro campo con un controllo automatico del puntamento del telescopio.
Tutto questo non poteva essere fatto con dei Main Frames ma con processori dedicati, che lavorassero appunto in tempo reale. La scelta era già caduta sui processori Motorola 68000, ma la scrittura del software per motivi di velocità non poteva essere fatta che in assembler, con una gestione capillare perfino del singolo pixel dell'immagine.
Era una tesi con degli obbiettivi da far tremare i polsi.
Marcofabio si mise subito al lavoro. E lavorammo insieme, per molti mesi, alternando la scrittura di decine e decine di routine assembler ai collaudi con immagini di prova prese al telescopio da 40 cm  che avevamo a Monteporzio.
Lavorammo duramente.
Non ricordo tuttavia quel periodo come un periodo pesante. A volte alcune sue battute riuscivano a risollevarci, nonostante che i problemi e le difficoltà si succedessero continuamente.
Anche le discussioni erano piacevoli. Si arrivava quasi sempre ad una conclusione condivisa, e quando ciò non avveniva, si riusciva sempre a mantenere il rispetto reciproco. Si discuteva di tutto, Marcofabio aveva una sua opinione su tutto.
Grande era la sua disponibilità nei confronti dei colleghi. In particolare ricordo una volta, eravamo lui ed io soltanto in cupola all'0sservatorio di Monteporzio, e stavano collaudando alcune routines di controllo del telescopio quando io inciampai cadendo malamente. Un piede rimasto incastrato riportò una contusione ed una vasta lacerazione. Fu Marcofabio a portarmi al pronto soccorso, e poi dal momento che non potevo guidare per i 9 punti applicati, fu lui che mi portò direttamente a casa nonostante l'ora tarda. Questo era Marcofabio.
Alla fine di un lungo periodo che durò più di un anno arrivarono i collaudi finali al telescopio di C. Imperatore. Quel posto gli piaceva, nonostante l'inclemenza dell'ambiente, e la durezza delle notti invernali da passare in cupola aperta a 2.200 m s.l.m.. Forse gli piaceva perché nella stazione di sorveglianza di ponti radio dell'aeronautica che ivi aveva sede, aveva trascorso in passato una parte del suo servizio militare.
Il lungo lavoro fatto dette i suoi risultati anche se non scoprimmo mai una supernova. Il sistema si rivelò efficiente, l'analisi delle immagini in tempo reale affidabile. Scoprimmo molte volte qualcosa che sembrava essere quello che cercavamo, ma Marcofabio era molto rigoroso. Ed io avevo imparato a fidarmi di lui. Analisi successive dimostrarono sempre che quei segnali rivelati dal sistema erano degli spuri dovuti a raggi cosmici. Anche in questo senso l'intera procedura si rivelò all'altezza degli scopi previsti, e ci evitò falsi risultati positivi.
Finalmente si laureò.
Successivamente presentammo il risultato del nostro lavoro ad un workshop a Padova, e Marcofabio, in quello che fu il suo primo intervento pubblico, ebbe notevoli consensi.
Per inciso, molti anni più tardi la Direzione dell'Osservatorio di Monteporzio impostò un intenso programma di ricerca di SNe in galassie esterne, adottando virtualmente il nostro metodo, ed utilizzando le stesse tecniche con lo stesso telescopio, modificando soltanto la banda di rivelazione: nel vicino IR invece che nella banda ottica.  Anche i tempi recenti, agguerriti gruppi internazionali in alcuni Osservatori esteri continuano a ricercare SNe in galassie esterne con concetti e metodi molto simili a quelli da noi tracciati.
Continuammo a lavorare insieme. Ci interessammo alla struttura morfologica degli ammassi globulari delle galassie a spirale e alle possibili evidenze sperimentali che avremmo potuto rivelare con i nostri strumenti.
Pubblicammo.
Ma come troppo spesso avviene nel nostro Paese, le possibilità di inserimento nelle strutture di ricerca non sempre sono in accordo con la validità delle ricerche stesse, o con le competenze degli addetti ai lavori. Nessuna possibilità di inserimento di qualsiasi tipo fu resa disponibile nel mio Istituto.
A malincuore, dopo alcuni mesi di collaborazione post-laurea dissi a Marcofabio che ulteriore tempo passato con me non gli sarebbe stato utile.
Lo sapeva. Ne avevamo parlato molto tempo prima, prima ancora di iniziare il lavoro di tesi. Lo sapeva ma aveva accettato lo stesso: questo era Marcofabio.
Inizio a guardarsi intorno: lui aveva acquisito buone competenze ed era bravo. Non tardò molto a trovare un inserimento sia pure in un campo diverso in un Istituto diverso. Ottenne una borsa di studio del CNR, ma quel che più conta incontrò Stefano Selci.

Ma, come dice un noto autore, "questa è un'altra storia", ed io quindi mi fermo qui.

Marcofabio era bellissimo, come un attore del cinema, e buono...
Purtroppo un male crudele lo ha portato via, anche se lui ha lottato con coraggio affrontando il dolore.
Noi non l'abbiamo dimenticato.
Vorrei avere la fede per immaginare che lui, in una qualche forma, sia in mezzo alle sue stelle.


Sicurezza colabrodo

Da: Il Messaggero

Parigi, Abaaoud dopo le stragi è tornato a casa in metro senza biglietto


Abdelhamid Abaaoud ha preso la metro subito dopo gli attacchi. Il terrorista ucciso nel blitz dell'altro ieri era stato filmato dalle telecamere della videosorveglianza alla stazione Croix-de-Chavaux, sulla linea 9, a Montreuil, il comune alle porte di Parigi dove venne ritrovata la Seat nera carica di kalashnikov. 

Secondo BFMTV, due telecamere della videosorveglianza lo filmano mentre passa, senza aver pagato il biglietto, i tornelli del metro. È a circa cinquecento metri da questa stazione della frequentatissima (e lunghissima) linea 9 - che collega l'est e l'ovest della capitale, da Montreuil a Pont de Sèvres - che è stata ritrovata la Seat nera della morte, quella usata per gli assalti ai tavolini di bar e ristoranti. Questo potrebbe lasciare pensare che il jihadista belga potesse essere presente a bordo dell'auto durante il massacro e che una volta parcheggiato abbia ripreso la metropolitana. «Senza dubbio per tornare fino all'appartamento di Saint-Denis», scrive Le Parisien, riferendosi al covo dove è morto durante l'assalto delle teste di cuoio.


Noi ci siamo passati con le Brigate Rosse e soprattutto con il rapimento ed il successivo omicidio di Aldo Moro.
Si disse, e molti lo pensano ancora, che fosse impossibile occultare Moro in una città blindata ed infine farlo ritrovare morto dentro un'automobile parcheggiata in centro.
Si pensò, e molti lo pensano ancora, che i Servizi deviati, coadiuvati dalla CIA, si erano infiltrati nelle Brigate e le avevano teleguidate ed aiutate, altrimenti non sarebbe stato possibile giungere a tanta sicura sfrontatezza.
Altri dissero, e dicono ancora, che "è impossibile controllare tutto e soprattutto una città come Roma"...
Parigi è molto più grande... Forse è per questo che un terrorista, dopo una strage e con una città in cui brulicano gli immediati controlli, possa addirittura tornarsene a casa in Metro beffandosi anche del controllo, che avrebbe dovuto esserci, del biglietto? Una sfida in più al destino, un modo per attirare su di sé l'attenzione, qualora qualcuno degli addetti si fosse accorto del suo entrare in Metro senza biglietto? Al contrario avrebbe dovuto defilarsi cercando di non attirare su di sé in alcun modo l'attenzione... Eppure nessuno se ne è accorto... E qui la CIA e i Servizi deviati non c'entrano di certo.

Se se ne può trarre una conclusione questa è necessariamente che la sicurezza, sia in Italia con le Brigate, sia oggi in Francia, è un colabrodo.
Un'altra similitudine che mi viene da fare la rubo a mio marito che l'ha fatta amaramente parlando con me dell'argomento: molti musulmani con il loro silenzio e, in qualche caso, con frasi esplicite, hanno giustificato le azioni di questi estremisti assassini che sparano su gente disarmata, come alcuni comunisti italiani che dei brigatisti dicevano "sono compagni che sbagliano"; anche loro sparavano a gente disarmata.

François Hollande nell'immediato, emozionatissimo, ha parlato della "fermeture des frontières", ma apprendo, da fonti dirette e certe di persone che dall'Italia passano frequentemente la frontiera a Ventimiglia verso la Francia e viceversa, che "non hanno trovato file come temevano, dati i proclamati controlli più rigidi"  e tutto è come prima. Dunque da una parte i proclami e l'enfasi dei media e dall'altra la realtà oggettiva vissuta in questi giorni da chi lì passa avanti e indietro...
Sicurezza? Boh?!