giovedì 12 luglio 2012

Miserie umane e nobili intenti

Da: La Provincia di Cremona

Recensione del libro "I pappagalli" di Filippo Bologna


dom 8 luglio 2012

Per chi crede però che comunque tutto sia una combine, che il mondo della letteratura sia ormai puro commercio e che gli scrittori siano uomini più deboli e vanitosi degli altri, come certo capita, questa nera commedia di Filippo Bologna arriva a proposito per divertire, raccontando le vicende di tre autori in corsa proprio per il più importante premio italiano. È Arbasino che ha stigmatizzato la carriera dello scrittore da Giovane promessa a Solito stronzo per finire Venerato maestro e Bologna gioca su queste diverse età, attribuendole a tre diversi personaggi, l’Esordiente, Lo Scrittore e il Maestro, che non hanno altro nome, incastrandosi in un gioco narrativo che è certo parodistico, ma venato di nero e capace di tingersi di satira, riuscendo a raccontare fatti e sentimenti che si fanno esemplari. Certo molte sono cose risapute, specie nell'ambiente editoriale, ma qui le tre figure riacquistano una loro vivacità e verità, che sono la qualità del libro, al di là del contingente e della ricerca di identificazioni, con lo Strega o meno. Tutti e tre sono mossi dalla vanità e dall’ambizione di vincere per ottenere una pubblica consacrazione del loro talento letterario, che esiste, ma da cui manovre e ragioni del premio in gran parte prescindono. Tutti e tre cercano di fare leva sulla propria condizione, narcisisticamente, come se in gioco non ci fosse un premio letterario, ma la stessa loro vita. Tutti e tre si rendono ridicoli, o meglio, nel serio raccontarceli di Bologna, risultano meschinamente comici.
 Filippo Bologna
‘I pappagalli’
Fandango, 300 pagine
16.50 euro

Confesso che non conoscevo questo scrittore (d'altra parte è impossibile conoscere tutti gli scrittori di tutto il mondo presenti e passati) e, ascoltando la trasmissione di Radio 3 dedicata alla scrittura  mentre guidavo, ho scoperto un uomo molto intelligente, con una bellissima voce, che parlava di questo suo ultimo libro illustrandone i contenuti. Mi è subito piaciuta la sua interpretazione della realtà a lui nota: ciascuno di noi dovrebbe scrivere della propria esperienza, e lui in questo libro ne scrive in un modo che, nel mio piccolo, sento come anche mio; vedere con un occhio un po' moralistico, forse, le storture, le debolezze, le meschinità degli esseri umani. Ovviamente ciascuno conosce quelle dell'ambiente in cui si muove ed in cui, forse per migliori aspettative, si rimane delusi e si è costretti a ridimensionare. E' quello che ho fatto con il mio secondo libro "Il Romanzo dell'Università" e chi l'ha letto, e con cui ho potuto parlare, mi ha detto che è perfettamente riuscito nella sua ironica analisi, a tratti un poco amara.
Dunque, riflettendo su questo libro di Filippo Bologna, viene da dire che non esistono "eroi", persone "superiori" in nessun mondo, nemmeno in quello della Cultura, ma forse è più facile trovarne nel mondo ovunque, anche in ambienti umili e privi di cultura letteraria, scientifica o accademica, nella forma di anime nobili e di grande dignità mimetizzate in figure umane apparentemente insignificanti.



L'eredità di Lucio Dalla

Da: Sky.it - 4 luglio 2012
Lucio Dalla non aveva fatto testamento. Il patrimonio milionario del cantautore bolognese morto in Svizzera lo scorso primo marzo, pochi giorni prima del suo 69esimo compleanno, andrà così ai suoi cinque cugini, eredi legittimi. Resta dunque escluso Marco Alemanno, compagno di Dalla.
Gli eredi, se vorranno, ora potranno fare la Fondazione Lucio Dalla che, "se rispecchierà la sua volontà" potrà contare sul sostegno dell'Entourage del cantante. A dirlo è l'avvocato di Dalla, Eugenio D'Andrea: "Siamo disponibili a raccogliere l'immensa eredità artistica lasciata da Lucio e a lavorare insieme alla sua famiglia. Ci piacerebbe portare avanti la sua volontà, il suo spirito e la sua arte".

Il patrimonio dell'artista  - Lo si è appreso a margine della curatela dei beni da parte del commercialista Massimo Gambini, che ha fatto l'inventario dei beni dell'artista. Beni che vanno a comporre un patrimonio ricchissimo, che va dall'appartamento di 2.000 metri quadrati su tre piani in via D'Azeglio a Bologna in cui Dalla viveva con Alemanno, alla villa della isole Tremiti alle case di Milo, sull'Etna, e Pesaro, a quadri di valore (tra gli altri di Aspertini, Ontani, Paladino), alla barca di 22 metri, ai diritti d'autore, per arrivare alle due società di produzione - la Assistime spa e la Pressing Line srl - di cui il cantautore era socio.

Alemanno: i parenti fanno finta che io non esista - Alemanno una ventina di giorni fa, in una intervista al Corriere della Sera, aveva rotto il riserbo totale tenuto sino a quel momento e polemizzato con i cugini di Dalla: "I parenti fanno finta che io non esista, negano l'evidenza, da due mesi non ho più contatti diretti". Alemanno ha continuato a vivere nella casa di via D'Azeglio: "Sono prigioniero nella mia casa - si era sfogato - se devo andare in un altro spazio della proprietà, dove ci sono i miei oggetti o le opere d'arte che Lucio mi ha regalato, deve esserci un testimone, attento chissà che non rubi nulla. Mi hanno tolto le chiavi, hanno cambiato le serrature. C'è un curatore, che sta in mezzo tra me e i cugini".

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Dalla non ha voluto palesare i suoi gusti sessuali ed affettivi in vita e, dunque, forse sarà stato per questo che il giovane convivente Marco Alemanno affermava di vivere con lui per motivi artistici e che al funerale di Lucio (di cui riportiamo una foto) gli era accanto una giovane amica per fuorviare la realtà e proporsi come possibile fidanzata.
Ora, passi che uno non voglia far sapere gli affari propri a tutti, essendo anche un personaggio che vive dell'ammirazione del pubblico, ma Lucio Dalla non era certo uno sprovveduto e, se avesse voluto riconoscere a questo giovane un ruolo pensando al suo futuro, visto che lui si avvicinava ai settanta anni mentre Marco Alemanno  aveva ben 37 anni meno di lui, avrebbe potuto farlo benissimo facendo un semplice testamento. Poteva lasciargli tutto o in parte il suo patrimonio, in quanto il Codice Civile parla chiarissimo in tal senso. Il problema della successione diretta si pone solo nel caso ci siano propri figli, mogli in carica o genitori viventi, nel qual caso c'è una riserva sul patrimonio in quanto trattasi di eredi legittimi. Ma chi non ha né figli, né mogli, né genitori in vita, come era Lucio Dalla, può lasciare tutto il suo patrimonio a chi vuole, dividendolo come vuole fra persone diverse se lo desidera, e nessun cugino potrà reclamarlo in quanto non erede legittimo e diretto. Il Codice Civile chiama eredi fratelli e cugini solo se il de cuius non ha lasciato alcuna disposizione testamentaria, quindi in vacatio definisce una scala di priorità: prima i fratelli, se defunti i loro figli e così via in linea. In assenza dei fratelli subentrano i cugini. 
Dunque Lucio Dalla a quasi 69 anni non si è curato affatto di chi gli stava accanto. La risposta a questo la sa soltanto lui: era un insensibile e un gretto che in fondo in fondo pensava che i suoi parenti erano comunque sangue del suo sangue e tanto valeva che ci pensasse il Codice Civile alla sua eredità? Oppure avvertiva che poi fra sé e quel ragazzo non c'era un vero amore disinteressato? In entrambi i casi è indubbio che non ha inteso tutelarlo in alcun modo, neppure scrivendo due righe per un piccolo lascito... La legge gli dava ampia possibilità di disporre nella qualità e nella quantità del suo patrimonio e poi, volendo, lasciare il resto alle disposizioni del Codice. Ma non l'ha fatto, e su questo dovrebbe riflettere il suo giovane amico. Non sta certo ai parenti di Lucio pensare a lui se Lucio non ci ha pensato affatto.