martedì 30 maggio 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

 Capitolo XVII

Sua figlia aveva capito il grande sforzo mentale che l'affrontare quell'intervento le era costato. E le aveva detto: "Grazie di essere ancora qui fra noi."
L'aveva colpita la profondità di quel ringraziamento. Anche se pensava che ormai la sua presenza nel mondo non era materialmente così indispensabile per i suoi figli come lo era stata in passato, ma capiva che la presenza affettiva di un genitore che ti ama e che ami è per sempre indispensabile.
Non esistono rapporti tutti uguali, giacché ogni individuo è diverso e crea con il proprio genitore, anch'egli persona unica e irripetibile, un rapporto specifico nella sua singolarità. Addirittura uno stesso genitore può avere un rapporto psicologico-affettivo differente con ciascun figlio.
Lei era figlia unica ed i suoi genitori, così differenti fra loro per carattere e personalità, avevano avuto con lei un rapporto affettivo diverso.
Elena non sapeva dire se aveva amato più suo padre o sua madre e chi dei due l'avesse amata di più. Quello che era certo è che la loro mancanza di serenità l'aveva fatta molto soffrire. Eppure il loro ricordo l'accompagnava sempre, ormai sfrondato dalle asperità dei problemi che in vita le avevano rovesciato addosso loro malgrado... Non erano mai sereni, ciascuno con la propria infelicità.. Ed era proprio la consapevolezza che avrebbero meritato di essere felici e non lo erano stati che le dava un malinconico rimpianto nel pensare loro.
La sua vita, invece, anche grazie alla loro rettitudine morale e ai loro sacrifici era andata meglio. Grazie all'incontro con suo marito aveva avuto una vita amorosa felice.. Per questo era serena ad accettare anche l'inevitabile Morte, avendo la consapevolezza che come ripeteva sempre sua madre con saggezza: "La vita ha un termine."
Ora che aveva riacquistato un corpo funzionante per continuare a vivere teneva sempre presente che all'improvviso tutto poteva finire, ma viveva serena, anche allegra, apprezzando ogni attimo dei suoi giorni.

A sei mesi dall'intervento chirurgico la colpì profondamente la notizia della morte improvvisa di una nota giornalista che, pochi mesi prima, aveva rilasciato un'intervista dall'ospedale dove era ricoverata avendo subito anche lei un intervento chirurgico al cuore.
La donna con molto spirito spiegava di essere scomparsa dagli schermi televisivi per un malore improvviso che le aveva svelato un problema cardiaco risolvibile con un intervento di Cardiochirurgia.
Il malore era stato "come se all'improvviso le avessero spento la luce e si era fatto buio". Elena, colpita, aveva pensato a sé e che invece del buio era rimasta cosciente di vedersi morire...
L'aveva colpita anche che la giornalista, che lei aveva seguito negli ultimi tempi in una trasmissione che piaceva in particolare ad Adriano, avesse avuto quel malore fatale nello stesso periodo in cui era accaduto a lei. Ed era stata operata da un noto quanto bravo Cardiochirurgo il cui nome suo figlio le aveva fatto nell'immediato ritenendolo il migliore della città. Ma mentre Elena era ormai a casa dopo due mesi di ospedale fra ricovero in un Reparto di Cardiologia dapprima, di Cardiochirurgia poi e, infine, in un Reparto di Riabilitazione Cardiochirurgica, passando per tre ospedali diversi, la nota giornalista era ancora presso l'ospedale dove l'avevano operata avendo avuto la riapertutra dello sterno.
La donna, di grande carattere, lodava i Chirurghi e dava a sé stessa la colpa di tale infortunio, al suo essere non paziente come avrebbe dovuto essere...
Ma nelle notizie che accompagnavano quella della sua morte apprese che lo sterno si era riaperto ben due volte! Elena pensava con estrema consapevolezza a quanto quella donna doveva aver sofferto. 
A lei era andata bene anche grazie a quello che quella giovane e bella infermiera della Terapia Subintensiva le aveva insegnato. Rivedeva il volto di lei china sul suo letto di sofferenza quando non riusciva a tossire per espellere il catarro che si formava per l'immobilità: "Si abbracci così il torace ". E le fece vedere come doveva cingersi la gabbia toracica con le braccia per poi dare i colpi di tosse. E lei aveva fatto sempre così, anche quando era ormai nell'Ospedale per la Riabilitazione.
Ma lei aveva una gabbia toracica piccola, non ampia come la povera giornalista che appariva con un corpo largo...
Le pensò spesso con vero sgomento per giorni.. Apprese che aveva la ferita dello sterno mai richiusa che si era infettata e veniva sottoposta a terapia antibiotica.. Questo il 4 del mese in cui era morta poi il giorno 18...
Aveva 70 anni... E lei, Elena, stava vivendo il suo 77esimo ed erano state operate più o meno nello stesso periodo.. Si, Elena era stata fortunata... 



domenica 14 maggio 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

Capitolo XVI

I primi mesi a casa furono caratterizzati da grande attenzione a non fare nulla che potesse pregiudicare l'ossificazione dello sterno segato e ricucito saldamente dai Chirurghi.
Elena seguì pedissequamente le indicazioni riportate nel foglio rilasciatole dalle brave Terapiste. Anche la Logopedista le aveva dato dei fogli in cui erano riportati gli esercizi da compiere per far tornare la voce che piano piano stava risvegliandosi. Ma dovette applicarsi poco in tal senso, perché il lavoro svolto fino a quel momento dalla graziosa Terapista della voce aveva già fatto il miracolo di sbloccare la sua corda vocale, maltrattata probabilmente dai Chirurghi Specializzandi che avevano coadiuvato il grande Cardiochirurgo nell'intervento.

Ma c'era nella sua mente un ricordo che si era affacciato immediatamente al risveglio dall'intervento operatorio: in un buio assoluto, in un gelido dolore tutto mentale, c'era un'immagine luminosa orizzontale: un tubo in cui scorreva velocissimo un liquido giallo carico con dentro innumerevoli puntini rossi e il suo pensiero ripeteva dolorosamente veloce come lo scorrere di quel liquido: "Mamma papà dolore, mamma papà dolore, mamma papà dolore, mamma papà dolore..." All'infinito e quel dolore mentale era insopportabile.
Elena lo raccontò a suo marito. L'unico del cui giudizio, su un fatto così straordinario, si fidava.
Suo marito era uno scienziato, quello era il suo lavoro: la ricerca della conoscenza, cercare di spiegare i fenomeni attraverso il metodo scientifico. Egli era giunto molto prima di lei all'idea che non esiste nulla di soprannaturale ma solo delle Leggi Fisiche che regolano l'Universo cercando di spiegarlo...
Come spiegava quel ricordo? Era qualcosa che lei aveva provato mentre era in anestesia. Non certo un sogno. Si può sognare in anestesia, in sedazione profonda? Quelle domande che aveva tenute per sé in quei due mesi, serbando di parlarne con Adriano, erano senza risposta.
Lui l'ascoltò pensieroso. Non se ne stupì. Ma non aveva sicure risposte. Ne parlarono insieme.
"No certo, sogno no. Ma nemmeno un falso ricordo."
"Come puo' essere rimasta attiva una parte del cervello nonostante la sedazione profonda?"
"Eppure è possibile, del cervello sappiamo così poco... In una zona profonda qualcosa è rimasto attivo durante la circolazione extracorporea ed ha provato quello che ricordi..."
"Ed ha tradotto in immagine lo scorrere velocissimo del sangue in un tubo... Mentre quel buio gelido di morte e quel dolore erano disumani..."
"Come è disumano mandare il sangue fuori dal corpo dentro una macchina mentre sei vivo.."
"Non conosciamo fino in fondo la fisiologia del cervello. Non sappiamo se addormentandolo per non sentire il dolore una parte sconosciuta della coscienza non possa registrare qualcosa..."
Elena ed Adriano non avevano risposte a quel fenomeno, e Adriano stesso, abituato ad esplorare cercando di spiegare quello che non è noto per mestiere e per vocazione esistenziale, non ebbe dubbi che il cervello di Elena aveva prodotto quelle sensazioni che erano legami biochimici costituenti una memoria. Come questo fosse potuto accadere mentre il cervello era addormentato dai farmaci non aveva alla luce delle attuali conoscenze una spiegazione.

Non ne parlarono più. Non c'era altro da dire.
Ma Elena non dimenticava, anche perché non voleva dimenticare.
Qualche volta lui diceva: "Cosa hai passato! Non ci posso pensare."
E se capitava che lei ricordasse i momenti in Terapia intensiva, i cui ricordi invece stavano sfumando, lui le diceva: "Non ci pensare più. E' passato."
Ma Elena non voleva dimenticare, giacché la memoria è tutto, è ciò che siamo, e ricordare tutto quel dolore faceva di lei una persona ancora diversa da quella che era prima di quella esperienza. In fondo aveva affrontato quella prova per non morire e significava qualcosa quella scelta.
Allo stesso modo non voleva dimenticare il momento in cui il suo cervello aveva capito lucidamente ed immediatamente che era arrivata la Morte in quel bellissimo giorno di sole di fine ottobre.





Note: 1) Da Focus: Psicologia - Si sogna anche sotto anestesia generale.

2) Saggio di psichiatria dello Psichiatra dell’Università di Warwick, Regno Unito Prof. Swaran Singh:  “Deve esserci una base neurale per questi fenomeni

Descrivendo in dettaglio lo strano fenomeno nel “Journal of Nervous and Mental Disease”, il professor Swaran Singh spiega: ““Ho subito un intervento chirurgico importante in anestesia generale il 4 aprile 1984. – racconta Singh nel suo saggio – Durante il recupero postoperatorio, ho sperimentato uno stato di profonda pace, un senso di rivelazione e profonda comprensione”. Nello specifico, il professore ha così descritto quanto vissuto: “Uno sfondo di luminosità bianca,…

 


lunedì 1 maggio 2023

“Noi siamo fatti della stessa sostanza dei sogni, e nello spazio e nel tempo d’un sogno è raccolta la nostra breve vita” (W. Shakespeare, La tempesta, atto IV, scena I)

 Capitolo XV

La Feste di Natale passarono per Elena e gli altri ospiti in Riabilitazione Cardiochirurgica fra le gentili attenzioni degli Infermieri, dei Medici, delle Terapiste della Palestra e degli Operatori Socio Sanitari.
Ciascuno dentro di sé però le viveva in modo diverso. C'era chi soffriva in modo particolare per non essere a casa, in mezzo alla famiglia e lo esprimeva in modi differenti. Lina, ad esempio, smaniava per tornare a casa prima possibile e non comprendeva la tranquilla accettazione di Elena: "Come fai a non desiderare di essere a casa? Non staresti meglio a casa?"
"Certo che starei bene con mio marito, i miei figli, i miei nipoti... Ma così come sta il mio corpo ho bisogno di stare qui. Qui mi sento più sicura di ricevere tutte le cure di cui in questo momento il mio corpo ha bisogno. A casa non mi sentirei sicura."
Al solito Elena era di un realismo che le consentiva un'accettazione serena della sua condizione. Senza le smanie che vedeva in altri pazienti. 
L'unico momento che temeva erano le medicazioni: inevitabilmente dolorose, nonostante la delicatezza e l'impegno dei giovani infermieri.
Il giorno  di Natale le Terapiste, con l'anziano Direttore del Reparto, organizzarono un piccolo ricevimento nella palestra a cui parteciparono tutti, fra cui naturalmente il simpaticissimo Responsabile del reparto: il Cardiologo croato. Il Direttore fece un discorsetto poi si brindò con Panettone, Pandoro e torrone al cioccolato e, dato che i pazienti erano tutti affetti da diabete mellito di tipo 2, Elena chiese timidamente se era possibile senza danno mangiare di quella roba, ma le fu risposto dalle Terapiste che per una volta non faceva male nulla! 
Le addette alla distribuzione dei pasti si presentarono con un cerchietto dorato nei capelli guarnito da piccoli alberi di Natale nei colori del verde e del rosso cosparsi di brillantini...
Insomma, fecero del tutto per rendere il Natale, come la Vigilia, quanto più caldi ed allegri per far sentire meno possibile ai pazienti la forzata lontananza dalle famiglie.
Dal soffitto di tutto il Reparto pendevano delicate decorazioni natalizie e era stato allestito un bellissimo albero di Natale nella veranda e un altro accanto ad un Presepe molto originale ed infine uno illuminatissimo nella Palestra.
Elena era serena più dei suoi dispiaciuti familiari che si erano riuniti in casa di sua figlia con il pensiero fisso a lei che era in Ospedale.
Li sentì più volte al telefono esortandoli ad essere felici, perché lei stava bene, avendo superato un intervento chirurgico di quella difficoltà.
E venne il giorno delle dimissioni. Elena salutò tutti con affetto e gratitudine.
Con Lina e la professoressa, sua ultima compagna di stanza, si abbracciarono con la promessa di risentirsi.

Fra le tante lezioni che la vita le aveva ammannito questa, proprio perché giunta in un'età che realisticamente per Elena poteva dirsi  "in zona Cesarini", la viveva senza ansie né paure. L'accettazione veniva dall'insegnamento che "la vita ha un termine", frase tante volte ripetutale da sua madre. Quella madre speciale che Elena aveva avuto, che l'aveva fatta soffrire per quel tanto che di irrazionale era in lei, ma che tanta filosofia di vita le aveva dato e che ora lei comprendeva sempre di più...
"Sono come una marionetta che un nulla può in ogni momento afflosciare..."
Le veniva da pensare consapevolmente e senza smarrimenti. Quello che le era accaduto quel giorno in cui il suo cuore si stava quasi fermando mentre il suo cervello ne era lucido spettatore pensante era un'esperienza indimenticabile. Ed era meravigliata di quello che aveva pensato in quegli attimi e... in fondo anche orgogliosa di sé stessa: "Ah! Così.... In fondo ci posso stare ...a 76 anni..."  Aveva capito che quella era la sua morte e l'aveva accettata senza paura, guardandosi come da fuori di sé stessa.

Suo marito la venne a prendere teso ed emozionato. L'Operatrice Sanitaria che serviva i pasti l'accompagnò all'uscita portandole la valigia perché "lei non doveva portare pesi", come era doverosamente scritto nel foglio che le avevano rilasciato le Fisioterapiste della Palestra, l'abbracciò e la baciò nel salutarla augurandole una felice ripresa.
Elena lasciò quell'Ospedale con un commosso sentimento di gratitudine per tutte quelle persone così umane e professionali ad un tempo.