venerdì 31 ottobre 2014

Stefano Cucchi non è morto perché era un tossico

Morte violenta di Stefano Cucchi: due nuovi testimoni accusano i carabinieri

Due nuovi testi chiamano in causa l’arma dei carabinieri tenuta fino ad ora fuori dall’inchiesta

Cinzia Gubbini
il manifesto
 18 dicembre 2009
Lo hanno visto scendere dalla macchina nel piazzale del Tribunale, la mattina del 16 ottobre intorno alle 8,30, e non si reggeva in piedi. Poi sono stati messi nella stessa cella di sicurezza, in attesa della convalida. «Che ti è successo?», gli hanno chiesto. «Mi hanno picchiato i carabinieri questa notte», «E perché non lo dici?», «Perché sennò mi fanno le carte per dieci anni». Cioè: se lo dico si inventano qualcosa per tenermi in carcere a lungo. A svelare questi nuovi particolari sul caso di Stefano Cucchi – il ragazzo morto il 22 ottobre scorso nel reparto carcerario del Pertini – sono due cittadini albanesi, fermati anch’essi dalla compagnia Casilina la sera del 15 ottobre. E compagni di cella di Stefano in tribunale. Ieri mattina i due albanesi, assistiti dall’avvocato Simonetta Galantucci, sono stati sentiti dai procuratori Vincenzo Barba e Francesca Loi. Una deposizione circostanziata, che tira in ballo le responsabilità dei carabinieri, già raccolta nelle scorse settimane dagli avvocati di parte civile Dario Piccioni e Fabio Anselmo. Ora il loro racconto è agli atti della Procura, che dovrà valutarlo alla luce di quanto finora emerso.
La sera del 15 ottobre i due cittadini albanesi vengono fermati con l’accusa di tentato furto. Stefano, invece, viene fermato con l’accusa di spaccio perché ha in tasca 20 grammi di marijuana. Tutti e tre vengono portati nella caserma di via del Calice, ma non si incontrano. La stazione Appia è una delle sei di competenza della compagnia Casilina. Una caserma piccola, che in genere chiude alle dieci di sera e che solitamente non viene usata per ospitare le persone arrestate. Qui si svolge l’interrogatorio di Stefano e quello dei due albanesi. Poi le strade si dividono: i due vengono portati in un’altra caserma per passare la notte, Cucchi viene prima portato a casa dei genitori per una perquisizione. E’ l’una di notte, sua madre lo vede e sta bene, tanto da venire tranquillizzata sia da Stefano che dai militari: «domani sarà a casa». Quindi il ragazzo ripassa a via del Calice, e poi viene trasferito nelle celle di sicurezza della stazione di Tor Sapienza. Di ciò che accade in questa stazione si sa pochissimo, se non che intorno alle 5 Stefano accusa un malore e per questo viene chiamata un’ambulanza. E iniziano le prime stranezze. A partire da quanto viene annotato nella scheda del 118 («schizofrenia», forse solo un errore materiale) fino al fatto che i due infermieri non riescono a visitare Stefano: il ragazzo è a letto, avvolto nelle coperte. Notano soltanto degli arrossamenti sotto le palpebre. Ma vista la scarsa collaborazione del ragazzo se ne vanno dopo mezz’ora. Stefano era stato picchiato? E’ quanto sostengono i due testimoni albanesi, che incontrano il ragazzo la mattina dopo, giorno della convalida in tribunale. Tutti e tre sono scortati da carabinieri della compagnia Casilina, ma sono su due macchine diverse: Stefano viaggia su quella dietro la loro. Quando arrivano nel piazzale del tribunale, vedono Stefano scendere dalla macchina e notano che «non si regge in piedi». E’ dolorante e fa fatica a camminare. Ne rimangono impressionati, fumano insieme una sigaretta ma non si parlano: davanti a loro ci sono i carabinieri. Poco dopo vengono messi nella stessa cella. Stefano sta talmente male, raccontano i due testi, che devono aiutarlo a sedersi. Finalmente gli chiedono che cosa è accaduto: «Mi hanno picchiato i carabinieri, ma non questi qua», dice il ragazzo riferendosi alla sua scorta. La convalida dei due albanesi si svolge prima di quella di Stefano. A loro va bene: non viene convalidato il fermo. Per Stefano, invece, l’incubo prosegue. Non solo gli vengono negati gli arresti domiciliari (e agli atti viene scritto che è un «senza fissa dimora»), ma secondo quanto riferito da due testimoni ascoltati in incidente probatorio Stefano subisce un pestaggio anche nei sotterranei del tribunale. Per questo sono stati indagati tre agenti della polizia penitenziaria con l’accusa di omicidio preterintenzionale. Stefano, di certo, esce dal Tribunale con delle lesioni. Per questo finirà nel reparto penitenziario dell’ospedale Pertini, sulla cui negligenza la Procura sembra non avere dubbi visto che nel registro degli indagati sono finiti altri tre medici (oltre ai tre già indagati insieme agli agenti penitenziari) con l’accusa di omicidio colposo. Finora nessuna ombra è emersa sul comportamento dei carabinieri. Ma la testimonianza di ieri cambia le carte in tavola.
Non ho simpatia per chi si droga e nutro un profondo rispetto per l'Arma dei Carabinieri.
Dunque se pubblico questo articolo uscito sul "Manifesto" alla fine del 2009 non è perché sono dalla parte di coloro che l'hanno sempre e comunque con le forze dell'ordine. Le testimonianze vanno verificate e i due processi l'avranno fatto, ma l'immediata riflessione che viene da fare è, come al solito, come è possibile che prove e testimonianze vengano valutate in modo così differente da due collegi giudicanti?
Questa giustizia fa paura. Non dà garanzie di alcun tipo di avere vera Giustizia. 
Chi ha lavorato nei Pronto Soccorsi degli ospedali  mi dice che i drogati in crisi di astinenza sono estremamente sgradevoli da trattare: spesso sono violenti, compiono atti di autolesionismo, aggrediscono i sanitari e sfasciano tutto.
Ma non è detto che Cucchi l'abbia fatto e l'autopsia è un esame principe della Medicina Legale in quanto il corpo "parla".
Come è possibile che il giovane avesse "quelle" lesioni?
Certo non gliele hanno procurate i medici e dunque la prima sentenza che scagionava chi avrebbe potuto averlo picchiato ma condannava i medici per omicidio colposo è semplicemente folle!
I medici possono essere condannati per altro reato: per non aver refertato subito i segni di percosse come era loro compito, prendendo le distanze da chi poteva esserne stato l'autore e rimettendo il tutto alla Procura. Poi se il giovane debilitato non mangiava e non beveva ogni medico sa come alimentarlo ed idratarlo per endovena, prassi che tiene in vita tutti i traumatizzati che non possono alimentarsi.
Quindi il loro reato non è omicidio colposo, ma omissione di denuncia e di adeguate cure, dunque tuttalpiù può esserci un concorso alle cause della morte.
Ma chi l'ha picchiato è invece imputabile di omicidio colposo, perché le percosse probabilmente non erano finalizzate all'omicidio, con l'aggravante che il soggetto era affidato alla loro custodia.
Le indagini, evidentemente, sono state lacunose e la conseguenza sono due processi con esiti assurdi.
Non si è voluto accertare il momento in cui da una situazione "normale" il giovane è passato ad una situazione di persona traumatizzata: ricostruito quel passaggio non dovrebbe essere difficile capire chi lo ha pestato.
Chiunque sia stato non è degno di portare la divisa. Qualche strattone si può anche capire, ma che bisogno c'era di menarlo così come appare nelle pietose foto dell'autopsia?

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