martedì 17 marzo 2015

Novelle per un anno

Ho già scritto che sto rileggendo l'Opera di Luigi Pirandello "Novelle per un anno".
Dopo tanto tempo alcune non le ricordo affatto e dunque è come se le leggessi per la prima volta. Altre, dopo qualche pagina, inizio a ricordarle, evidentemente perché mi hanno colpito di più allora, quando le lessi tanti anni fa. E fra queste è "Lo scialle nero", forse per il contenuto sessuale che, riflettendo oggi, rende datati quei sentimenti che portano al dramma la protagonista.
Oggi i costumi sono così cambiati che non esiste vergogna se una donna non avvenente e non più giovane pratica il sesso con un uomo più giovane e di cultura e classe sociale inferiore, anzi, oggi si esibiscono sui media meravigliandosi di chi non trova tutto questo normale. E non necessariamente si deve essere liberi da vincoli, come i due protagonisti della novella "Lo scialle nero", potendo, come nel caso di cui sotto riportiamo foto, essere la donna anche coniugata!

Il mondo di molte novelle di Pirandello, dunque, risente dei sentimenti e del costume del tempo. Per comprenderli bisogna calarsi in quelle mentalità maturate in quei contesti.
In altre novelle, invece, colpisce l'universalità dei concetti espressi sugli uomini del tempo di Pirandello: sono verità umane anche attuali, quindi concetti universali.
E come per il libro "I vecchi e i giovani" in certe novelle colpisce scoprire certi mali della società italiana che esistevano già allora, agli albori dell'Italia finalmente unita.
Per questi due ultimi aspetti porterò ad esempio la novella "Il sonno del vecchio" e "La distruzione dell'uomo".
Da "Il sonno del vecchio":
"E che vita è mai quella ch'egli vive? Una continua stomachevole finzione! Non uno sguardo, non un gesto, non una parola sinceri. Non è più un uomo: è una caricatura ambulante. E bisogna ridursi a quel modo per aver fortuna oggi?"
Ecco, è il ritratto di chiunque si adatti a non vivere autenticamente per fini opportunistici, sia nel pubblico sia nel privato.
Da "La distruzione dell'uomo":
"E' uno di quei tanti casoni, tutti brutti a un modo, come bollati col marchio della comune volgarità del tempo in cui furon levati in gran furia, nella previsione che poi si riconobbe errata d'un precipitoso e strabocchevole affluir di regnicoli a Roma subito dopo la proclamazione di essa a terza Capitale del regno.
Tante private fortune, non solo dei nuovi arricchiti, ma anche d'illustri casati, e tutti i sussidi prestati dalle banche di credito a quei costruttori, che parvero per più anni in preda a una frenesia quasi fanatica, andarono allora travolti in un enorme fallimento, che ancor si ricorda.
E si videro, dov'erano antichi parchi patrizi, magnifiche ville e, di là dal fiume, orti e prati, sorger case e case e case, interi isolati, per vie eccentriche appena tracciate; e tante all'improvviso restare - ruderi nuovi - alzate fino ai quarti piani, a infradiciar senza tetto, con tutti i vani delle finestre sguarniti, e fissato ancora in alto, ai buchi dei muri grezzi, qualche resto di impalcatura abbandonata..."
Stiamo parlando dei palazzi dell'epoca umbertina, infatti nella novella si parla del "viale nomentano" e più precisamente di Via Alessandria, e quando scrive "e, di là dal fiume, orti e prati, sorger case e case e case," penso al quartiere Prati, dove io sono cresciuta proprio in un palazzo di epoca umbertina: oggi sono di pregio come quando vi abitavo anch'io fin dal 1952.. Eppure l'immagine che Pirandello da di quella realtà urbanistica fa pensare a disastri incompiuti odierni, a brutture urbanistiche dei giorni nostri.
Da: www.scudit.net , cenni storici:
...quando la città diventa capitale del Regno d'Italia (1870). All'epoca c'erano appena 226.000 abitanti, e per adeguare la città al suo nuovo ruolo viene varato un progetto urbanistico imponente (Primo Piano Regolatore del 1873), che prevede la costruzione di grandi edifici rappresentativi, quartieri di abitazione per i burocrati della nuova amministrazione, ampie strade di collegamento.
Nel giro di un trentennio la città viene stravolta.

...man mano che cresce la Roma Umbertina (di Umberto I, re tra 1878 e 1900), sparisce la Roma papalina, che all'interno delle antiche mura aureliane conservava ancora il suo impianto rinascimentale e barocco. 
La distruzione più grave è la perdita della "corona di ville e giardini" che circondava la città; e anche un'opera necessaria come i muraglioni del Tevere, costruiti per bloccare le frequenti inondazioni del fiume, è accompagnata da veri crimini urbanistici. È il prezzo, altissimo, che Roma paga per diventare "moderna"...

Disastri dei giorni nostri: Appalto per 60 milioni di euro, lievitato a 200 milioni, incompiuto da anni, doveva servire per i mondiali di nuoto, non è stato pronto per lo scopo per cui è stato appaltato, ora per finirlo vogliono fino a 600 milioni di euro.
Ovvio che anche un bambino capisce che bisogna cambiare queste procedure di appalto che, vinto l'appalto per una cifra, non possono e non debbono lievitare fino a 10 volte il tetto d'appalto. Bisogna proprio metterlo invece il tetto, prevedendo una minima percentuale di sconfinamento motivata e, qualora non si esegua tutto il lavoro in base all'appalto vinto per quella cifra, penali e eventuale galera se ci sono illeciti.
Se non lo fanno, siccome volere è potere, vuol dire che NON VOGLIONO e il perché lo capisce anche il bambino di cui sopra.
Ritornando al tempo di cui narra lo scrittore nella novella "La distruzione dell'uomo", in quei palazzi andò ad abitare gente del popolo, poi la classe media e qualche famiglia decaduta, e qui egli scrive di nuovo una grande verità: ..."qualche famiglia decaduta o di ceto medio, d'impiegati o di professori, ha cominciato a cercar ricovero, o per non averlo trovato altrove o per bisogno o amor di risparmio, vincendo il ribrezzo di tutto quel lerciume e più della mescolanza con quello che sì, Dio mio, prossimo è, non si nega, ma che pur certamente, poco poco che si ami la pulizia e la buona creanza, dispiace aver troppo vicino; e non si può dire del resto che il dispiacere non sia contraccambiato; tanto vero che questi nuovi venuti sono stati in principio guardati in cagnesco, e poi, a poco a poco, se han voluto esser visti men male, han dovuto acconciarsi a certe confidenze piuttosto prese che accordate."
Questo è un tema che io ho vissuto sulla mia pelle e ne ho tratto una novella, pubblicata in cartaceo nella raccolta "Mostri e ritratti" alcuni anni fa, dal titolo "Gente perbene, brava gente".

Infine mi chiedo come abbia fatto Luigi Pirandello a scrivere così tanto... Usando, non dimentichiamolo, penna e calamaio... Nemmeno la biro che arrivò quando io, scolaretta, già avevo dovuto imparare ad usare pennini ed inchiostro. Oggi la fatica dello scrivere è grandemente agevolata dai computer che facilitano la scrittura, bastando sfiorare i tasti della tastiera ancor meglio delle ormai dismesse macchine per scrivere a cui, con qualche diffidenza, Pirandello si piegò.   

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