giovedì 24 maggio 2012

Misteri di Mafia, Politica e Magistratura


Scrive il Sen. Li Gotti di IdV sul sito del Partito:
C’è una pagina  (non la sola) che nasconde un mistero.  Se ne parla poco.  Ma racchiude messaggi non decifrati che si collegano alla morte di Falcone prima e,  poi di Borsellino.
Provo a raccontarla,  senza tentare una decriptazione.
Nel 1991,  i Ros consegnarono a Giovanni Falcone,  il rapporto su mafia-appalti,  proprio il giorno in cui Falcone cessava la sua attività a Palermo,  per trasferirsi a Roma, al Ministero.
Falcone lo lesse e lo lasciò al Procuratore della Repubblica.
Soltanto dopo diverso tempo (erano stati già uccisi Falcone e Borsellino), si accertò che quel rapporto, era stata depurato dei nomi e degli approfondimenti su uomini politici nazionali.
Era, infatti, accaduto che le indagini,  pur già fatte, non vennero comunicate a Palermo,  ma i Ros,  trasmisero gli accertamenti sui politici nazionali,  alla Procura di Catania, che divenne titolare delle indagini,  senza che Palermo nulla sapesse,  essendo stata la Procura di Palermo destinataria di un rapporto “ripulito”.
Solo verso la fine del 1992 (dopo le stragi di Capaci e via D’Amelio), Catania trasmise a Palermo quegli elementi di indagine,  risalenti al 1991,  con i riferimenti ai politici nazionali.
Accadde, poi, un altro fatto (venuto alla luce recentemente, durante i lavori della Commissione Antimafia).
Falcone ricevette al Ministero un plico proveniente dalla Procura di Palermo. Era fuori sede e, sollecitò la dott.ssa Liliana Ferraro,  ad aprire il plico per vedere di cosa si trattasse.  Era il rapporto mafia-appalti  (quello che Falcone aveva consegnato al Procuratore di Palermo, il giorno del suo trasferimento a Roma).
Ha riferito la dott.ssa Liliana Ferraro che, dopo circa due ore da quando aveva aperto il plico, riferendone il contenuto a Falcone, questi la richiamò, disponendo che rimpacchettasse il tutto, rispedendo subito alla Procura di Palermo.
Inutili, sino ad oggi, le ricerche della lettera con cui la Procura di Palermo accompagnava il plico inviato,  del tutto irritualmente, a Falcone (che ormai lavorava a Roma e che,  quindi, non aveva un titolo formale, per ricevere il rapporto mafia-appalti).
Racconta, poi, l’allora comandante dei Ros che, il 25 giugno 1992, Borsellino volle incontrarlo in luogo riservato (caserma Carini di Palermo) e non in Procura, perchè Borsellino, non volela che occhi indiscreti potessero vedere.
Nel corso dell’incontro, secondo il racconto di Mori (comandante del Ros), Borsellino avrebbe chiesto un rigido e diretto rapporto fiduciario,  perchè si avviassero indagini con oggetto il rapporto mafia-appalti,  poichè Borsellino aveva sentore che proprio lì, si sarebbe trovata la ragione ultima della uccisione di Giovanni Falcone.
In quella occasione, improntata a estrema fiducia (così ne riferisce Mori), sicuramente non sarebbero state riferite a Borsellino, due cose che, atteso il rapporto fiduciario, dovevano essere dette (questa è l’unica deduzione che faccio):
a) Mori non avrebbe detto a Borsellino che, nel frattempo, era stato avviato un contatto con Vito Ciancimino (la nota “trattativa”). Quando, durante un processo, chiesi a Mori, il perchè nulla avesse detto a Borsellino,  mi rispose che, certamente, sarebbe stato doveroso parlargliene. Senonchè, alla data del 25 giugno, non ci sarebbe ancora stato il contatto con Vito Ciancimino. E’, invece, pacificamente accertato (per acquisizioni recenti), che il contatto con Vito Ciancimino, fosse stato già avviato.
b) Mori non riferì a Borsellino che il rapporto su cui il magistrato intendeva lavorare riservatamente, era monco delle attività di indagini sui politici (i Ros, come sopra già detto, trasmisero gli atti d’indagine completi, a Catania e non a Palermo). Il rapporto fiduciario e riservatissimo con il Ros, cercato da Borsellino  (così ne parla Mori), non poteva continuare a celare l’esistenza di atti d’indagine inquietanti sui politici nazionali, già fatti da un anno e non comunicati a Palermo.
Insomma, nè Falcone nè Borsellino, ebbero mai cognizione di delicatissime attività d’indagine su politici nazionali.
Domande? Tante. Misteri? Tanti.
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Fra le tante domande ne viene una immediata: perché fra Procure non si parlano? Le Procure di due Province della stessa Regione non comunicano? Questa rigidità dello Stato nei suoi Apparati favorisce i misteri.

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Luigi Li Gotti (Mesoraca, 23 maggio 1947) è un avvocato e politico italiano, conosciuto per essere stato difensore di noti pentiti quali Tommaso Buscetta[1], Totuccio Contorno, Giovanni Brusca[2], Francesco Marino Mannoia e Gaspare Mutolo[3].

Biografia 

Laureato in giurisprudenza, Luigi Li Gotti è stato avvocato di parte civile nel processo per la strage di Piazza Fontana, ha rappresentato i familiari del maresciallo Oreste Leonardi nel processo Aldo Moro, ha tutelato la famiglia del commissario Luigi Calabresi in un lungo iter processuale[4]. Attualmente Li Gotti vive e lavora a Roma, con la sua famiglia.
A Crotone ha cominciato a fare politica alla fine degli anni sessanta nelle organizzazioni giovanili del Movimento Sociale Italiano, partito del quale è diventato successivamente segretario di federazione e che ha rappresentato in Consiglio comunale[5] dal 1972 al 1977[6]. Dopo una militanza a destra più che trentennale, nel 1998 esce da Alleanza Nazionale[2] e passa, nel 2002, all'Italia dei Valori, assumendo l'incarico di Responsabile del Dipartimento Giustizia.
Dal 18 maggio del 2006 alla caduta del secondo governo Prodi è stato sottosegretario alla Giustizia[4].

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