lunedì 19 marzo 2012

Lavoro in Italia: storia n. 1

1992 - Italia

Una giovane italiana si laurea in Fisica dopo aver soggiornato al CERN di Ginevra per fare esperimenti per la sua tesi di laurea, pagata per pochi mesi con fondi della ricerca del suo Relatore di Tesi, professore ordinario dell'Università Italiana dove è iscritta. Non essendoci prospettive lavorative retribuite nemmeno con una borsa, sceglie di fare un Dottorato in Astronomia in una Università Italiana. Avrebbe la possibilità di andare all’estero ma ha il marito che lavora in Italia e tenta di inserirsi in Italia, perché per lei la realizzazione della vita privata è importante tanto quanto il lavoro. Finito il Dottorato di Ricerca e conseguito il titolo non ha più la Borsa di Dottorato. Lavora per un altro anno gratis presso la struttura pubblica dove ha conseguito il Dottorato, elaborando dati astronomici presi dal suo ex-tutore di Dottorato che pretende presenza in loco e le consegna il lavoro da eseguire.  Nel frattempo dà 5 concorsi, stimolata anche dal Direttore della Struttura il quale le dice testualmente: “Questo concorso non è per te, sappiamo già a chi deve andare il posto, però intanto ti fai conoscere, dunque studia, preparati bene.” Finalmente arriva il concorso con l’etichetta della ricerca di cui si stava occupando. Intanto si è inserita molto bene presso la Struttura Pubblica, dove lavora ogni giorno fino a tarda ora, per la sua umiltà nella dedizione al lavoro e per la sua socievolezza: numerosi testimoni la vedono ogni giorno lavorare agli ordini del suo ex-Tutore di Dottorato, con l'assenso del Direttore della Struttura anche se la Dottoressa di cui parliamo non ha alcun emolumento per il suo lavoro, né assegni.
Frequentando una Struttura Pubblica dovrebbe però, per legge, avere un'assicurazione per eventuali infortuni sul posto del lavoro gratuito. Non sappiamo se la Struttura Pubblica abbia mai provveduto, ma sappiamo che la Dottoressa non l'ha mai fatta a proprie spese, lavorando senza reddito. 
Al concorso è la prima in graduatoria con il tema scritto di Astronomia. Sullo scritto è difficile cambiare le carte. L’orale viene rinviato. La Commissione di Concorso aspetta il ritorno della seconda in graduatoria che è andata negli USA, come altri, per una borsa. E' inusuale: non avviene mai che si aspetti che qualcuno che ha partecipato ad un concorso finisca i suoi impegni per fare la prova orale. Di solito la commissione fissa la data della prova orale in epoca non molto distante da quella scritta e i concorrenti tornano dai luoghi dove stanno svolgendo altri impegni  per sottoporsi alla prova concorsuale. Ma in questo caso la seconda classificata allo scritto finì la sua borsa USA, la data fu fissata sulla base del suo comodo ritorno.
Alla prova orale assistette tutto lo staff: dottorandi, ricercatori… perché è pubblica. La prima classificata, incinta di cinque mesi, fu tenuta alla lavagna a sviluppare le domande postele per un’ora. Se la cavò brillantemente. Parere di tutti i Fisici presenti. La  seconda classificata fu fatta accomodare su una sedia davanti alla scrivania dove era la commissione e le furono poste tre domande a cui graziosamente lei rispose avendo le gambe accavallate. La prova durò dieci minuti.
L’indomani, davanti agli occhi feriti della prima classificata, apparve la graduatoria con la seconda diventata prima e la prima seconda. Il bando del concorso non prevedeva idonei, ma un unico vincitore. La Dottoressa protagonista del caso che riportiamo fece ricorso, spendendo dieci milioni delle vecchie lire pagate dai suoi  indignati genitori che andarono dal miglior avvocato amministrativista della città. Vinse il ricorso perché una delle tre domande poste alla seconda classificata allo scritto era stata già posta alla prima classificata, interrogata per prima e per un'ora intera, la quale aveva ampiamente spiegata e sviluppata la risposta poco prima alla lavagna. Il Tribunale annullò la prova orale e ritenne valida la prova scritta. Ma i meccanismi perversi della nostra società hanno dei sistemi di compensazione alla Giustizia fatta: la prova orale fu ripetuta due anni dopo, dalla medesima commissione che era stata sanzionata grazie al ricorso firmato dall'esclusa, la quale, proprio per questo, aveva dovuto allontanarsi dalla Struttura dove lavorava da un anno senza alcun compenso, mentre la vincitrice vi era rimasta.  Nonostante ciò e dando per scontato il risultato, per portare fino in fondo la sua ormai inutile e costosa battaglia, con grande forza d’animo la Dottoressa si sottopose al giudizio di quella commissione sapendone già il risultato. Altri non ci sarebbero nemmeno andati per evitarsi l’umiliazione di vedere riconfermato il loro punto.
Non certo contenti i suoi genitori si rivolsero al CONSIGLIO DI STATO IL QUALE SENTENZIO' CHE "La dottoressa è stata risarcita con la ripetizione della prova concorsuale." Ripeto: con la stessa Commissione che aveva effettuato QUELLA PRIMA PROVA CONCORSUALE IN QUEL MODO e che la dottoressa aveva praticamente denunciato permettendosi di fare ricorso?

La dottoressa uscì dal mondo della ricerca ed un brillante cervello in fuga restò in Italia perché qui aveva marito e figli. Dovette cercarsi un altro lavoro per poter vivere. Qualcuno aveva calpestato il suo lavoro e i suoi legittimi sogni di fare la ricercatrice, e l'apparato glielo aveva consentito non garantendo alla Dottoressa un esame con una diversa commissione e l'immediata ripetizione della prova orale per non vanificare la preparazione che dopo due anni, come ovvio, non poteva più essere la stessa.
Morale: inutile cercare Giustizia, si buttano solo soldi preziosi sudati dai genitoricome in questo caso, non avendo la Dottoressa alcun reddito.

Ma la Dottoressa cercò anche di farsi riconoscere quell'anno di lavoro prestato gratis e si rivolse alla giustizia del Lavoro. Questa volta i genitori si rivolsero all'avvocato di un sindacato e spesero solo un milione e mezzo delle vecchie lire. Produsse diversi testimoni, dipendenti e dottorandi che frequentavano la Struttura Pubblica dove aveva lavorato i quali, nel porre testimonianza, sfidarono anche eventuali ritorsioni da parte della Direzione di tale Struttura.
La sentenza, emessa da una giovane magistrato donna, arrivò dopo qualche anno e constava di tre righe che più o meno dicevano che NON DI LAVORO SI ERA TRATTATO MA DELLA POSSIBILITA' CHE LA STRUTTURA IN QUESTIONE AVEVA DATO ALLA DOTTORESSA IN ESSERE DI MIGLIORARE LA SUA PREPARAZIONE.
Morale: la schiavitù intellettuale non costituisce lavoro in nero, ma è un privilegio concesso. Il privilegio consiste nel produrre lavoro scientifico su cui i generosi Pubblici uomini di scienza mettono il loro nome.
Parola di magistrato.   

2 commenti:

Silvia O. ha detto...

Passano anni…. decenni ma quel tipo di ferite morali, riportate dalla dottoressa laureata in Fisica, non si rimarginano mai. Questo caso è l’ennesimo esempio di come funziona il sistema marcio di questo povero Paese. Tutti si riempiono la bocca di equità e giustizia ma, in pratica, il cittadino comune, senza le conoscenze “giuste”, non riesce a vincere le sue sacrosante battaglie. La giustizia e l’equità sono precluse ai comuni mortali quando ci sono interessi in ballo di coloro che hanno il disgustoso privilegio di percorrere corsie preferenziali e facili scorciatoie. Che tristezza!

Rita Coltellese ha detto...

E questo è un caso di 20 anni fa.
Tomasi di Lampedusa fa dire al Gattopardo, il Principe siciliano: "tutto cambia affinché nulla cambi".
Parole, parole, solo parole e sono parole anche queste di questo governo.