giovedì 5 maggio 2016

Storia dimenticata


Da: Centrosangiorgio.com


Ero poco più di un adolescente quando, a metà degli anni '70, andai a trovare alcuni lontani parenti che vivono ad Intra, una ridente località del novarese che si affaccia sul Lago Maggiore, una zona che fu teatro durante l'ultima guerra di duri scontri tra le truppe nazifasciste e le formazioni partigiane (basti pensare alla celebre repubblica dei quaranta giorni della Val d'Ossola...). Uno di questi parenti, sapendo che venivo da Ferrara, mi chiese - certo di ricevere una risposta affermativa - se ero comunista. Il mio «no», gentile ma fermo, gli spense il sorriso sul volto. Si sarà certamente chiesto come mai un abitante della rossa Ferrara non fosse un «compagno». La sua considerazione di fondo non era poi del tutto sbagliata, se si considera che nella mia città i sindaci comunisti si sono succeduti ininterrottamente dal 1949 ad oggi, e che il Partito Comunista (e ora il PD) è sempre stato il primo partito alle elezioni. Le ragioni di questa mia non-appartenenza non sono di natura prettamente partitica, prova ne è che non ho mai avuto nessuna tessera, né ho mai fatto alcun genere di attività in qualche formazione politica. Semmai esse sono in larga parte di carattere familiare, e più precisamente sono dovute alle parole che ho udito dalla viva voce di mio padre Edmondo. Anche lui, come me, non era mai stato iscritto ad alcun partito, né era mai entrato in politica, pur avendo le sue idee. Dopo l'8 settembre 1943 e il conseguente scioglimento del suo reparto corazzato, mio padre non aveva aderito alla Repubblica Sociale Italiana, e nemmeno si era unito ai partigiani che si erano dati alla macchia. Per scampare alla probabile deportazione in Germania e per sfamare i genitori era entrato nel Corpo dei Vigili del Fuoco prestandovi servizio fino all'età della pensione. La sua posizione «neutrale» gli aveva così permesso di essere testimone oculare negli anni 1943-1946 di fatti sanguinosi, come i barbari quanto inutili (da un punto di vista bellico) bombardamenti della città operati dall'aviazione anglo-americana o la rovinosa ritirata dei tedeschi. Ma il ricordo che ancora oggi porto scolpito nella mia memoria è la sua reazione quando si toccava l'argomento «Resistenza». Gli occhi spiritati, il volto rosso acceso, le vene del collo ingrossate, mi raccontava in modo concitato di come - nonostante la sua divisa di pompiere - si era visto in più di un'occasione puntare addosso le armi da persone che, con un'espressione piena di ripugnanza, definiva lazarun (colorita espressione in dialetto ferrarese che sta per «delinquenti», «farabutti»), che autoproclamatisi «liberatori» dettavano a destra e a manca la loro legge: quella del mitra.

Mi parlava di come le nostre zone erano state lasciate dagli alleati alla mercé di questi individui, molti dei quali, come diceva lui, erano partigian dal lùni («partigiani del lunedì»), ossia i soliti opportunisti (molti dei quali fino all'anno precedente indossavano la camicia nera...) entrati nella Resistenza il 25 aprile, quando l'ultimo tedesco era annegato nel Po o si era arreso alle truppe di colore che precedettero l'arrivo degli alleati. Mi raccontò dei prelevamenti notturni di ex fascisti dei quali non si seppe più nulla, ma anche di gente per bene che non aveva mai torto un capello ad anima viva, dei processi-farsa, dei «tribunali del popolo», delle scorrerie (soprattutto nelle campagne) e delle brutalità operate da questi prepotenti che con il fazzoletto rosso al collo, la stella rossa nel cappello e al canto di O bella ciao o Bandiera rossa uccidevano, rubavano, stupravano e impazzavano in mezzo ad una popolazione in preda al terrore e all'omertà. Poi, con la voce piena di disgusto, mi narrava come a guerra finita questi assassini, il più scolarizzato dei quali non era andato oltre la terza elementare, grazie al loro passato di «partigiani» e alla loro tessera rosso-sangue, erano stati assunti dall'amministrazione comunale, magari andando ad occupare posti di rilievo e percependo quello che si dice un signor stipendio. E, colmo dei colmi, ogni 25 aprile questi signori hanno ancora il coraggio di andare a sfilare in piazza con tanto di medaglie «al valore» appuntate sul petto, vantando un passato che per molti di loro è solo vergognoso. Questa porzione della nostra Storia è una delle tante zone d'ombra su cui non è ancora stata fatta piena luce e soprattutto non è stata resa giustizia. Anche oggi, nonostante l'Unione Sovietica sia solo un brutto ricordo, e che il comunismo locale sia ormai un fenomeno sempre più allo sbando e in via di estinzione, pochi sono quelli che hanno il coraggio di dire la verità su questi fatti dolorosi smascherando uno dei movimenti più infami che ha insanguinato le nostre terre. Possa la lettura di questo stringato articolo aprire gli occhi a tanti giovani a cui, dopo sessant'anni, non è ancora stata detta la verità storica.
   Paolo Baroni


Sono nata nel 1946, quando tutto l'orrore era appena finito e la gente voleva solo dimenticare, ma ugualmente qualche volta mi era arrivata notizia degli orrori commessi dai partigiani che, evidentemente, non erano tutti nobili come certa letteratura ha voluto rappresentarceli. ora, solo casualmente, sono capitata nella pagina facebook di lorenzo vassallo che ha pubblicato la storia di anna maria araldo violentata e uccisa a 13 anni dai partigiani nei tumultuosi giorni dopo il 25 aprile 1945. da lì ho iniziato delle ricerche sulla storia dimenticata, vergognosamente seppellita, di quelle azioni infami che nessun giusto risentimento può spiegare nè tanto meno giustificare. Questi non erano uomini, nè bestie, molto meno... subumani in fregola che violentavano bambine che nulla avevano a che fare con politica e guerra. ho letto cose orrende che nulla avevano a che spartire con la vendetta contro i prepotenti fascisti. cose che rendono questi partigiani identici ai massacratori nazisti dopo l'8 settembre 1943.

Decreto Legislativo Luogotenenziale n. 194 del 12 aprile 1945, firmato da Umberto di Savoia, che in un unico articolo dichiarava non punibili le azioni partigiane di qualsiasi tipo perché da considerarsi “azioni di guerra”. 
Fu, cioè, dalla viltà dei giudici, considerata azione di guerra legittima anche il massacro di prigionieri inermi compiuta, per giunta, quando la guerra era ormai terminata.

Come possano aver considerato "azioni di guerra" gli innumerevoli stupri perpetrati su donne di tutte le età, a cominciare da bambine, questo lo sanno solo quei giudici!   



                                             

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