sabato 18 luglio 2015

Chi l'ha visto? Ragazzi in fuga

Pino Rinaldi, giornalista intelligente e sensibile, autore di vero giornalismo di inchiesta.
Ritrovò Ferdinando Carretta a Londra convincendolo alla confessione del suo terribile delitto: lo sterminio della sua famiglia
 redazione@varesenews.it  Pubblicato il 13 dicembre 2013
Simone Pedron, il 17enne di Brebbia fuggito da casa, è stato avvistato, da un italiano, mentre stava percorrendo a piedi il cammino di Santiago. 
Un professore in vacanza ha inviato una foto alla famiglia. Simone era con altri ragazzi e, come sospettavano i familiari, si sarebbe recato a Santiago di Compostela, luogo che aveva mitizzato nei mesi precedenti. Una segnalazione, giunta alla tramissione "Chi l’ha visto?", lo ha indicato in Portogallo.
Il giovane comunque sta bene e il segnale che Simone sta solo vivendo un momento di ribellione è stato indicato, dalla trasmissione tv, da un particolare significativo: ha portato con sè l’inseparabile piastra per i capelli.  
15 gennaio 2014

«Abbiamo fatto tutto da soli e siamo riusciti a trovare nostro figlio». Maria Rosa Corda è la mamma di Simone Pedron, il ragazzo di Brebbia rimasto lontano da casa per 5 mesi e rintracciato dai genitori nel sud del Portogallo, in una fattoria/comunità dove lavorava in cambio di vitto e alloggio. Simone se ne è andato il 22 agosto scorso, zaino in spalla e l’idea di provare a fare un’esperienza di vita solitaria, “dimenticandosi” di avvertire i famigliari che per settimane e settimane sono rimasti col cuore in gola aspettando di riabbracciarlo. Il ragazzo, da poco diciassettenne, ha fatto il Cammino di Santiago, per poi spostarsi in Portogallo dove lo hanno trovato mamma e papà, accompagnati da un altro pellegrino che lo aveva incontrato sulla via francigena. Ecco come hanno fatto.
«A dicembre abbiamo saputo che era effettivamente a Santiago, come avevamo immaginato e sperato. Da lì in poi ci siamo mossi fino alla decisione delle scorse settimane: partiamo e andiamo a prenderlo, dovunque sia – racconta la mamma di Simone, Maria Rosa -. Siamo decollati alla volta di Madrid io, mio marito e un signore di Torino, ormai un amico, che aveva incontrato Simone sul Cammino di Santiagodandogli una mano concreta (soldi e vestiti). Simone gli aveva raccontato di essere orfano e di chiamarsi Pedro: lui gli ha creduto e lo ha aiutato, ma quando ha saputo la verità una volta tornato in Italia, ci ha contattati e ha voluto essere con noi in questa “avventura”»
Andiamo per gradi. Quando siete partiti e come vi siete organizzati? «Mercoledì 8 gennaio siamo partiti. A Madrid abbiamo noleggiato una macchina e ci siamo diretti a Nord, a Ponferrada, dove eravamo in contatto con un sergente della Guardia Civil. Non sapevamo dove fosse Simone e siamo andati per tentativi. Sapevamo che fino a ottobre Simone è stato sul Cammino per poi andare verso Sud e abbiamo provato a ricostruire le sue mosse»

Dopo Ponferrada dove siete andati?
«Grazie all’aiuto di quel poliziotto spagnolo che ringrazierò per tutta la vita ci siamo diretti a 20 chilometri da Leon, in un ecovillaggio dove Simone ha alloggiato per qualche tempo. Lì ci hanno detto che aveva parlato con loro della sua idea di andare a sud, verso il caldo: e così siamo andati in Portogallo».

Immaginiamo non sia stato facile rintracciarlo…
«No, infatti. Per trovarlo ho setacciato i siti internet di tutte le fattorie/comunità che danno alloggio a numerosi ragazzi che vogliono fare un’esperienza di vita con pochi soldi: li fanno lavorare in cambio di vitto e alloggio e sono veramente tantissime le esperienze simili. Ho chiamato i numeri che ho trovato e alla ottava, nona o decima telefonata ho trovato un signore che nel Sud del Portogallo mi ha detto che con loro c’era un Pedro che corrispondeva alla descrizione di Simone. E così siamo andati a prenderlo».

Come ha reagito vedendovi arrivare?
«Era stupito, non se lo sarebbe mai immaginato. Era contento, però. Forse perchè stanco di scappare. Di fingere no: gli è piaciuto far finta di essere più grande, maggiorenne. Ha deciso di tornare a casa con noi: non lo abbiamo forzato, se non avesse voluto credo che non avremmo insistito, ma non è stato necessario porsi il problema».

E voi? Quali sono stati i sentimenti e le reazioni?
«Felicità innanzitutto. Ci abbiamo messo tutto, tempo, soldi, energie. Ma ce l’abbiamo fatta. Lui sa che ha sbagliato, che non è stato il modo giusto di fare una cosa che voleva fare a tutti i costi. Ci ha fatto soffrire, ma ci sarà il tempo per parlarsi e capire. Sapete una cosa? Io sono felice anche perchè se l’è cavata bene, ha dimostrato di essere un ragazzo maturo ed educato, tutti quelli che lo hanno incontrato mi hanno detto la stessa cosa: è un bravo ragazzo».

C’è qualche punto oscuro in questa vicenda?
«Non serbo rancore nei confronti di nessuno, ma il merito di aver riportato a casa Simone è solo nostro, mio e di mio marito. Ci ha dato una mano il personale dell’Unità Prevenzione Rischio Criminologico, ci hanno proposto un avvocato che ci seguisse, ma il mio unico obiettivo non era tanto sapere a che punto erano le indagini, ma ritrovare mio figlio. Di brutto c’è che abbiamo saputo che Simone è stato arrestato in Spagna a ottobre. È scappato davanti ad un controllo e ha fatto una notte in carcere (e gli ha in un certo senso fatto comodo avere un tetto sopra la testa e un pasto caldo), ma la cosa sconcertante è che pur non avendo i documenti ed essendo visibilmente giovanissimo non hanno fatto segnalazioni, tant’è che l’Interpol la scheda di mio figlio non l’aveva».

Come avete fatto a riportarlo in Italia se non aveva i documenti?

«Anche questa è stata una piccola avventura nell’avventura. Io avevo con me una copia della sua carta d’identità fotocopiata: avremmo dovuto andare in consolato e fare tutta la trafila, ma non avevamo tempo da perdere e così con un piccolo escamotage ho convinto il personale della compagnia aerea a farci partire. Così martedì mattina (14 gennaio) siamo decollati e tornati a casa. Di nuovo insieme, che è la cosa più importante».
Da: BLOGO 15 luglio 2015

I genitori di Simone Pedron raccontano la fuga del figlio adolescente in Portogallo e Spagna. Simone per fortuna è stato ritrovato, anche se ha deciso di restare a vivere alle Canarie, con poco e niente. Raccontano la loro storia perché questo possa essere d'aiuto ad altre famiglie nella loro stessa situazione.
Seguo fin dal suo inizio la trasmissione "Chi l'ha visto?". Ha ragione chi dice che preferisce questa trasmissione di servizio alla Società alla "fiction", di gran lunga al di sotto delle vicende della Vita Vera. Certo è molto più coinvolgente e doloroso seguire i fatti che accadono a persone come noi tutti, e possiamo solo augurarci che non capitino anche a noi.
Nel caso di questo bellissimo adolescente i poveri genitori sono stati fortunati: egli è vivo, sta bene... Chissà se sarà una crisi adolescenziale che si risolverà con la crescita, oppure se egli è uno di quei tipi bizzarri, alla Francesco D'Assisi, che vivono in modo affatto diverso rispetto alla maggioranza della gente.
Certo il dolore dei suoi genitori egli non lo ha considerato, non è esistito in lui il pensiero "dell'altro da sé", della loro comprensibile angoscia: e questa consapevolezza dell'indifferenza sentimentale verso i genitori non può non far pensare ad una psicologia di tipo particolare. La mamma, nell'intervista fattale dalla trasmissione "Chi l'ha visto" andata in onda il 15 luglio scorso, ha detto che Simone è sempre stato insofferente alle regole, anche da bambino.

Purtroppo accade che, quando un figlio si comporta in modo da dare dolore, il genitore normale (giacché esistono ovviamente anche genitori disaffettivi, egoisti ecc.) soffre colpevolizzandosi.
E' il caso dei genitori sfortunati di Luca Spoto, perché di lui non si è saputo più nulla.
Dal sito di "Chi l'ha visto?"
Luca Spoto alloggiava presso la nonna a Roma, sua città natale, dove studia scienze della comunicazione all'università, mentre la famiglia vive a Francavilla a Mare (Pescara). Prima di allontanarsi ha lasciato due lettere, ai familiari e alla fidanzata, che hanno allarmato tutti e che hanno rivelato il suo profondo disagio e avvilimento, originato dalle difficoltà negli studi e accentuato da un improvviso problema di salute che ne ha limitato fortemente l'attività sportiva

LUCA SPOTO


Il dolore ed il senso di colpa del padre di Luca colpiscono al cuore: nell'intervista fattagli dalla trasmissione "Chi l'ha visto"egli non ha fatto che rimproverare sé stesso per aver fatto quello che ogni buon padre deve fare. Ha incitato Luca a studiare e a dare risultati nello studio. La famiglia lo manteneva fuori casa per seguire i Corsi di Scienze delle Comunicazioni presso l'Università "Sapienza" di Roma ed egli dava scarsi risultati. Ora non è che tale Corso di Laurea abbia esami poderosi per la comprensione mentale come può averli ad esempio il Corso di Laurea in Fisica, o in Ingegneria... Dunque se il padre lo incitava ad impegnarsi e concludere qualcosa ha fatto solo il suo dovere di guida. Un padre indifferente dovrebbe colpevolizzarsi, non lui. Ma il figlio è scomparso e di lui non si è trovato più nulla, dunque al povero uomo non rimane che soffrire e scarnificarsi l'anima per punirsi di qualcosa di cui invece è vittima, come la madre ed il fratello.
Ecco, in questi casi spesso ci si dimentica dei fratelli, di quello che debbono soffrire per l'amore fraterno che provano per chi è sparito nel nulla, e dell'amore dei genitori di cui vengono in parte privati, perché essi sono presi dal dolore per il figliol prodigo che sperano sempre che ritorni.
Le lettere lasciate da Luca farebbero temere il suicidio (pensiero angoscioso che deve aver sfiorato anche i genitori di Simone, trapelato dal sollievo della constatazione che aveva portato con sé l'occorrente per curare i suoi capelli), ma sono passati 11 anni e non si è trovato il cadavere. Il mare... un fiume.., di solito restituiscono i corpi... Certo ci sono casi, come quello noto del Prof. Caffè, in cui il corpo non si è mai trovato.  

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