sabato 26 novembre 2011

Marta vittima di insensati

(16 dicembre 2003) - Corriere della Sera


LA TESTIMONE CHIAVE


Gabriella Alletto: «Non gioisco ma ho la coscienza a posto»

«Nella mano destra Scattone impugnava una pistola nera come quella della polizia» L' avvocato Pietro Cerasaro: «Questa vicenda è stata un calvario per tutti». La drammatica confessione della donna in questura, dopo che pochi giorni prima aveva giurato «sui suoi figli» di non essere stata nell' aula di Filosofia del Diritto «Ferraro si portò una mano alla fronte, come in un gesto di disperazione»

Il suo avvocato, Pietro Cerasaro, adesso dice solo: «È finita, ma non c' è soddisfazione, questa storia ha segnato per sempre tutti quanti noi...». Lei, Gabriella Alletto, la supertestimone del processo Marta Russo, la donna che ha inchiodato per sempre Scattone e Ferraro, si è sfogata con il suo legale: «Io non ho mai gioito per le condanne di Scattone e Ferraro, ma ho sempre avuto la coscienza a posto», ha detto. «E' questo - ricorda l' avvocato Cerasaro - è il suo stato d' animo. La coscienza a posto, la coscienza tranquilla. È un' arma necessaria, quando si pone uno stigma incancellabile sulle vite altrui. Il 14 giugno del ' 97, dopo aver sostenuto per più di un mese di non sapere assolutamente nulla dell' omicidio dell' università, la signora Gabriella Alletto, romana, 51 anni appena compiuti (è nata, infatti, il 10 dicembre ' 52) all' epoca segretaria dell' istituto di Filosofia del Diritto, raccontò in Questura una storia del tutto diversa: «Vidi Ferraro portarsi la mano sulla fronte in segno di disperazione. Scattone nella mano destra impugnava una pistola nera simile a quelle della Polizia...». E fu così che sotto i piedi dei due dottorandi incominciò ad aprirsi la botola dell' inferno. Solo tre giorni prima, l' 11 giugno, però, la signora Alletto, negli uffici della Procura, interrogata da Italo Ormanni, aveva giurato sulla testa dei suoi figli di non essere mai entrata il 9 maggio in quella stanza, la fatidica Aula 6 riservata agli assistenti. Scoppiò pure in un pianto dirotto e singhiozzante. C' era una telecamera nascosta, in quell' ufficio. La sequenza divenne poi, per tutti, il «video-choc». Il mattino dopo la sua «confessione», la superteste, intervistata dai cronisti nella sua casa di Centocelle, offrì la seguente spiegazione per motivare il lungo silenzio dei giorni precedenti: «Un blocco psicologico» dovuto alla paura, al trauma appena vissuto, all' incredulità, allo stupore per ciò che aveva visto. Scattone e Ferraro, due insospettabili. Sono passati più di 6 anni e mezzo da allora. Come dice l' avvocato Cerasaro, «questa storia è stata un calvario per tutti», la signora ha dovuto affrontare molte prove, l' accusa di favoreggiamento, il sospetto di calunnia, l' imbarazzo di alcune intercettazioni ambientali prodotte dalla difesa (lei che in ufficio continuava a negare). Però ha giocato la sua parte fino in fondo, fino al confronto diretto in aula, in Corte d' Assise, con i due imputati: «Su avanti, perchè non confessate?». Molti anni dopo, la signora Alletto ha cambiato ufficio, lavora sempre alla Sapienza ma è passata alla segreteria generale, dove i colleghi le fanno pronto scudo appena vedono sopraggiungere un cronista. Aggrappata alla sua vita normale, marito e due figli da crescere, oggi ha solo un desiderio: essere dimenticata. Fabrizio Caccia

Caccia Fabrizio
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La reticenza a dire ciò a cui aveva assistito della Alletto, insieme a quella di Liparota, mi turbò moltissimo all'epoca: mi chiesi fino a che punto la gente non aveva più coscienza e, pur di non "essere messa in mezzo", preferiva mentire per non esporsi.
Basta scorrere i vari resoconti su questa orribile storia, sui testimoni e sui tre gradi di giudizio (due processi d'appello) più la Cassazione, per capire quanto siano stati bravi i magistrati Italo Ormanni e Carlo La Speranza a spezzare l'omertà paurosa della Alletto, non altrettanto di Liparota che aveva addirittura confidato alla madre quanto aveva visto, per poi ritrattare sia lui che la madre, la quale aveva ingenuamente riferito la rivelazione avuta da suo figlio. 
Un omicidio assurdo, compiuto certo inconsapevolmente, ma compiuto irresponsabilmente per dimostrare non si sa bene cosa in una stupida sfida fra Ferraro, che fornì la pistola, e Scattone che volle impugnare l'arma per misurarsi con l'arbitrio della sorte.
Il disprezzo per questi irresponsabili, che hanno potuto godere di ben quattro sentenze visto che c'è stato un appello bis, nasce dal danno irreparabile che hanno fatto e, soprattutto, dalla loro vigliaccheria nel continuare a negare.
La Alletto, non certo un'eroina, avrebbe voluto essere altrove, avrebbe voluto non aver visto, ciò nonostante e suo malgrado ha dovuto alla fine dire la verità e non ci ha guadagnato se non la sua coscienza; questi due autori della morte insensata di Marta, invece, non ammettono il loro delitto e per questo sono personaggi inquietanti. Il fatto, poi, che uno di questi sia in un ruolo così delicato come quello del docente a contatto con i giovani, rende anche la nostra società che lo consente inquietante.   

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